Non è solo colpa dell’Ia se molte Big Tech stanno licenziando

Novembre 4, 2025 - 03:30
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Non è solo colpa dell’Ia se molte Big Tech stanno licenziando

La tecnologia dà, la tecnologia toglie.

Poco più di cinque anni fa scrivevamo che gli sviluppatori web erano tra le figure più ricercate sul mercato. Bastava fare anche solo un corso veloce online per trovare immediatamente un lavoro «sicuro». Figurarsi poi i laureati in informatica e affini. Lo stesso valeva per manager, consulenti e altre figure assunti con ottimi stipendi nelle aziende tech. In preda all’accelerazione digitale dovuta alla pandemia, non si parlava d’altro che di assunzioni e ricerca disperata di talenti, con le Big Tech che si contendevano i migliori sviluppatori sul mercato.

Poi la curva ha cominciato a scendere. Ed è iniziata l’era dei grandi licenziamenti, che coinvolgono – paradossalmente – proprio i protagonisti della “nuova frontiera” tecnologica. Secondo il sito indipendente di monitoraggio Layoffs.fyi, lo scorso anno ci sono stati oltre 150mila tagli di posti di lavoro in 549 aziende tech. Finora, quest’anno, sono stati licenziati oltre 22mila lavoratori nel settore tecnologico, di cui 16.084 solo mese di febbraio.

Il Financial Times parla da tempo di «white collar recession». Il Wall Street Journal fa lo stesso. Nel settore informatico svizzero, secondo una ricerca del Politecnico di Zurigo, i disoccupati sono passati dai 1.700 del 2022 ai 4mila di oggi. Nelle ultime settimane, poi, hanno fatto notizia i 14mila licenziamenti annunciati da Amazon negli uffici per «organizzarsi in modo più snello» e sfruttare in pieno le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale. Ma annunci simili arrivano ogni giorno.

È «la fine di quasi sei anni di elevata sicurezza del posto di lavoro per specialisti delle risorse umane, addetti al marketing, manager, sviluppatori di software e altri lavoratori della conoscenza con redditi elevati, il cui numero è cresciuto rapidamente dall’inizio della pandemia di Covid-19», scrive il Financial Times.

E ovviamente, da più parti, si dice che è l’intelligenza artificiale che ci sta rubando il lavoro, alimentando scenari catastrofici di disoccupazione collettiva e sostituzione delle macchine.

Ma la realtà, come sempre, è molto più complessa. Martha Gimbel, executive director del Budget Lab della Yale University spiega a Bbc che tendiamo a reagire in modo eccessivo agli annunci delle singole aziende, che spesso motivano i tagli con l’Ia generativa e il machine learning. Quando invece molto dipende da dinamiche aziendali specifiche.

Alcune imprese, tra le motivazioni dei tagli, citano direttamente l’intenzione di usare l’intelligenza artificiale per ridurre la forza lavoro. Come spiega Gad Levanon, chief economist al Burning Glass Institute, «queste big tech sono le early adopter dell’Ia, quindi sono anche le prime a vedere l’impatto della sua applicazione». Ma attribuire i licenziamenti solo all’intelligenza artificiale è riduttivo. Quello che sta accadendo – spiegano gli economisti – è soprattutto una correzione verso il basso (alimentata dai dazi, dall’inflazione e dall’incertezza economica) dopo l’ubriacatura da assunzioni nel settore tecnologico avvenuta durante la pandemia.

Con i tassi d’interesse bassissimi e il boom dell’ecommerce, dal 2020 in poi le big hanno anche «sovra-assunto» personale, in un momento in cui si cominciava a temere pure la carenza di manodopera. Tant’è che già nel 2023 si parlava del “fake work” dei ricercatissimi informatici della Silicon Valley, pagati molto per lavorare poco, solo per paura che andassero nelle aziende concorrenti. C’è chi ha puntato il dito contro la «laptop class» che si è gonfiata con la pandemia. E gli stessi responsabili delle risorse umane confermavano di aver «accumulato» lavoratori in eccesso. Così poi sono partite le prime lettere di licenziamento e l’intelligenza artificiale ha alimentato il tutto.

