Multibrand italiani in scivolata nel 2024. Il settore alla ricerca di nuove risposte
Lo studio sui principali multimarca di lusso italiani evidenzia come nell’ultimo esercizio la maggior parte abbia registrato numeri in sensibile calo. Definitiva la crisi dell’online, si punta a bilanciare le offerte.
Il rallentamento era già in atto, ma per i multibrand italiani il 2024 ha rappresentato l’anno della vera inversione di tendenza. Nonostante nel 2023 la chiusura dei bilanci mostrasse nella maggior parte dei casi il segno più, l’ultimo esercizio fiscale si è chiuso con una flessione generalizzata, determinata dalla crisi ormai conclamata dell’online – i cui segnali erano emersi già nel 2022 e si erano confermati nel 2023 –, dalla situazione geopolitica e dalla speculazione eccessiva sui prezzi, che ha innescato una corsa a sconti e promozioni. Lo conferma l’analisi Pambianco sui bilanci 2024 dei principali multimarca di fascia alta italiani, che tratteggia un anno fiscale in flessione e in cui, soprattutto, si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione strutturale della categoria. Spicca l’esigenza di un ritorno alla marginalità perseguibile attraverso il retail fisico, ma che ancora non permette di far diradare la nebbia sulle prospettive di chiusura dell’anno e degli sviluppi futuri. Questa situazione è stata tratteggiata anche da Luca Solca, managing director luxury goods di Bernstein, che ha tracciato sul palco dell’ultima edizione del Venice Sustainable Fashion Forum un quadro fosco sul futuro del canale multimarca: “La scomparsa di negozi e boutique indipendenti sta creando un vuoto importante perché i marchi di nicchia non trovano più un canale di rivendita. Dunque occorre pensare a dei nuovi modelli di distribuzione multimarca”.
LA DEFINITIVA CRISI DELL’ONLINE E LA CORSA AI VOLUMI
Lo spaccato preso in considerazione nell’analisi Pambianco offre un quadro in cui i primi 15 nomi per dimensione del fatturato hanno registrato un totale di oltre 1,3 miliardi di euro, segnando una flessione del 2,6% rispetto ai risultati dell’anno precedente. La classifica – orfana però degli ultimi bilanci di LuisaViaRoma, in composizione negoziata della crisi da agosto, Vinicio, Silvia Bini e Ikonic (Coltorti) – rivela una situazione di contrazione abbastanza omogenea, dove solo alcune insegne isolate hanno continuato a mostrare segni di crescita, mentre la maggior parte ha chiuso il bilancio col segno meno. Quattro casi su 15 hanno hanno chiuso in positivo: G&B a +19,6%, Tiziana Fausti con +15,4%, Sugar con +1,1% e Maltempi che ha archiviato il 2024 a +12,8 per cento. A fronte di queste difficoltà, i patron dei principali multimarca italiani interpellati da Pambianco Magazine hanno evidenziato come la gestione delle vendite online non sia più sostenibile come un tempo. Gino Cuccuini, dell’insegna Gianni Cuccuini, ha specificato come la corsa ai volumi nel canale digitale abbia “generato anche un aumento dei costi che poi è diventato uno svantaggio”. Lo store livornese ha chiuso il 2024 con un -32%, registrando un fatturato di 84,3 milioni di euro. Secondo il titolare, il problema è soprattutto la perdita di marginalità. Questo trend è stato esacerbato dalla gestione di un elevato volume di vendite sulle piattaforme online, che ha comportato costi insostenibili. Cristiano Ceccato, patron di Al Duca D’Aosta, conferma questa visione, ribadendo: “Non si può fare il lusso con sconti del 50%, è una corsa al volume, non alla qualità. La scontistica non deriva da una cattiva gestione del magazzino, ma da una pura strategia di mercato per aumentare il volume delle vendite”. Anche il retailer storico veneziano ha registrato un -7,9% nel 2024, con un fatturato di 50 milioni di euro. La centralità del retail fisico è sempre più riconosciuta come un fattore chiave per la sostenibilità, poiché l’esperienza in-store offre un servizio personalizzato che l’online non può replicare. La percezione diffusa è che, sebbene l’online continui a giocare un ruolo rilevante, solo il punto vendita fisico sia in grado di rispondere pienamente alla domanda di esclusività e qualità del servizio, elementi irrinunciabili per i clienti di lusso. In un mercato sempre più competitivo, quindi, la sfida non è solo quella di vendere, ma di creare un’esperienza di acquisto unica che faccia la differenza.
SPAZIO ALLA MARGINALITÀ
In risposta alle difficoltà di mantenere alti margini di profitto, i principali multimarca di lusso italiani stanno diversificando le loro offerte, cercando di bilanciare brand premium e marchi più accessibili. La strategia è quella di mantenere l’esclusività senza compromettere la qualità. Marco Chironi di Base Blu osserva come “i top luxury brands stanno aumentando costantemente i prezzi, il che potrebbe ridurre l’appetibilità di alcuni articoli. Questo fenomeno porta alla necessità di rivedere le politiche di prezzo per evitare che l’overpricing danneggi il settore”. L’insegna di Varese ha chiuso il 2024 in linea con il 2023 a 77,5 milioni di fatturato. In parallelo, la pressione sul mercato dei prezzi porta molti retailer a fare affidamento su un mix di brand di fascia alta e più accessibili. Un’altra risposta alla sfida del rialzo dei prezzi proviene dal mercato second hand, che sta acquisendo sempre più importanza, come sottolinea Vittorio Chalon, patron dell’insegna The Corner (-5,8% per 72,9 milioni di fatturato), secondo cui a livello generale “l’usato diventerà un mercato sempre più strutturato”.
Allo stesso tempo, la qualità del servizio rimane un punto distintivo. Beppe Nugnes di Nugnes 1920 (-3,4% per 42,9 milioni) evidenzia che “per fare retail di qualità servono grossi investimenti” e che “dove c’è spazio per una marginalità più alta, occorre reinvestire”. Reinvestimento che riguarda non solo i prodotti, ma anche il personale. “Il lusso vero è fatto di tempo e spazio – continua Ceccato di Al Duca D’Aosta -, questi due fattori fanno davvero la differenza e ti permettono di offrire un servizio di qualità che l’online non può replicare”. La sfida per il futuro del settore è dunque quella di mantenere l’esclusività, migliorando l’efficienza dei costi e puntando su un’esperienza d’acquisto unica, in cui la diversificazione dei brand e l’attenzione al cliente giocano un ruolo fondamentale. “Passeremo dalla globalizzazione alla iper-localizzazione”, conclude Chalon.

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