Perovskiti più stabili grazie a una scoperta inattesa dei ricercatori svedesi
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Tecnologia di Chalmers, in Svezia, ha fatto luce su un mistero che da anni accompagna i materiali perovskitici a base di alogeni, considerati tra i più promettenti per la prossima generazione di celle solari. Grazie a simulazioni avanzate e al supporto del machine learning, il team ha individuato una fase a bassa temperatura finora sconosciuta di uno dei composti più studiati, lo ioduro di piombo e formamidinio, capace di assumere uno stato definito “semi-stabile”. Una scoperta che potrebbe aprire nuove prospettive per l’efficienza e l’affidabilità di queste tecnologie energetiche.
Le perovskiti alogenuri hanno conquistato un ruolo di primo piano nel panorama delle energie rinnovabili negli ultimi vent’anni. Leggere, versatili e dalle eccellenti proprietà ottiche, hanno spinto molti a definirle l’alternativa ideale al silicio per pannelli solari e dispositivi a LED. Tuttavia, la loro fragilità e i complessi meccanismi di degradazione ne hanno frenato finora la diffusione su larga scala. Lo ioduro di piombo e formamidinio, ad esempio, offre prestazioni straordinarie in laboratorio, ma soffre di instabilità strutturale che ne limita l’uso commerciale.
Il nodo era proprio la scarsa conoscenza del comportamento di questo materiale a basse temperature. Come ha spiegato la ricercatrice Sangita Dutta, il tassello mancante riguardava la struttura cristallina in condizioni estreme di raffreddamento.
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