Lo sviluppo di software è emblematico nell’efficienza introdotta dall’Ia in ambiti che prima magari richiedevano anni di esperienza: ora si possono creare applicazioni o siti web in metà del tempo, quindi con meno lavoratori, senza sacrificare la qualità. E alcuni sottogruppi, come i neolaureati e i dipendenti dei data center, sono infatti particolarmente vulnerabili all’adozione di questa tecnologia.

Ma dire che è tutta colpa dell’Ia è sbagliato. E più che la perdita di lavoro – come mostrano i dati del Budget Lab della Yale University – quello che preoccupa ora è la frenata di assunzioni, soprattutto nella fascia dei neolaureati per le posizioni da entry levelSecondo il rapporto di Oxford Economics “Educated but unemployed, a rising reality for US college grads”, tra i motivi c’è in primis l’aumento dell’offerta, cioè ci sono più laureati in queste discipline, anche per via del fatto che prima si trovava lavoro più facilmente, ma ora non c’è lavoro per tutti. C’entra poi la correzione dopo l’impennata post-pandemica, di cui parlavamo. Ma c’è pure certo lo zampino dell’Ia, visto che le posizioni entry level sono più facili da automatizzare.

Lo slogan «No hire, no fire», niente assunzioni e niente licenziamenti, si è spezzato quindi a favore del «No hire, more fire», niente assunzioni e più tagli. «I licenziamenti attirano molta attenzione, ma le scarse assunzioni sono molto più importanti per spiegare il raffreddamento del mercato del lavoro», spiega l’economista Guy Berger. Tra l’intelligenza artificiale in rapida evoluzione, l’incertezza globale e la guerra commerciale in atto, quello a cui si starebbe assistendo nel mondo tech è più che altro una riorganizzazione dopo il boom pandemico.

In attesa di capire fin dove si spingerà l’intelligenza artificiale e come cambieranno le figure professionali da qui a pochi mesi, le aziende hanno stretto intanto sulle assunzioni e non sostituiscono quelli che mandano via.

Negli Stati Uniti, il numero di offerte di lavoro per posizioni d’ufficio è il più basso dal 2009. SignalFire, società di venture capital, ha notato che nel 2024 le aziende tech hanno assunto il 25 per cento di neolaureati in meno rispetto al 2023.

Ma l’impatto non è uguale per tutti. Morgan Frank, professore associato all’Università di Pittsburgh, ha studiato il rischio di disoccupazione per professione e ha scoperto che gli unici lavoratori che hanno subito effettivamente un impatto dopo il lancio di ChatGpt nel novembre 2022 sono stati gli impiegati d’ufficio e del supporto amministrativo. Ma per le professioni informatiche e matematiche, nonostante l’alta adozione dell’Ia, «non si nota alcun cambiamento evidente», ha detto. «Sia i lavoratori del settore tecnologico che quelli amministrativi si trovano in un mercato del lavoro più difficile rispetto a un paio di anni fa», ma «sarei scettico sul fatto che l’intelligenza artificiale sia la causa di tutto questo».

Anche perché, nel frattempo, il settore dell’Ia è già alla ricerca spasmodica di nuove figure professionali. Le grandi big dell’intelligenza artificiale, da OpenAi ad Anthropic, sarebbero a caccia di una nuova rara tipologia di sviluppatore software, l’ingegnere forward-deployed, in grado di comunicare con gli utenti e personalizzare i modelli di intelligenza artificiale. Gli annunci di lavoro per questo tipo di ruoli sono aumentati di oltre l’800 per cento solo tra gennaio e settembre di quest’anno.

La tecnologia dà, la tecnologia toglie. «Dai la cera, togli la cera», diceva qualcuno.

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