Orsini (Confindustria): “Superare l’incertezza con incentivi automatici e una nuova politica energetica”

l’appello del presidente
Orsini (Confindustria): “Superare l’incertezza con incentivi automatici e una nuova politica energetica”
Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, chiede un piano industriale triennale e la continuità degli incentivi per superare l’incertezza e rilanciare la crescita strutturale. Le priorità sono chiare: misure automatiche per le PMI sul modello di Industria 4.0, riforma rapida dei Contratti di Sviluppo e la stabilizzazione del successo della ZES Unica nel Sud (28 miliardi di investimenti). Fondamentale – dice Orsini – mobilitare il risparmio privato e definire urgentemente una politica energetica che colmi il gap di costi con l’Europa.

In vista della scadenza del PNRR l’Italia ha bisogno di un piano industriale triennale che possa garantire la continuità delle misure economiche e la stabilità degli investimenti, elementi fondamentali per la competitività: è questo l’appello che lancia il Presidente di Confindustria Emanuele Orsini.
Orsini, intervenuto nell’ambito della presentazione del Rapporto di previsione autunno 2025 del Centro Studi Confindustria (CSC) ha sottolineato l’esigenza di dare continuità alle misure di incentivazione per le imprese (come Transizione 4.0 e Transizione 5.0) garantendo semplificazione, tempi rapidi e certezza del diritto.
Tanti i temi affrontati dal presidente, a commento dei dati che evidenziano i rischi legati all’incertezza degli scenari globali: dalla ZES Unica ai Contratti di Sviluppo, dal decoupling energetico fino alla necessità di ridurre il gap di competitività e produttività con gli altri Paesi.
Necessario garantire la continuità degli strumenti a supporto degli incentivi (che devono essere automatici)
La sfida più immediata per il governo, secondo il presidente Emanuele Orsini, è dare certezze al sistema produttivo, evitando il vuoto che si creerebbe con la scadenza imminente delle misure cruciali.
“È per questo che continuiamo a insistere sulla necessità di un piano industriale di tre anni che garantisca la continuità degli strumenti di supporto, poiché l’incertezza è il principale ostacolo alla crescita”, spiega il presidente.
Nello specifico, la fine degli incentivi di Industria 4.0 e 5.0, del credito d’imposta per la ricerca e sviluppo e del credito d’imposta per il Sud, rischia di compromettere gli sforzi compiuti finora.
Nella definizione delle misure future, sottolinea il presidente, la politica dovrà raccogliere le istanze delle imprese che si concentrano, in primo luogo, sulla necessità di uno strumento automatico. “È questo che ha garantito il successo di Industria 4.0”, commenta.
Voltare pagina su Transizione 5.0
Per quanto riguarda Transizione 5.0, Orsini ricorda come sia stato necessario un lavoro, non semplice, di correzione rispetto all’impostazione iniziale – troppo focalizzata sul Green Deal -, permettendo alla misura di contribuire concretamente al sistema produttivo.
I dati, presentati dal Ministro Urso in un precedente intervento, rivelano infatti che dopo le difficoltà iniziali l’incentivo sta assorbendo circa 300 milioni al mese e che il governo conta quindi di chiudere l’anno con una quota di risorse impiegate pari a 2,5 miliardi di euro.
“Non dobbiamo dimenticare che le risorse stanziate per la misura ammontano a 6,3 miliardi di euro e che quindi c’è un patrimonio che dobbiamo ancora sfruttare”, aggiunge.
Garantire la velocità dei grandi investimenti
La richiesta di strumenti veloci e automatici per le PMI si affianca all’esigenza di riformare le misure dedicate alle grandi imprese.
Per queste ultime il Contratto di Sviluppo è identificato come uno strumento potenzialmente valido, ma che richiede una modifica radicale della normativa attuale.
