Londra e la crisi degli alloggi sociali

Lug 4, 2025 - 14:30
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Londra e la crisi degli alloggi sociali

Londra è una città dalle mille contraddizioni. È una metropoli globale, ricca di opportunità economiche, culturali e artistiche, ma è anche teatro di una delle peggiori crisi abitative del Regno Unito. Nella capitale britannica, il problema dell’alloggio non è una questione marginale, ma una vera emergenza sociale che coinvolge decine di migliaia di famiglie. Le cifre parlano chiaro: una persona su 49 vive in sistemazioni temporanee, e oltre 360.000 sono in lista d’attesa per un alloggio sociale. In questo contesto, il governo britannico ha annunciato un piano imponente da 39 miliardi di sterline per costruire 300.000 nuove abitazioni sociali e a prezzi accessibili in tutto il Regno Unito nei prossimi 10 anni. Un investimento definito “storico”, che assegnerà a Londra oltre 11 miliardi di sterline. Ma è davvero la soluzione che tutti aspettavano? Quali sono le criticità di questo piano? E come si è arrivati a una situazione tanto disperata? In questo articolo vogliamo esplorare ogni aspetto della crisi abitativa di Londra: le sue radici storiche, le dimensioni attuali, le storie umane dietro i numeri, e il dibattito politico e sociale che accompagna il nuovo programma di edilizia sociale.

Le radici della crisi abitativa a Londra

Mano che tiene un’icona di casa con simbolo di divieto rosso, a rappresentare la crisi abitativa e la mancanza di alloggi

Un’immagine concettuale che evidenzia il problema dell’accesso negato alla casa e la gravità della crisi abitativa a Londra.

Parlare di crisi degli alloggi a Londra significa affrontare un problema stratificato, che si è costruito nel tempo e che risponde a molte cause diverse. La crescita della popolazione, l’aumento della domanda di lavoro qualificato, la concentrazione dei servizi e delle opportunità in un’area relativamente piccola hanno fatto esplodere i prezzi del mercato immobiliare. Londra è diventata una delle città più care del mondo per comprare o affittare casa. Secondo le statistiche più recenti, gli affitti nella capitale sono del 60% più alti rispetto alla media inglese. Questa sproporzione ha reso sempre più difficile l’accesso all’alloggio per chi vive di salari medi o bassi, per le famiglie monoreddito e per i giovani che vogliono costruirsi un futuro.

Non si tratta però solo di dinamiche di mercato. La crisi degli alloggi sociali affonda le sue radici anche nelle scelte politiche degli ultimi decenni. A partire dagli anni Ottanta, con le politiche di “Right to Buy” lanciate dal governo Thatcher, centinaia di migliaia di abitazioni sociali furono vendute agli inquilini, riducendo drasticamente il patrimonio pubblico destinato ai più vulnerabili. Mentre molti britannici realizzavano il sogno della proprietà, gli enti locali non ricevevano fondi sufficienti per costruire nuovi alloggi sociali, e il numero complessivo di case a canone calmierato diminuiva anno dopo anno.

Questa scarsità cronica di abitazioni a prezzo accessibile ha creato uno squilibrio difficile da correggere. Negli anni successivi, anche se i governi hanno promesso di aumentare la costruzione di case sociali, i numeri sono sempre stati inferiori al necessario. Il boom immobiliare, alimentato da investitori internazionali e da un sistema fiscale favorevole alla compravendita di seconde case, ha reso il problema ancora più grave. A Londra, interi quartieri sono stati trasformati da operazioni speculative che hanno costruito appartamenti di lusso destinati a rimanere vuoti o affittati a prezzi fuori portata per la popolazione locale.

Il risultato è una città divisa tra chi può permettersi di vivere in centro e chi è spinto verso la periferia o verso condizioni di precarietà estrema. Migliaia di famiglie si trovano costrette a vivere in sistemazioni temporanee, come hotel, ostelli o appartamenti di emergenza, spesso in condizioni di sovraffollamento e degrado.

Secondo i dati citati dalla BBC, Londra ospita il 50% di tutta la popolazione in alloggi temporanei d’Inghilterra pur avendo solo il 15% della popolazione nazionale. Un dato che fotografa l’epicentro della crisi abitativa.

Il governo britannico, con il nuovo piano da 39 miliardi, riconosce finalmente la portata del problema e cerca di dare una risposta strutturale. Ma i numeri attuali testimoniano l’ampiezza della sfida: oltre 366.000 persone in lista d’attesa per un alloggio sociale solo a Londra, una cifra che supera la popolazione di intere città britanniche come Leeds.

