Nicaragua. Ondata di repressione: l’allarme dell’opposizione in esilio e il silenzio dell’OEA
di Giuseppe Gagliano –
Nel cuore del continente americano, dove la retorica democratica coesiste con pratiche autoritarie consolidate, la crisi nicaraguense continua a dilagare senza incontrare ostacoli. L’opposizione in esilio, ormai ridotta a un’arca di sopravvissuti politici, ha lanciato un nuovo appello all’Organizzazione degli Stati Americani (OEA): riportare la tragedia del Nicaragua al centro dell’agenda interamericana. Non si tratta più di una questione interna. La dittatura di Daniel Ortega e Rosario Murillo ha oltrepassato le frontiere, trasformandosi in un meccanismo di repressione transnazionale.
Con una lettera indirizzata ai ministri degli Esteri e alle delegazioni riunite alla 55ma Assemblea generale dell’OEA, la Concertazione Democratica Nicaraguense (CDN) ha denunciato un’escalation che non riguarda più solo i diritti umani, ma la sicurezza stessa dell’intero emisfero. I firmatari parlano senza mezzi termini di una strategia che “esporta la violenza”, che colpisce gli oppositori rifugiati all’estero e che usa lo Stato come vettore di intimidazione globale.
A conferma di questa accusa, la CDN ha citato l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sui diritti umani in Nicaragua: l’apparato repressivo del sandinismo ha assunto una “dimensione transfrontaliera”, portando a termine operazioni che ricordano più i metodi dei servizi segreti autoritari che la gestione di un Paese in pace. Emblematico è l’assassinio di Roberto Samcam, ex maggiore e dissidente, ucciso in Costa Rica: per l’opposizione, un messaggio diretto a chiunque pensi di essere al sicuro oltreconfine.
Ma la CDN va oltre: denuncia l’utilizzo dell’aeroporto internazionale di Managua come hub per il transito di migranti irregolari e potenziali elementi legati al terrorismo internazionale. Un’accusa grave, supportata da preoccupazioni reali sulla capacità del regime di offrire appoggio logistico a flussi che attraversano indisturbati l’America Centrale, con possibili ricadute su Paesi come Stati Uniti, Messico e Canada.
Il quadro tracciato è chiaro: il Nicaragua non è più solo uno Stato illiberale, ma un attore destabilizzante che sfrutta la crisi migratoria, l’assenza di controlli regionali e le proprie alleanze opache per proiettare potere fuori dai confini. Una definizione impietosa ma coerente: “focolaio di instabilità regionale”. Un’espressione che rimanda a scenari già visti nel continente, dal Venezuela alla Bolivia, dove la combinazione di autoritarismo interno e proiezione esterna ha spesso dato origine a tensioni incontrollabili.
In questo contesto, l’appello all’OEA assume un significato doppio: da un lato è un grido d’allarme umanitario, dall’altro è una richiesta di reazione geopolitica. Il rischio, secondo la CDN, è che il disimpegno delle democrazie regionali lasci spazio a un contagio repressivo che si estende come un’ombra silenziosa.
Alla base della crisi odierna vi è la repressione delle proteste del 2018 e l’assoluta mancanza di legittimità democratica delle elezioni del 2021, in cui Ortega ha conquistato un quinto mandato eliminando ogni rivale. La CDN ricorda come quasi tutti i candidati alternativi siano stati incarcerati o esiliati, denazionalizzati e privati dei diritti civili. È un processo di epurazione sistematica, che non ha nulla da invidiare ai regimi totalitari del secolo scorso.
Non solo: il governo di Managua continua a sfruttare l’indifferenza o la timidezza diplomatica per consolidare il proprio controllo. Il silenzio delle istituzioni interamericane, OEA in testa, rischia di trasformarsi in complicità passiva. Per questo, l’opposizione propone l’istituzione di un meccanismo speciale di allerta precoce e la creazione di reti di protezione per gli esuli.
Il documento si conclude con un appello che è anche una sfida. La Carta Democratica Interamericana non è solo un pezzo di carta. È un vincolo, un impegno collettivo, una promessa fatta ai popoli del continente. Quando uno Stato la viola sistematicamente, come sta accadendo in Nicaragua, l’OEA ha il dovere di reagire. Non bastano i comunicati, le prese di posizione rituali, gli inviti al dialogo. Serve un atto di coraggio politico. Perché l’inerzia, oggi, equivale alla legittimazione del sopruso.
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