Pace: «Leone XIV a Nicea per un incontro tra fratelli»


«La visita di Leone XIV a Nicea – la moderna İznik, a 130 km da Istanbul – risponde a un desiderio che era già nel cuore di papa Francesco e che era stato confermato fino all’ultimo periodo della sua vita. Ovviamente il programma è ancora in via di definizione, però possiamo dire che avrà il carattere di un incontro tra fratelli, riconoscendo che il Concilio di Nicea è un patrimonio di fede comune a tutti i cristiani».
A dirlo è monsignor Flavio Pace, segretario del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che aggiunge. «L’auspicio è appunto che davvero si possano incontrare i fratelli di tutte le tradizioni cristiane a commemorare il fondamento della nostra fede comune, con una presenza ecumenica ampia, la più ampia possibile».
Il viaggio apostolico – in programma dal 27 novembre al 2 dicembre – farà tappa dal 30 novembre anche in Libano, una terra segnata da conflitti e difficoltà. Si tratta di un ulteriore segno di dialogo?
La fraternità è ciò che spinge il Papa a visitare, subito dopo la Turchia, il Paese dei Cedri, mai toccato dai viaggi apostolici di papa Francesco, luogo di convivenza ecumenica e anche interreligiosa da molti secoli, assai prima dell’enciclica Fratelli Tutti e della dichiarazione sulla fratellanza universale firmata con l’Imam di Al-Azhar. Il Libano è un Paese-messaggio come lo definì San Giovanni Paolo II, un “laboratorio” per papa Benedetto XIV, perché vi si sperimenta la convivenza tra diverse fedi cristiane e con le altre religioni. Per questo è una promessa, indicando che, in un mondo sempre più lacerato e diviso, i cristiani si rimettono decisamente in cammino verso un’auspicata unità.
Anche la data scelta per il viaggio, nel periodo della festa liturgica di Sant’Andrea, ha un significato?
Sì. È tradizione che, nel corso del primo anno o di quello immediatamente successivo di un pontificato, sia il Santo padre a recarsi a Istanbul in occasione della festa di Sant’Andrea. Ricordiamo che Andrea, fratello di Pietro, è il protoclitòs – come lo chiamano i greci -, ossia il primo chiamato, che incontra il Messia e lo dice a Pietro. Quindi la sua memoria richiama uno stimolarci a vicenda nell’incontro con il Signore, riconducendoci sempre a Lui che è la sorgente della comunione e dell’unità.
Il patriarca Bartolomeo, che la settimana scorsa è stato a Milano, ha sottolineato che questo viaggio è un modo per ribadire l’importanza del dialogo ecumenico «da cui non si torna indietro». Possiamo leggere questa visita di papa Leone anche come una seminagione di pace non solo tra le fedi, ma per il mondo?
È una dimostrazione della credibilità dell’annuncio e della testimonianza cristiana di tutte le Chiese, perché non possiamo solo pregare per la pace, chiedendo che i governanti facciano la pace, quando tra di noi non custodiamo la bontà delle relazioni. Per questo possiamo dire che il viaggio apostolico a Nicea – il primo di un Papa là dove si è celebrato il I Concilio ecumenico 1700 anni fa – è anche una purificazione del passato e del presente per diventare più credibili nel chiedere il dono della pace al Signore.
La visita si colloca cronologicamente anche in un momento molto vicino alla solennità di Sant’Ambrogio, uno dei padri della Chiesa indivisa. Per noi ambrosiani l’indicazione di una responsabilità ulteriore?
Certamente. Inoltre, proprio il 7 dicembre ricorre il 60esimo anniversario dell’evento nel quale Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, facendo seguito alla visita di San Paolo VI a Gerusalemme nel 1964, si tolsero le reciproche scomuniche con una Dichiarazione comune letta contemporaneamente, il 7 dicembre 1965, in un incontro pubblico nell’ambito del Concilio Vaticano II a Roma e in occasione di una cerimonia speciale a Costantinopoli. Occorrerebbe riflettere sul fatto gli incontri e tutte le tappe ecumeniche di questi ultimi 60 anni, dopo il Concilio, non sarebbero state neanche pensabili valendo ancora la scomunica vicendevole. Allora, infatti, non ci si poteva nemmeno parlare, né a livello di vertici della Chiesa, né del popolo di Dio. Dobbiamo renderci conto di queste rivoluzioni epocali, non dare nulla per scontato, essendo memori del passato del dialogo ecumenico per andare ancora più avanti, sospinti allo Spirito, sempre il vero protagonista di tale dialogo. I protagonisti non sono i Tavoli ecumenici, per quanto importanti, che altrimenti servono solo delle strategie.
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