Il piano governativo e le sue promesse

Il governo britannico ha lanciato nel 2025 quello che ha definito il più grande investimento in edilizia sociale e a prezzi accessibili di una generazione. Il Social and Affordable Homes Programme, dal valore di 39 miliardi di sterline, è pensato per costruire 300.000 nuove abitazioni nel Regno Unito nell’arco di 10 anni, di cui almeno 180.000 destinate all’affitto sociale.

Complesso residenziale moderno con facciate colorate, simbolo di nuovi progetti di edilizia sociale a Londra

Un esempio di edilizia residenziale moderna che rappresenta la sfida di costruire nuovi alloggi sociali accessibili nella capitale britannica.

Questa cifra ambiziosa rappresenta una svolta rispetto alle politiche degli ultimi decenni, segnati da un calo costante del numero di alloggi sociali disponibili. Il piano vuole invertire la rotta, affrontando alla radice l’emergenza abitativa che soffoca le grandi città e in particolare Londra.

La capitale riceverà fino a 11,7 miliardi di sterline di questi fondi, una quota significativa che riconosce Londra come l’epicentro della crisi. Il sindaco Sadiq Khan ha salutato con favore questa assegnazione, definendola “un passo importante”, pur ammettendo che c’è ancora molta strada da fare per risolvere la situazione.

Il piano prevede che almeno il 60% delle nuove case sia riservato all’affitto sociale vero e proprio, mentre il restante 40% sarà destinato ad altre formule di housing agevolato, come l’affitto a prezzi calmierati e la proprietà condivisa. Questo mix dovrebbe offrire soluzioni a una fascia più ampia di cittadini, dai più vulnerabili a chi vuole comprare la prima casa senza potersi permettere i prezzi di mercato.

Secondo le parole di Angela Rayner, Deputy Prime Minister e Housing Minister, il piano è un “cambio di paradigma” che mira a “invertire la rotta della crisi abitativa”. Rayner ha parlato di un impegno concreto per restituire speranza alle famiglie che vivono in condizioni di precarietà e dare una risposta strutturale a un problema che ha impatti devastanti su salute, educazione e benessere.

Ma dietro questi annunci si nascondono diverse criticità. Prima di tutto, il settore dell’edilizia sociale si trova oggi in una situazione difficile. Negli ultimi due anni c’è stato un calo drammatico del numero di nuove case costruite: secondo il gruppo G15, che riunisce le principali housing associations di Londra, i cantieri avviati sono passati da 13.744 a 4.708 in appena due anni, con un crollo del 66%.

Il primo trimestre del 2025 ha visto un ulteriore calo del 7% rispetto allo stesso periodo del 2023. Questo rallentamento è stato causato da diversi fattori: la carenza di manodopera specializzata, l’aumento dei costi dei materiali edili, le difficoltà burocratiche legate a normative sempre più complesse e l’incertezza finanziaria che frena gli investimenti.

Le stesse housing associations, spesso chiamate a realizzare questi progetti, denunciano la difficoltà di finanziare nuovi stock abitativi quando devono già spendere risorse per manutenere e migliorare le abitazioni esistenti. La necessità di adeguare le case agli standard energetici e di sicurezza moderna assorbe gran parte dei bilanci, lasciando poco margine per nuove costruzioni.

Queste criticità sono state riconosciute anche dagli analisti. Christine Whitehead, della London School of Economics, ha avvertito che la combinazione di mancanza di manodopera, costi elevati e burocrazia edilizia rischia di compromettere gli obiettivi del piano.

Il governo, tuttavia, insiste sul valore strategico dell’investimento. Secondo Angela Rayner, costruire 180.000 case sociali nei prossimi dieci anni non è solo una questione di giustizia sociale, ma un motore per l’economia. Ogni cantiere crea posti di lavoro, sostiene l’industria edilizia e contribuisce alla crescita. Il piano è stato pensato anche per stimolare la formazione di nuove professionalità, riducendo la carenza di manodopera che attualmente frena il settore.

Dall’opposizione arrivano però critiche severe. Il Shadow Housing Minister David Simmons ha definito l’obiettivo del governo “difficile, se non impossibile” da raggiungere nei tempi previsti. Ha sottolineato la necessità di affrontare non solo l’emergenza degli affitti sociali, ma anche la mancanza di case per la proprietà privata a prezzi accessibili, proponendo un approccio più ampio e variegato per sostenere chi vuole comprare la prima casa.

