Perché ad alcuni investitori i titoli dell’IA ricordano la bolla delle dotcom

Agosto 27, 2025 - 22:30
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Perché ad alcuni investitori i titoli dell’IA ricordano la bolla delle dotcom

Alla fine degli anni ’90, c’era una sola narrativa sulla bocca di ogni broker. Il cosiddetto world wide web avrebbe cambiato tutto della nostra vita: il modo in cui compriamo e vendiamo beni, interagiamo con gli amici, facciamo ricerca e costruiamo la nostra carriera. Sarebbe stato impossibile immaginare la vita senza di esso.

Quella narrativa si è avverata su una scala persino superiore alle previsioni, ma potrebbe non sembrare così a chi ha investito nella mania del tempo. Prima arrivò il crollo del marzo 2000, che alla fine portò il mercato azionario a perdere il 49%. Ancora peggio, se avessi mantenuto i 10 titoli tecnologici con la maggiore capitalizzazione di mercato dall’inizio del 2000, entro il 2015 tutti e 10 avrebbero reso meno dell’S&P 500. Oggi, a distanza di un quarto di secolo, le uniche azioni che hanno superato il mercato sono Microsoft e Oracle. Tutte le altre—nomi come Cisco, Intel, Qualcomm e IBM—hanno profondamente deluso gli investitori.

La lezione della bolla dotcom

È una lezione di cautela per gli investitori di oggi, che hanno fatto salire i prezzi sulla convinzione che l’intelligenza artificiale rivoluzionerà il mondo così come fece internet. Il settore IT rappresenta oltre il 33% dell’indice S&P 500, raggiungendo i livelli della bolla dotcom di fine anni ’90. Il solo produttore di semiconduttori Nvidia pesa per l’8% dell’indice grazie a una capitalizzazione di 4.300 miliardi di dollari, decuplicata in tre anni. Ma anche se l’IA sarà davvero trasformativa come molti si aspettano, i titoli che finora ne hanno beneficiato di più potrebbero non essere i vincitori del futuro.

“È importante distinguere tra titoli e aziende. Queste sono ottime aziende con ottimi prodotti”, afferma Rob Arnott, fondatore e presidente della società di consulenza Research Affiliates, con sede a Newport Beach, California. “Le bolle scoppiano non perché la storia sia del tutto sbagliata, ma perché ai margini lo è. La storia sul tasso di crescita, sull’orizzonte temporale della crescita, è irrealisticamente ottimistica, e il rischio che la concorrenza eroda le quote di mercato viene sottovalutato”.

Questione di multipli…

Oggi l’S&P 500 è scambiato a circa 30 volte gli utili, ben più caro della media storica intorno a 20. Il Nasdaq 100 ha un P/E di 33. Al picco della bolla dotcom, nel 2000, l’S&P 500 aveva un multiplo di 34, mentre il Nasdaq 100 superava 70. Gran parte di questo premio oggi è dovuto ai titoli tecnologici, che nel complesso trattano a 41 volte gli utili e quasi 10 volte le vendite nell’S&P 500. Nvidia ha un multiplo di 57 e vale 29 volte i suoi 148,5 miliardi di dollari di ricavi annui. Broadcom, un altro produttore di chip, salito di oltre il 400% dall’inizio del 2023 fino a superare i 1.000 miliardi di capitalizzazione, è valutato 110 volte gli utili.

Le valutazioni sono ancora più sconcertanti per alcune società più piccole. Le azioni di Palantir Technologies, che produce software di data mining, sono esplose del 2.400% dall’inizio del 2023. L’azienda ha raggiunto 3,4 miliardi di ricavi negli ultimi 12 mesi, con una crescita annua del 39%, ed è diventata profittevole, ma oggi la sua capitalizzazione è oltre 100 volte quel fatturato. Advanced Micro Devices, un altro produttore di chip cresciuto cento volte nell’ultimo decennio, ha un P/E di 97.

… e di tempismo

Questi premi hanno continuato a crescere per tutta l’estate. L’S&P 500 è salito del 30% dall’8 aprile, rendendo irrilevante il crollo del 19% causato dai dazi a inizio anno, e toccando rapidamente nuovi massimi storici. L’ETF Global X Artificial Intelligence & Technology è salito del 43% nello stesso periodo. Una generazione di investitori ha imparato a “comprare sul ribasso” e ne è stata premiata per 16 anni. Così, nonostante i timori su dazi, inflazione e indebolimento del mercato del lavoro, i capitali continuano ad affluire.