Orsini ha messo in evidenza l’incompatibilità tra le sfide del mercato globale e la lentezza amministrativa: “Oggi un’istruttoria può durare anche tre anni, ma in questo lasso di tempo possono cambiare profondamente le situazioni di mercato. Abbiamo bisogno di maggiore rapidità per i grandi investimenti e per farlo occorre cambiare il quadro normativo”, aggiunge.
La ZES Unica come modello di certezza e semplificazione
Il Mezzogiorno rappresenta il caso più emblematico di come la certezza del diritto si traduca in investimenti reali.
Citando quanto riportato nel focus del rapporto dedicato al Mezzogiorno, Orsini si riferisce al modello della ZES Unica come la “vera chiave di volta per rilanciare il Paese”.
Il successo del modello è quantificato dai numeri: dalla sua entrata in vigore (agosto 2024) risultano circa 700 le Autorizzazioni Uniche rilasciate dalla Struttura di Missione, con un impatto economico, diretto e indiretto, stimato dalla stessa Struttura in oltre 28 miliardi in termini di investimenti attivati e un’annessa occupazione aggiuntiva di oltre 35.000 unità.
Questo risultato è stato ottenuto, spiega il presidente, perché si è riusciti a “neutralizzare la pubblica amministrazione” garantendo all’investitore chiarezza nei processi e tempi ridotti a 30-60 giorni, rispetto ai 2-3 anni necessari altrove per uno stabilimento greenfield.
Tale rapidità, essenziale per recuperare il gap competitivo con paesi come gli Stati Uniti, deve essere estesa a livello nazionale. Confindustria accoglie positivamente le rassicurazioni sulla ZES Unica avanzate da esponenti del governo sulla continuità dello strumento, purché la misura da temporanea diventi strutturale e, soprattutto, continui a funzionare come prima.
Il gap di competitività e la mobilitazione del risparmio
La necessità di un piano industriale strutturale è amplificata dal crescente gap di competitività con i partner europei.
Orsini cita l’esempio della Germania, che progetta di stanziare 500 miliardi di euro fino al 2037 — circa 40 miliardi l’anno a partire dal 2026 — una cifra che rende difficile il confronto con l’Italia, dove la coperta appare corta anche per gli 8 miliardi che, secondo Confindustria, sono necessari a rifinanziare le misure in scadenza.
Per superare la stagnazione (0,5-0,6% di crescita) e puntare a un 1,5%-2% strutturale, il presidente suggerisce di mobilitare le risorse finanziarie private.
“Sulla falsariga del successo riscontrato nella vendita dei titoli di Stato, l’obiettivo sarebbe intercettare parte del miliardo e mezzo di euro detenuto sui conti correnti privati, inclusi i fondi pensione. Un piano di rilancio basato su questa capitalizzazione, anche solo di 5 miliardi, permetterebbe, attraverso l’uso di garanzie SACE, di generare fino a 100 miliardi di investimenti in tre anni per capitoli essenziali come infrastrutture, welfare, piano casa e digitalizzazione, dimostrando che gli incentivi sono una scelta win-win per lo Stato e l’impresa”, aggiunge.
La questione energetica: attrattività e mix nazionale
Atro tema su cui occorre urgentemente intervenire, sottolinea Orsini, è quello energetico.
L’urgenza del tema è stata sottolineata con l’esempio della Spagna, dove, dice Orsini, “in certi giorni l’energia ha un costo pari a zero”.
Su questo fronte, la richiesta di Confindustria è quella di accelerare il disaccoppiamento tra il costo del gas e il prezzo dell’elettricità e di definire rapidamente un mix energetico nazionale coerente.
Orsini lancia un appello diretto alla politica per superare le contraddizioni che bloccano gli investimenti, in particolare sulle fonti rinnovabili come l’idroelettrico, l’eolico e il fotovoltaico.
“L’opposizione di comitati locali o la mancanza di chiarezza sul nucleare rischiano di pregiudicare l’obiettivo di rendere l’Italia più competitiva. La parola d’ordine resta la velocità d’azione poiché l’energia, se non allineata ai prezzi medi europei, continuerà a minare la possibilità di crescita del Paese”, conclude.
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