Anche le organizzazioni del settore e le ONG hanno accolto il piano con cautela. Grace Williams, di London Councils, ha apprezzato la certezza finanziaria portata dal programma decennale, ma ha insistito sul fatto che servono più azioni concrete per affrontare la crisi dei senzatetto.

Il think tank Centre for London ha sottolineato che Londra è chiaramente l’epicentro della crisi abitativa, con una sproporzione evidente tra popolazione totale e popolazione in alloggi temporanei. Circa 1 londinese su 49 vive in sistemazioni temporanee, un dato che rende evidente la necessità di interventi immediati.

Infine, la charity Shelter, una delle voci più importanti del Regno Unito sul tema, ha definito il piano un “passo vitale”, ma ha chiesto al governo di essere più ambizioso. Secondo i calcoli di Shelter, servirebbero almeno 90.000 nuove case sociali all’anno (quasi cinque volte l’obiettivo attuale) per risolvere davvero la crisi abitativa nel decennio.

Secondo Mairi MacRae, direttrice campagne di Shelter, il piano è un inizio, ma non è sufficiente. “Se il governo vuole davvero affrontare la crisi dei senzatetto e restituire dignità a chi vive in alloggi temporanei, deve avere il coraggio di fare molto di più”.

A confermare la dimensione umana del problema ci sono le storie come quella di Vicki, madre di East London intervistata dalla BBC. Da 21 settimane vive in un hotel con suo figlio di 17 anni. Una stanza singola, senza cucina, senza lavanderia, con la privacy ridotta al minimo. Una situazione che incide sul benessere psicologico, sull’educazione del ragazzo e sulla loro salute.

Il nuovo piano di edilizia sociale vuole evitare che famiglie come quella di Vicki finiscano in sistemazioni di emergenza così precarie. Ma tra le buone intenzioni e la realtà della messa in opera resta un divario che richiede sforzi coordinati, risorse adeguate e una visione politica capace di superare le divisioni.

Le sfide future e il dibattito politico e sociale

Uomo in giacca che muove pezzi di legno sotto una casetta, simbolo della precarietà del mercato immobiliare

Una metafora visiva della fragilità del mercato immobiliare e delle difficoltà nel garantire case sicure e stabili ai londinesi.

Affrontare la crisi abitativa di Londra non significa solo costruire più case. Significa rivedere l’intero modello urbano, affrontare problemi strutturali che si trascinano da decenni e coordinare politiche nazionali e locali in modo coerente. Il nuovo piano da 39 miliardi di sterline è un segnale importante di attenzione da parte del governo, ma non può essere considerato la panacea di tutti i mali.

Una delle sfide principali riguarda la realizzabilità concreta dei numeri annunciati. Costruire 300.000 nuove abitazioni in dieci anni richiede un ritmo di realizzazione che il settore edilizio britannico non vede da decenni, soprattutto nel comparto dell’edilizia sociale. Le statistiche recenti sono scoraggianti: il crollo del 66% nelle nuove costruzioni di case a prezzi accessibili negli ultimi due anni e il calo continuo dei cantieri aperti segnalano un settore in difficoltà.

Le ragioni sono molteplici. La carenza di manodopera specializzata è uno dei fattori più critici. Il settore edile ha faticato ad attrarre e formare nuovi lavoratori, anche a causa di salari non sempre competitivi e condizioni di lavoro pesanti. La Brexit ha aggravato la situazione riducendo la disponibilità di manodopera europea, mentre la pandemia ha interrotto molti programmi di formazione.

Anche i costi dei materiali da costruzione hanno subito impennate notevoli. I rincari dovuti alle catene di approvvigionamento globali, le difficoltà logistiche e l’aumento della domanda hanno reso più onerosi i progetti edilizi, mettendo in crisi i budget delle housing associations. Queste organizzazioni, principali partner del governo per l’edilizia sociale, si trovano spesso costrette a scegliere tra manutenzione del patrimonio esistente e costruzione di nuove unità, in un equilibrio sempre più precario.

A questo si aggiunge la burocrazia edilizia, un nodo spesso denunciato sia dagli sviluppatori privati che dal settore pubblico. Permessi di costruzione complessi, procedure di pianificazione rigide, normative edilizie stringenti – tutte misure nate per garantire qualità, sicurezza e sostenibilità, ma che spesso finiscono per rallentare il processo.

