Meloni vuole un’Europa anti-europea, come l’America anti-americana di Trump

Con prevedibile puntualità, la discussione, che una volta al trimestre impegna il Parlamento in vista delle riunioni del Consiglio europeo, ha mostrato anche ieri tutta la finta unità della maggioranza e tutta la vera disunità delle opposizioni sui punti che impegneranno da oggi i capi di Stato e di Governo dell’Unione, riuniti per due giorni a Bruxelles.
Ancora una volta Giorgia Meloni non ha avuto difficoltà ad addomesticare le sue minoranze russofile e a dissimulare il commitment trumpiano con una risoluzione parlamentare ambigua ed evanescente, mentre Pd, M5s e Avs si dividevano e dilaniavano su tutto l’essenziale – la difesa dell’Ucraina, il contrasto alla Russia, il sostegno della linea europea nella frattura del fronte atlantico – per unirsi nella stracca litania sull’allarme democratico globale.
A quest’ultimo peraltro andrebbe riconosciuto un serio fondamento, che però non riflette affatto le ubbie dell’antifascismo da parata e dell’antisionismo dal fiume al mare, che sole mobilitano le piazze progressiste, a cui invece le bombe di Mosca su Kyjiv, e i manganelli di Mosca a Tbilisi non suscitano un’altrettanto allarmata mobilitazione umanitaria.
La forza della Meloni e la debolezza del suo fronte avverso le hanno ieri addirittura consentito di decidere il voto favorevole della maggioranza sulle parti della risoluzione di Azione che più indispettivano la Lega – il sostegno militare all’Ucraina, il contrasto alla guerra ibrida di Mosca, la lotta alla flotta fantasma e al contrabbando di petrolio russo, l’adesione dell’Ucraina all’Ue – proprio per spaccare l’opposizione e dividere ancora più profondamente il Campo Largo: Pd e Iv si sono infatti astenuti, non volendo votare con la maggioranza per non indisporre M5S e Avs, che però infischiandosene dei loro scrupoli hanno votato contro. Tutti contro tutti, nessuno con Carlo Calenda.
Da tutto questo si può trarre la conclusione che la leadership di Meloni sia il meno peggio che un sostenitore della causa ucraina e di quella europea possa oggi sperare e che l’Italia si possa permettere? Penso che a dimostrare l’esatto contrario – Meloni è la peggiore di tutti, proprio perché appare la migliore – sia proprio quello che ieri la Presidente del Consiglio ha tenuto a ribadire, sia nella relazione scritta che nelle repliche a braccio e che fa emergere quanti e quali equivoci ci siano dietro la presunta trasformazione di un’avatar orbaniana in un’affidabile liberal-conservatrice europea.
Più volte, nei suoi interventi, Meloni ha ieri insistito sulla «difesa dell’Occidente» come vocazione ideale e necessità materiale dell’Italia (anzi, come dice lei, «di questa nazione»), dando all’identità occidentale (e, di risulta, a quella europea) una dimensione geografico-territoriale. Se però l’Occidente è semplicemente un posto nel mondo, più o meno circoscritto nei suoi confini riconosciuti, può considerarsi il contenitore storico di contenuti variabili e perfino fungibili. Il new deal e il nazismo sono le due forme prevalenti dell’Occidente anni Trenta?
Però l’Occidente non è mai stato un luogo, semmai un tempo (di cui qualcuno auspica la fine) dominato da un’ideale universalistico e da una proiezione politica globale, con specifiche caratteristiche: libertà individuali, società aperta, stato di diritto, divisione dei poteri, economia di mercato… L’Occidente è il processo di istituzionalizzazione e di progressiva inculturazione, nei contesti più diversi, della razionalità politica illuministica; non è tutto ciò che sta o che capita in un determinato luogo, non è il Blut und Boden di una sezione della Terra, non è una tradizione o una religione avita.
Quest’idea confederale dell’Occidente come unità di nazioni legate da vincoli di fede e di sangue arriva a Meloni direttamente dalla tradizione post-fascista. Si tratta della stessa logica che portava mezzo secolo fa parte della destra a teorizzare l’unità organica della “Europa Nazione”, come alternativa all’imperialismo liberal-capitalista americano e a quello comunista sovietico. Ma all’ascendenza oggi si lega la convenienza.
Il vecchio Occidente euro-atlantico è ovunque attaccato, occupato e infettato da un occidentalismo surrettizio fondato sul ripudio dell’Occidente storico-politico, a vantaggio di una sorta di super-nazionalismo transatlantico. Le democrazie illiberali (il vecchio amico Orbán) e le autocrazie plebiscitarie (il nuovo amico Trump) non sono il nuovo Occidente, ma l’anti-Occidente e non a caso convergono contro ciò che dell’Occidente è rimasto ancora, se non saldo, almeno in piedi, a partire dall’Unione europea.
Quando Meloni irride chi pensa di difendere l’Europa dall’America, cioè una parte dell’Occidente dall’altra, non fa un errore, ma una scelta di campo. Se l’Europa diventerà anti–europea, come l’America è diventata – si spera non definitivamente – anti-americana, non ci sarà un’Occidente di nuovo, ma di falso conio e non c’è nulla di concreto – vere scelte, esplicite alleanze, ferme posizioni – che faccia pensare che Meloni sia uscita dai ranghi dell’internazionale sovranista e stia provando, con la dovuta prudenza, a neutralizzarne i disegni.
Si scambia per conversione la furbizia di una leader che non vuole affatto cambiare campo, ma sa perfettamente di non avere la forza di sfidare apertamente, dalla sua posizione, i leader dell’Europa che conta. Però fa di tutto per intralciarne le mosse e tranquillizzare i vecchi amici.
Ieri, mentre spargeva fumo tra le parole delle risoluzioni parlamentari, non si è dimenticata di lasciare a verbale che di mettere in discussione o forzare il principio di unanimità in sede Ue non se ne parla, che con l’Ucraina l’Italia è tanto solidale, ma comunque vada se ne starà a casetta e se tanto tenete alla sua sicurezza armatevi e partite e che sul progetto di difesa europea ogni nazione è bene che decida per sé, perché la difesa è una competenza esclusiva degli Stati membri.
Che possono volere di più Donald e Victor?
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