“Nelle prime fasi domina il Fomo, la paura di restare fuori. Ma quando la bolla matura, è una sorta di compiacenza nervosa a spingere la gente nel mercato”, spiega Jim Stack, presidente e fondatore di InvesTech Research. “Non è che si aspettino grandi guadagni, ma non sopportano l’idea di restarne esclusi”.

Teoricamente, le bolle azionarie possono ridimensionarsi gradualmente nel tempo, con i prezzi che si stabilizzano mentre i fondamentali li raggiungono, ma Stack nota che nella realtà spesso si arriva a un atterraggio duro. La sola incognita è quando. Travis Prentice, CIO di Informed Momentum Company (2,4 miliardi di dollari in gestione), possiede titoli tecnologici “volanti” come Nvidia e Broadcom nel suo fondo large cap USA basandosi sul momentum. A suo avviso, un segnale d’allarme sarebbe una reazione negativa del mercato a una trimestrale, anche se superiore alle stime degli analisti.

“Quando un’azienda perde momentum e inizia a invertire il trend, in quel punto bisogna muoversi”, dice Prentice. “Se aspetti che i fondamentali crollino del tutto, è già troppo tardi”.

La fine dei Quattro Cavalieri

Gli investitori più esperti temono di aver già visto questo film. All’epoca della bolla dotcom non c’erano i “Magnifici Sette”, ma i “Quattro Cavalieri”: Cisco, Intel, Dell e Microsoft. Cisco, allora leader delle apparecchiature che costituivano l’infrastruttura di internet, era considerata inattaccabile e con prospettive di crescita meteoritiche. Per un breve periodo divenne la società di maggiore valore al mondo, con una capitalizzazione di 555 miliardi di dollari nel marzo 2000 e un P/E superiore a 150. Due anni dopo, il 90% di quel valore era evaporato. Oggi, nonostante abbia triplicato i ricavi in 25 anni fino a 57 miliardi, vale ancora solo la metà di allora.

Intel è anch’essa rimasta indietro. Dell è crollata in modo spettacolare, per poi rinascere grazie al ritorno di Michael Dell, ma gli azionisti non furono ricompensati quando la società fu ritirata dal listino nel 2013 a un prezzo molto più basso rispetto ai massimi. Microsoft è l’unico Cavaliere che ha premiato chi ha tenuto duro nonostante un crollo del 73% negli anni 2000, anche se la ricompensa arrivò solo molto più tardi.

“C’è questa idea che i moat ti proteggano, e forse lo fanno per un paio d’anni”, afferma Arnott. “Ma se hai margini di profitto del 50%, i tuoi concorrenti faranno di tutto per entrare in quel business ad alto margine”.

Un approccio diverso

L’approccio preferito da Arnott non esclude del tutto i titoli più costosi, ma li pondera in modo più razionale, senza farsi guidare dalla capitalizzazione di mercato. Research Affiliates gestisce 159 miliardi di dollari e il suo indice RAFI Fundamental Index, alternativa al classico indice ponderato per capitalizzazione, pesa le aziende in base a vendite aggiustate, flussi di cassa, valore contabile, dividendi e buyback.

Il risultato è un paniere molto diverso e meno concentrato dell’S&P 500. Al 30 giugno, Apple era il titolo con il peso maggiore nel suo U.S. Fundamental Index al 4,1% (comunque meno del 5,7% che ha nell’S&P 500), e l’intero settore tecnologico rappresentava solo il 17%. Nvidia pesava meno dell’1%, mentre colossi energetici come Exxon Mobil e Chevron figuravano tra i primi dieci.

Questa strategia avrebbe sovraperformato sia l’S&P 500 sia il Russell 1000 Value tra il 1998 e il 2003, cioè durante la fase di inflazione e scoppio della bolla internet, e Arnott si aspetta che funzioni di nuovo. Anche se Nvidia difficilmente crollerà come Cisco, sarà comunque complicato mantenere le altissime aspettative che il mercato le ha attribuito.

“Non credo rischi di perdere il 90%”, afferma Arnott, “ma penso rischi di avere nei prossimi dieci anni un rendimento totale vicino allo zero”.

Nvidia e i suoi simili potrebbero continuare a far crescere vendite e utili a ritmi impressionanti con l’avanzare dell’adozione dell’IA. Ma agli investitori basta guardare un po’ indietro nella storia per preoccuparsi di quanto di quella crescita sia già scontata nei prezzi.

L’articolo Perché ad alcuni investitori i titoli dell’IA ricordano la bolla delle dotcom è tratto da Forbes Italia.

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