Molte housing associations lamentano che la pressione per adeguare il patrimonio esistente agli standard energetici moderni – obiettivo essenziale in chiave di sostenibilità ambientale – finisce per assorbire gran parte delle risorse. Adeguare vecchi edifici significa investire somme ingenti che altrimenti potrebbero andare a nuove costruzioni.

Il dibattito politico riflette questa complessità. Il governo sottolinea il valore economico e sociale del programma, definendolo non solo un progetto abitativo ma un motore di crescita. Investire in edilizia significa creare posti di lavoro, sostenere l’economia locale, formare nuove generazioni di professionisti dell’edilizia e generare un impatto positivo su tutta la comunità.

Angela Rayner, Deputy Prime Minister e Housing Minister, ha insistito su questo punto, invitando tutto il settore dell’edilizia sociale a “lavorare insieme” per centrare l’obiettivo. Ha promesso di semplificare alcune procedure burocratiche, stimolare la formazione e favorire le collaborazioni pubblico-private per aumentare la capacità produttiva.

Ma l’opposizione non ha mancato di sollevare critiche. David Simmons, Shadow Housing Minister, ha definito il piano “un libro dei sogni” che rischia di rimanere sulla carta se non si affrontano con serietà i nodi della burocrazia, dei costi e della fiducia del mercato. Secondo lui, la priorità non dovrebbe limitarsi alle case sociali ma includere anche un’offerta diversificata per chi vuole comprare la prima casa, sostenere i mutui e rimettere in moto il mercato immobiliare in modo più ampio.

Le ONG e gli enti del terzo settore hanno accolto il piano con cautela. Shelter, una delle principali charity britanniche dedicate all’abitazione, ha definito l’investimento “un passo vitale” ma insufficiente. La loro proposta è chiara: per risolvere davvero la crisi abitativa servirebbero almeno 90.000 nuove case sociali all’anno – cinque volte l’obiettivo attuale.

Grace Williams, portavoce di London Councils, ha aggiunto che i fondi portano “certezza a lungo termine” ma non possono sostituire la necessità di affrontare subito la crescente emergenza senzatetto. Il think tank Centre for London ha evidenziato che Londra resta l’epicentro della crisi con numeri che la pongono in una situazione unica: pur avendo solo il 15% della popolazione inglese, la città ospita il 50% della popolazione in alloggi temporanei.

Un altro elemento di discussione riguarda la tipologia degli alloggi. Il piano prevede che solo il 60% delle nuove abitazioni sarà riservato all’affitto sociale vero e proprio. Il restante 40% comprenderà forme di proprietà condivisa e affitto a prezzi calmierati. Molti attivisti temono che questo mix finisca per privilegiare categorie meno svantaggiate, lasciando indietro le famiglie più vulnerabili.

Non mancano le questioni legate alla localizzazione. Costruire nuove case in un contesto urbano denso come Londra richiede piani di sviluppo complessi, infrastrutture adeguate e investimenti paralleli in trasporti, scuole, servizi sanitari. Sadiq Khan, sindaco di Londra, ha insistito sul fatto che sbloccare nuove aree edificabili passa anche attraverso grandi investimenti in trasporto pubblico, per rendere accessibili e vivibili le periferie in espansione.

Le sfide non sono solo tecniche, ma anche politiche e culturali. Superare l’opposizione dei residenti che non vogliono nuovi sviluppi nei loro quartieri, garantire la qualità architettonica e ambientale dei nuovi progetti, evitare ghetti sociali o operazioni speculative: tutto questo richiede un coordinamento accurato e una visione di lungo termine.

In questo contesto, il piano governativo rappresenta sicuramente un passo avanti. Porta risorse certe, offre una prospettiva di medio-lungo termine e cerca di rimettere al centro dell’agenda politica un tema spesso trascurato. Ma nessuno degli attori coinvolti si illude che basti scrivere grandi cifre in un comunicato stampa per risolvere un problema così radicato.

Il successo o il fallimento di questa strategia si misurerà sulla capacità di trasformare i miliardi stanziati in case reali, abitate da famiglie che oggi vivono in stanze d’albergo, in ostelli, in sistemazioni di emergenza inadatte e costose. Solo allora si potrà parlare di vera inversione di rotta nella crisi abitativa londinese.

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