Shelby Oaks Il Covo Del Male Recensione

Novembre 14, 2025 - 10:30
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Shelby Oaks Il Covo Del Male Recensione

Shelby Oaks Una delle cassette registate dalla troupe del filmFin dal suo primo trailer, Shelby Oaks ha catturato la mia totale attenzione, l'incredibile somiglianza stilistica con uno dei miei cult preferiti, The Blair Witch Project, ha immediatamente creato un'aspettativa enorme, quasi ingombrante. Sapevo già che non avrei avuto mezze misure per questo film: o l'avrei amato o l'avrei odiato. Posso confermarvi che la visione è stata esattamente il rollercoaster emotivo e critico che temevo (e, in parte, speravo), ancora adesso, a distanza di ore, sto cercando di metabolizzare e mettere ordine il turbine che mi si è creato di opinioni contrastanti, questo perché Shelby Oaks è un'opera profondamente diseguale: un mix frustrante e al tempo stesso affascinante di intuizioni brillanti e cadute quasi rovinose. È un film difficile da giudicare d'impeto, per questo, andiamo con ordine e analizziamolo punto per punto.

Una scenografia perfetta per quello che l'opera vuole raccontare

Voglio essere immediatamente chiaro: se Shelby Oaks ha un trionfo indiscutibile, un elemento che da solo giustifica quasi la visione, questo risiede nel suo straordinario comparto tecnico-visivo. Non parlo banalmente di "scenografia" nel senso di set e oggetti, ma dell'intera messa in scena: la fotografia, la grana dell'immagine, la gestione della luce (o, più spesso, della sua assenza), è qui che il film tocca le sue vette più alte. Fin dalle prime inquadrature, sono stato investito da quel feeling pseudo-realistico, grezzo e quasi tangibile, che credevo perduto, è un ritorno potente a quella specifica estetica analogica dei primi anni 2000, che evocava più i nastri VHS consumati e i primi, inquietanti video di Internet che non il cinema patinato. Nell'era della perfezione digitale, dove ogni immagine è pulita e stabilizzata, Shelby Oaks abbraccia l'imperfezione come strumento narrativo, l'immagine è sporca, a volte sfocata; la camera a mano non è solo "mossa", è insicura, come se chi la tiene avesse paura. È proprio questo che fa scattare il paradosso del genere found footage: l'estetica amatoriale, la voluta "bruttezza" tecnica, frantuma la barriera dell'incredulità molto più efficacemente di qualsiasi effetto speciale. Il cervello smette di processare l'opera come "un film" e inizia a vederla come "un documento". Quella sensazione di realismo viscerale, che solo quel tipo di cinema (da Blair Witch a Cannibal Holocaust) sapeva evocare, non deriva dalla perfezione, ma dall'autenticità dell'errore, e Shelby Oaks, almeno in questo, è un maestro. [caption id="attachment_1111577" align="aligncenter" width="1200"]Shelby Oaks Una delle scene migliori del film, che incanala perfettamente lo stile found footage Una delle scene migliori del film, che incanala perfettamente lo stile found footage[/caption]

Un film con una doppia facciata, che però finisce per perdere la propria identità

Tuttavia, Shelby Oaks nasconde un problema strutturale enorme, una sorta di "disturbo d'identità" narrativa che finisce per danneggiarlo irreparabilmente: il film ha una doppia faccia. Per tutta la prima metà, la pellicola costruisce un'illusione perfetta, stabilisce un patto di ferro con lo spettatore, convincendoti che stai guardando un'opera puramente found footage. Ti educa a quelle regole: la visuale limitata, il punto di vista soggettivo, l'assenza di montaggio cinematografico classico. Ti immerge in quella realtà e tu ci credi, venendo profondamente illuso da questa narrativa. Poi, inspiegabilmente, il film decide di tradire le sue stesse premesse. Nella seconda metà, avviene un cambio di registro brusco e spiazzante: Shelby Oaks abbandona la strada del falso documentario per imboccare quella, ben più sicura e banale, del classico horror moderno, improvvisamente compaiono inquadrature esterne impossibili per i personaggi, un montaggio convenzionale e una grammatica visiva pulita e standardizzata. Il risultato è straniante nel modo sbagliato, quella forte identità, grezza e angosciante, che aveva reso la prima parte così magnetica, si diluisce fino a scomparire. Passando dal "filmato ritrovato" al "film horror da multisala", l'opera smette di essere un'esperienza immersiva unica e diventa "solo un altro film", perdendo quel senso di pericolo reale che solo la costrizione del punto di vista in prima persona riusciva a garantire. È come se il film avesse avuto paura della sua stessa originalità, rifugiandosi nel già visto proprio sul più bello. [caption id="attachment_1111578" align="aligncenter" width="1200"]Shelby Oaks La prigione presente nel film La prigione presente nel film[/caption]

