Il concorso pubblico va in soffitta: ecco come cambia la carriera dei dirigenti

Lug 4, 2025 - 14:30
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Il concorso pubblico va in soffitta: ecco come cambia la carriera dei dirigenti

lentepubblica.it

Il nuovo disegno di legge sulla Pubblica Amministrazione si prefigge un obiettivo particolarmente importante, ovvero modificare radicalmente le regole per la carriera dei dirigenti, superando la procedura storica del concorso pubblico.


Il criterio guida della riforma è rappresentato dalla volontà di “premiare il merito”, tuttavia non sono pochi i dubbi e le ombre che la proposta solleva. Da più parti, infatti, è stato evidenziato il rischio di alimentare dinamiche interne opache, che mettono in secondo piano la competenza tecnica a vantaggio della fedeltà gerarchica.

Addio al concorso pubblico: cambiamento epocale, ma discutibile, per la carriera dei dirigenti

Ebbene, in base alle novità contenute nel d.d.l., nel prossimo futuro l’accesso ai ruoli dirigenziali della P.A. potrebbe non passare più attraverso il meccanismo dei concorsi pubblici. Il nuovo sistema prevede una selezione interna del personale in servizio, basata su valutazioni delle performance lavorative e su un percorso progressivo, senza prove concorsuali aperte all’esterno. Si tratta di una svolta radicale che, di fatto, “manda in pensione” lo strumento principale utilizzato nel nostro Paese per l’accesso alle cariche pubbliche e che garantisce equità, trasparenza e imparzialità.

Tale evoluzione però ha destato, come abbiamo anticipato, alcune preoccupazioni: il concorso, infatti, rappresentava un presidio costituzionale idoneo ad evitare favoritismi e garantire che le posizioni apicali venissero assegnate in base a criteri oggettivi, non a logiche relazionali o politiche.

La valutazione diventa interna: efficienza o terreno fertile per favoritismi?

Con la nuova disciplina, le promozioni passeranno anche attraverso una relazione firmata dal dirigente superiore, necessaria per accedere alla procedura: tale procedura pone di fatto il destino professionale dei funzionari nelle mani del proprio dirigente. Il rischio di questo meccanismo è quello di alimentare una cultura organizzativa fondata più sull’adattamento e sull’obbedienza che sulla qualità del lavoro e sull’autonomia di giudizio.

Chi si distingue per capacità e spirito critico potrebbe così essere penalizzato, a differenza di chi si allinea incondizionatamente alle posizioni apicali. In un contesto del genere, il merito può essere interpretato più come “adesione personale” alle scelte dirigenziali che come effettivo valore professionale.

Una commissione di valutazione “indipendente”? Più ombre che certezze

Per garantire comunque la trasparenza e l’equità della procedura di selezione, il d.d.l. prevede la formazione di una Commissione composta da sette membri, tra cui dirigenti generali sorteggiati, due figure professionali esterne alla P.A. e un presidente (esterno).

Apparentemente, in questo modo si cerca di garantire l’imparzialità dell’organismo, tuttavia mancano trasparenza e garanzie sull’effettiva indipendenza dei membri esterni e sulla modalità di nomina del presidente. In realtà, l’appartenenza allo stesso ecosistema amministrativo e la possibilità di reti relazionali pregresse sollevano dubbi sull’effettiva neutralità delle valutazioni. Il pericolo è che le decisioni finali non nascano da un confronto oggettivo, ma riflettano assetti già delineati in altri contesti.

Una lunga fase di prova

Chi verrà selezionato con il nuovo sistema dovrà affrontare un periodo di osservazione di almeno quattro anni prima di ottenere la conferma definitiva del ruolo dirigenziale. Questo arco temporale, presentato come un momento di verifica e valutazione dei neo-dirigenti, si traduce in una prolungata fase di osservazione del comportamento e dell’allineamento agli obiettivi della leadership amministrativa e politica.

La prospettiva che si apre è quella di una P.A. popolata da dirigenti meno inclini alla critica costruttiva e più orientati a compiacere chi ha il potere di giudicarli. Una deriva che potrebbe compromettere l’autonomia e la capacità gestionale di chi dovrebbe invece incarnare lo spirito del servizio pubblico.

Una mera retorica del “merito”?

In conclusione, dietro la retorica del “merito” si delinea un impianto normativo che rischia di sostituire criteri oggettivi con logiche personalistiche. Il nuovo modello non elimina i rischi di lottizzazione, ma li rende più sottili e difficili da individuare.

Invece di costruire una classe dirigente competente e indipendente, il sistema potrebbe favorire chi è più abile nel costruire relazioni strategiche, nel consolidare alleanze interne e nel compiacere il dirigente di turno. Il risultato rischia di essere una P.A. meno meritocratica e più esposta a logiche di appartenenza.

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