Quando la rinascita di un ragazzo passa da un canile. La storia di Aldo

Quella stretta tra il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità e la Fondazione Cave Canem è un’alleanza inedita e dal grande valore sociale. Le due realtà, infatti, hanno firmato un protocollo d’intesa che mette al centro due fragilità dimenticate – i giovani autori di reato e i cani vittime di abbandono e maltrattamenti – per trasformarle in percorsi di crescita, cura reciproca ed emancipazione.
Una collaborazione virtuosa
Questa collaborazione punta alla realizzazione di programmi formativi e professionalizzanti per offrire strumenti concreti di cambiamento. In base al protocollo d’intesa, infatti, i ragazzi ammessi all’istituto della messa alla prova potranno entrare a far parte del team di campo della Fondazione, accanto ai cani nei rifugi, oppure della squadra d’ufficio, contribuendo alla comunicazione digitale per promuovere le adozioni.
I cani, a loro volta, saranno accompagnati in percorsi di socializzazione per ritrovare fiducia negli esseri umani.
Giovani e cani, percorsi paralleli
Due percorsi paralleli, che significano emancipazione dal reato per i giovani e rinascita dopo il trauma per gli animali. I ragazzi coinvolti opereranno negli Hub Cave Canem a partire da quello in fase di allestimento nel quartiere San Basilio a Roma, oltre che nei canili rifugio e nei luoghi che collaborano con la Fondazione.
Cave Canem non è nuova a questo tipo di attività che mettono insieme la difesa degli animali e l’emancipazione dei giovani.
Il progetto “Cambio rotta”
Aldo Marimpietri, 24 anni, circa sei anni fa è stato uno dei ragazzi che ha sperimentato il progetto “Cambio rotta”. L’obiettivo era quello di accompagnare i giovani per tutta la durata della messa alla prova, fino al superamento con successo della stessa e la contestuale estinzione del reato (per lui si trattata dell’articolo 73), facilitando il loro reinserimento nel contesto familiare e sociale e avvicinandoli al mondo del lavoro.

«Avevo 19 anni e la mia assistente sociale mi ha proposto le attività da fare per la mia messa alla prova» ricorda Aldo Marimpietri, raccontando l’inizio della sua esperienza.
Dapprima gli è stato proposto un percorso in un’associazione che aiutava dei ragazzi con disabilità. «Il mio problema non era che dovevo seguirli, ma dopo un paio di incontri ho chiesto di cambiare».
(Aldo Marimpietri in un’immagine recente con uno dei cani del canile durante una gita sulla neve)
Perché?
Non era un’attività per me. I ragazzi erano fortissimi, ma il rientrare in un ambiente scolastico non era per me. Così la mia assistente sociale si è messa in contatto con Federica Faiella (presidente della Fondazione Cave Canem, ndr.) e poi ho conosciuto il mio tutor.
Com’è andata?
Va premesso che io ho sempre amato i cani. Ho subito avuto un impatto positivo, mi sono detto che era una figata stare lì anche se Valle Grande (il più grosso canile comunale di Roma) è molto impattante. Ci sono 480 cani chiusi dei loro box.
Quanto è durata la messa alla prova e che cosa doveva fare?
Dieci mesi per due giorni alla settimana di attività. Erano tre ore al giorno nei pomeriggi di martedì e venerdì. Non ero l’unico ed eravamo seguiti dai nostri tutor. Ci spiegavano come familiarizzare con i cani, poi ci facevano fare delle piccole cose. Ci hanno insegnato che cosa vuol dire stare con i cani. Eravamo in sei a fare il percorso della messa alla prova, c’era qualcuno più piccolo di me, ma più o meno avevamo tutti tra i 18 e i 21, anche se il reato lo avevamo commesso da minorenni.
Torniamo all’esperienza di quei dieci mesi…
All’inizio non avevo una vera e propria consapevolezza, la spinta che mi faceva andare in canile era il cambiamento che vedevo nell’animale che mi era affidato, uno sguardo diverso, mi veniva la pelle d’oca nell’osservare come aveva iniziato a seguirmi. Un’emozione vedere come il cane ti riconosce. Devo dire che è stata un’esperienza che mi ha dato davvero molto. Poi ho ottenuto una borsa lavoro sempre con fondazione Cave Canem e ho fatto l’apprendistato come educatore cinofilo.
Un’esperienza che ti ha cambiato quindi?
Sì, credo di aver avuto un’evoluzione totale. Mi ha cambiato la vita. Dai miei errori mi è stata data una seconda possibilità. Non tutti quelli che hanno iniziato con me hanno fatto lo stesso percorso. Io ho cercato di cogliere l’opportunità che mi era stata data da Mirko (Zuccari, dog trainer manager di Cave Canem) e da Federica (la presidente della fondazione). Per me è stata una vera chance di cambiamento e da un paio d’anni sono un educatore cinofilo del team di campo. E mi ritrovo a fare da tutor a ragazzi che sono come ero io anni fa.
Un’esperienza e un modello
Quello proposto dalla Fondazione Cave Canem vuole essere un modello integrato di recupero e adozione per cani abbandonati, di accelerazione professionale per giovani under 35, con un accesso privilegiato a giovani donne, soggetti in fragilità socio-economica e minori in percorsi di giustizia riparativa.
In apertura una delle attività con i cani – Tutte le immagini sono da ufficio stampa
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