L’Italia scopre di vivere dentro una guerra ibrida che ancora non riconosce

Novembre 19, 2025 - 05:00
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L’Italia scopre di vivere dentro una guerra ibrida che ancora non riconosce

La guerra ibrida è una minaccia silenziosa, invisibile ma letale. L’Italia, come l’Europa, non può permettersi di ignorarla. Da anni la Russia e le autocrazie a lei vicine aggrediscono il mondo libero con attacchi subdoli, lontani dalle modalità dei conflitti tradizionali, ma non per questo meno pericolosi. Non reagire significherebbe consegnarsi a regimi che hanno come obiettivo l’erosione delle democrazie liberali. È da questa consapevolezza che nasce il non-paper del ministro della Difesa, Guido Crosetto, intitolato “Il contrasto alla guerra ibrida: una strategia attiva”: oltre cento pagine firmate per delineare come contrastare una minaccia già in corso.

Nell’editoriale di apertura, Crosetto scrive: «L’Italia è oggi oggetto di attacchi ostili, continui, coordinati, con l’obiettivo di indebolire lo Stato, polarizzare la società e screditare le istituzioni». Una frase che un tempo sarebbe sembrata pura enfasi da convegno. Nel 2025 somiglia invece alla diagnosi di un Paese che scopre, forse tardi, di vivere dentro una guerra che non riconosce come tale.

Il non-paper è dunque anche un messaggio politico: la guerra ibrida non è un rischio, è l’ambiente in cui viviamo. «Siamo già dentro un conflitto non dichiarato», avverte Crosetto. «Fingere che non stia accadendo significa offrire al nemico un vantaggio strategico».

La nuova forma del conflitto non assomiglia alle guerre del passato. È diffusa, continua, senza fronti né linee di trincea. Non usa solo armi convenzionali: colpisce la fiducia delle popolazioni, erode la coesione sociale, mette sotto pressione la stabilità economica e la credibilità delle istituzioni. È una guerra che si combatte anche sulla percezione: sulla mente dei cittadini, sulla capacità di distinguere l’informazione dalla manipolazione.

Gli attori ostili cercano di colpire la democrazia svuotandola di legittimità e di senso, di rendere fragile il tessuto democratico attraverso la disinformazione, il sabotaggio, la pressione economica e lo sfruttamento delle vulnerabilità sociali. La minaccia, si legge ancora nel documento, «è persistente, multidimensionale, priva di un confine tra tempo di pace e tempo di guerra».

In questo quadro, l’Italia è un obiettivo privilegiato. Per posizione nel Mediterraneo, dipendenze energetiche, fragilità di alcune infrastrutture critiche, livello di polarizzazione politica e stato di tensione permanente dell’opinione pubblica. Per fare male a Roma basta amplificare fratture già esistenti. Russia, Cina, Iran e altri attori autoritari operano con logiche parallele e spesso sinergiche: combinano strumenti militari, informativi, economici e politici, mascherando la propria responsabilità. La dottrina Gerasimov – non citata direttamente, ma onnipresente – resta il modello più riconoscibile: destabilizzare i sistemi democratici senza scontrarsi con le loro forze armate.

Inoltre, colpire l’Italia vuol dire colpire l’Europa. «L’Italia è una frontiera esterna dell’Europa e un nodo energetico centrale: sabotarla significa indebolire l’intero continente», si legge.

Il non-paper insiste poi sull’effetto psicologico della guerra ibrida. Non serve convincere i cittadini di una versione alternativa: basta avvelenare il dibattito, moltiplicare le narrazioni, erodere la fiducia. Social network, bot, influencer consapevoli o inconsapevoli, media stranieri: tutto concorre a generare caos comunicativo. Il successo di un attacco ostile si misura nella sfiducia verso politica, media e istituzioni. Non servono bombe per produrre danni duraturi: basta una campagna di influenza ben mirata.

Ma la guerra ibrida non è solo cognitiva. Attacchi cyber, ricatti energetici, pressione sulle rotte commerciali, vulnerabilità delle infrastrutture digitali sono strumenti ormai ordinari per logorare uno Stato.

Le reti informatiche europee, interconnesse e spesso sottodimensionate, sono bersagli ideali. Bloccare un porto, interrompere la distribuzione del gas, penetrare nei data center può paralizzare servizi essenziali come sanità, trasporti, comunicazioni e finanza.

Uno dei passaggi più inquietanti del documento è quello dedicato agli scenari in cui un attacco ibrido non si limita a colpire la percezione pubblica o le reti digitali, ma mira direttamente alla capacità materiale dello Stato di funzionare. Il testo descrive la possibilità che operazioni ostili blocchino l’accesso alle materie prime critiche e compromettano gli snodi marittimi strategici, a partire dai choke point nel Mediterraneo e lungo le rotte globali come Suez. Uno scenario estremo, ma non impossibile: un Paese privo di risorse indispensabili e con le vie commerciali interrotte si troverebbe rapidamente esposto a un logoramento economico e sociale che potrebbe paralizzare l’intera Unione europea. «Basta immaginare: niente materie prime e rotte bloccate», avverte il documento. Non sarebbe un atto di guerra nel senso tradizionale, ma un processo di erosione mirata, capace di destabilizzare un sistema complesso senza sparare un colpo.

La risposta proposta è netta: serve una difesa proattiva. Non basta monitorare o reagire; occorre anticipare. Il documento suggerisce di potenziare gli organici cyber (dieci-quindicimila unità), creare un’Arma cyber civile-militare con almeno cinquemila specialisti – primo obiettivo realistico: milleduecento – e istituire un Centro unificato di comando e controllo. Una difesa permanente, capace di individuare gli attacchi prima che si diffondano e proteggere il cyberspazio come si difendono i confini fisici.

Il primo cambiamento richiesto è culturale. La difesa non può essere solo delle Forze Armate: deve coinvolgere politica, imprese, società civile, cittadini. Serve un coordinamento nazionale che unifichi intelligence, difesa, diplomazia, protezione civile. Bisogna educare la popolazione a riconoscere un attacco informativo come riconoscerebbe un incendio. Rafforzare le infrastrutture critiche. Preparare risposte proporzionate agli attori ostili senza comprimere le libertà individuali. A pagina quaranta si legge: «La resilienza democratica si costruisce esponendo le minacce, non occultandole». Per il Ministero, l’Italia deve imparare a nominare gli attacchi ibridi senza timore di fare il gioco del nemico.

L’uso crescente dell’intelligenza artificiale e di droni amplifica ulteriormente le difficoltà potenziali. Gli strumenti tecnologici moderni permettono campagne ibride più pervasive, veloci e difficili da bloccare. Ad esempio, la proliferazione di contenuti generati da intelligenza artificiale rischia di degradare la qualità delle informazioni su cui si basano analisi e decisioni strategiche. Per questo il documento evidenzia come il confine tra tempo di pace e tempo di guerra si sia assottigliato, rendendo la guerra ibrida una condizione permanente, un contesto strutturale.

Il messaggio finale del non-paper è inequivocabile: ignorare la guerra ibrida significa consegnarsi alla logica del nemico. La posta in gioco è la stabilità del Paese, la tenuta delle istituzioni, la sicurezza delle infrastrutture, la qualità del dibattito pubblico e, in ultima analisi, la sovranità nazionale. Per troppo tempo l’Italia è stata il ventre molle dell’Europa. È arrivato il momento di reagire.

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