Addio a Bobo Vincenzi, simbolo della ristorazione molisana e romagnola
Bobo Vincenzi, figura iconica della cucina molisana e romagnola, ci lascia un’eredità fatta di passione, tradizione e sapori autentici. Scopri la storia del suo ristorante a Guglionesi, raccontata attraverso recensioni e ricordi di una vita dedicata all’arte culinaria.
Bobo Vincenzi: addio a un grande della ristorazione italiana
Due recensioni per La Stampa sul suo ristorante di Guglionesi (Campobasso)
Romagnolo, romagnolo verace ma anche simbolo gastronomico della prima regione meridionale che incontrate nel vostro lungo viaggio verso il Gargano e la Puglia: il Molise. È da sempre qui Colombo Vincenzi, detto Bobo, di cui scrissi su queste stesse colonne il 3 febbraio del 2001. Sono passati 17 anni: un po’ più bianchi i capelli e la barba (ma pitturati di rosso, il colore del cuore), uno stent nelle coronarie, ma la stessa passione, la stessa voglia di fare, lo stesso entusiasmo, gli stessi eccellenti risultati gastronomici.
Tutta la passione e l’amore di Bobo per la sua patria d’adozione li vedete nella cucina, nella dispensa: la pasta è fatta in casa o è La Molisana; i formaggi e i salumi valorizzano le piccole produzioni locali di questo territorio, tra il mare di Termoli e i colli fra Montenero di Bisaccia e Guglionesi. Pesci e crostacei sono pescati e arrivano soprattutto (fermo pesca permettendo) dall’Adriatico. Tutto questo grazie a un furetto che ogni mattina va al mercato a fare la spesa, senza ricorrere ai cataloghi degli importatori o alla grande distribuzione.
Accanto a Bobo, che sta in cucina, c’è la moglie, Rita, che sovrintende la sala. “Ribo” sta, ovviamente, per le prime due lettere di entrambi i nomi. Il loro è un locale semplice, spartano, ma caldo e accogliente.
Da Termoli imboccate la strada per la collina che vi porta verso San Giacomo degli Schiavoni: il locale è sulla vostra destra, salendo, senza nemmeno bisogno di entrare a Guglionesi (vi perdereste).
Ecco, in uno scampolo di verde e di silenzio, un ampio spazio (da riassettare) per parcheggiare e due corpi di fabbrica: nel primo, verso la strada, otto villette che funzionano da albergo (semplici, essenziali, ma con l’aria condizionata); verso l’interno, la casetta rusticissima che ospita il ristorante. Qui sarete accolti da alcuni commis/ragazzetti che vi porteranno:
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saporosa ventricina (12 euro)
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canocchie al panno (10 euro)
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pallotte cacio e uova in brodo di pesce (7 euro)
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taccozzi con crostacei (12 euro)
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troccoli al sugo di razza (10 euro)
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zuppa di pesce (25 euro, meravigliosa come quella che fa la sorella di Bobo, Nadia, a Erbusco, BS)
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agnello alla molisana (14 euro)
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panna cotta (4 euro)
Sulla mensola accanto alla cucina, proprio lì dove sventolano i battenti tra sala e fornelli, sulla sinistra, fa bella mostra di sé un piccolo, inequivocabile busto di Lenin. Accanto, Stalin effigia l’etichetta di una bottiglia di Sangiovese; cinque centimetri più in là, falce e martello fanno da accompagnamento iconografico a un vino che si annuncia “Rosso!” (il punto esclamativo è sull’etichetta).
Le elezioni sono vicine e il patron di questo singolare, ottimo locale, ovviamente un ottimo singolare patron, Bobo Vincenzi, le saluta a suo modo: perfino il suo ciuffo di capelli, addirittura il pizzetto della sua barba, sono stati dipinti del colore che anche i DS hanno deciso di ripristinare, il rosso. Colombo Vincenzi, riminese d’origine, ritratto sputato del Bobo delle vignette, capolavoro di Sergio Staino, i DS li supera a sinistra; se la prende con il conterraneo Di Pietro (Guglionesi è a un tiro di schioppo da Montenero di Bisaccia) e tifa per gli ultrà. Ma non preoccupatevi: la passione è accompagnata da un sorriso e al ristorante si parla solo di cucina, di ristorazione, di piatti, di entusiasmo.
Come quello che ha spinto Bobo, in tutti questi anni molisani, a diventare, lui romagnolo d’origine, un faro, una bandiera (assieme ai patron della Vecchia Trattoria da Tonino di Campobasso) delle tradizioni gastronomiche della regione più povera d’Italia dal punto di vista della ristorazione.
Se vi sarete fatti spiegare bene la strada, sarà facile uscire dalla periferia di Termoli e imboccare la strada per Guglionesi, alta sulla collina. Saranno soltanto sette chilometri di strada panoramica che vi porterà nella bella campagna molisana.
Alcune cose vi renderanno perplessi: l’entrata sul retro un po’ da riassettare, il disordine nei locali di disimpegno e anche l’accoglienza un po’ disincantata da parte del personale, soprattutto se Rita non è in sala a controllare che tutto vada per il verso giusto. Rassegnatevi, quindi, a qualche minuto d’attesa senza che nessuno vi dica niente e a una carta dei vini teorica.
Poi, però, ricordatevi che tutto questo scompare davanti alla qualità di quello che mangerete. Il posto è rustico: una veranda affacciata verso il giardino d’arrivo, una sala interna, il caminetto acceso. C’è il menu scritto, ma tutti si rivolgono a Rita e anche a Bobo, che esce in sala con la parannanza su cui spicca il viso di Che Guevara.
In attesa che arrivi la bottiglia proposta dal cameriere, sbocconcellando gli ottimi pani assortiti fatti in casa, apprestatevi a una mangiata di pesce (e non solo) di grande bontà: cominciate con il crudo di scampetti e calamaretti, con gli scampi avvolti nel lardo di Colonnata e accompagnati da un crostoncino morbido di polenta. Poi passate alle canocchie cotte “al panno”, alla ricetta dalla semplicità marinaresca, ai tagliolini ai frutti di mare di grande succulenza, alla spigola di mare.
Non perdete, inoltre, il piccioncino di casa e i succulenti pezzacchiotti della storica ventricina, il meraviglioso e indimenticabile insaccato molisano, qui veramente artigianale. Si chiude con due curiose ma invitanti mousse (di zucca con marmellata di pomodori verdi e di melanzane al cioccolato) e con lo strudel (tutti casalinghi).
70-80.000 lire per una cucina tornata grande.
Qual è la tua reazione?