Con dei conseguenti scivoloni narrativi sempre nella seconda parte

Purtroppo, il crollo non è soltanto stilistico, ma si riflette drammaticamente anche sulla scrittura, la narrazione nella seconda parte, sembra perdere completamente la bussola. Fino a quel momento, il film aveva costruito con pazienza una mitologia paranormale affascinante, ambigua, fatta di non detti e di minacce invisibili, aveva creato un'atmosfera in cui la paura nasceva proprio dal non capire cosa stesse accadendo, poi, improvvisamente, la sceneggiatura decide di banalizzare tutto. Quell'aura di mistero originale viene spazzata via per far posto al "solito" repertorio dell'horror commerciale: ecco spuntare il classico demone, con annessa la più prevedibile delle possessioni, è come se il film, non sapendo come risolvere l'enigma che aveva creato, avesse deciso di copiare i compiti da L'Esorcista o The Conjuring, scadendo in cliché visti e rivisti centinaia di volte. Ma il vero peccato capitale di Shelby Oaks è un altro, ed è forse l'errore più grave e diffuso nell'horror moderno: l'eccesso di informazioni. C'è un momento preciso in cui la paura muore, ed è il momento in cui il mostro viene spiegato, il momento in cui ti viene dato anche il suo nome e cognome, il film cade nella trappola di voler razionalizzare l'irrazionale, iniziando a bombardare lo spettatore con dettagli superflui sull'identità dell'entità, sulle sue origini, sulle sue regole. Sviscerare ogni dettaglio del "mostro" non lo rende più spaventoso, lo rende solo... gestibile, trasforma un'orrore cosmico e incomprensibile in un semplice "cattivo" da sconfiggere, fornendo tutte queste risposte, il film demistifica la minaccia, togliendole quel potere suggestivo che aveva dominato la prima metà dell'opera e lasciandoci con la delusione di chi ha appena visto un trucco di magia svelato troppo presto. Andando di conseguenza a distruggere, tutta quella atmosfera orrorifica che Shelby Oaks, ha creato durante la sue pime battute. [caption id="attachment_1111579" align="aligncenter" width="1200"]Shelby Oaks Quando tutto va a scemare Quando tutto va a scemare[/caption]

Una prima metà da 9 con una seconda 5

Tirando le somme, questa recensione si chiude con un retrogusto incredibilmente amaro. Voglio essere onesto fino in fondo: se Shelby Oaks avesse avuto il coraggio di perseverare sulla strada tracciata nella sua prima ora, mantenendo quella coerenza stilistica e quella tensione narrativa fino ai titoli di coda, non avrei esitato un istante a gridare al miracolo, sarei stato pronto a sbilanciarmi, assegnando un voto altissimo, un 9 pieno, celebrando la nascita di un nuovo cult istantaneo. Purtroppo, la realtà è ben diversa e non posso ignorarla. La rovinosa caduta di stile e scrittura che caratterizza il "secondo tempo" non è un dettaglio trascurabile, ma una zavorra che affonda l'intero progetto, di conseguenza, mi trovo costretto, quasi a malincuore, a ridimensionare drasticamente la valutazione finale, non posso premiare un film che decide di smettere di funzionare a metà strada. È un vero peccato, forse il più grande di quest'anno in ambito horror, per buona parte della visione ho cullato l'illusione di trovarmi finalmente di fronte a un prodotto degno, fresco e necessario, capace di scuotere un'industria spesso stagnante, invece, quella promessa è andata progressivamente a scemare, spegnendosi nella banalità proprio quando doveva esplodere, lasciandomi con la frustrazione di aver assaggiato un capolavoro che, alla fine, non c'è stato. Vi lascio infine il trailer del film per dare contesto a questa recensione.

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