Si avvicina la fine del segreto salariale e delle differenze di paga tra uomo e donna?

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L’Unione Europea (e quindi anche l’Italia) si prepara a una svolta sul fronte della parità retributiva: i paesi membri si devono adeguare e recepire la direttiva che porrà fine al segreto salariale e tentare di arginare le differenze di paga tra uomo e donna.
Con l’adozione della direttiva 2023/970, entrata in vigore nell’agosto 2023, l’Unione Europea ha fissato un obiettivo chiaro: ridurre le disparità retributive di genere e superare definitivamente la pratica del cosiddetto “segreto salariale”. Si tratta di un passaggio cruciale che impone agli Stati membri, Italia compresa, di recepire le nuove regole entro il 7 giugno 2026.
Le novità
Il testo introduce misure vincolanti che mirano a rendere più trasparenti i rapporti di lavoro fin dal momento della candidatura. Le imprese, infatti, saranno obbligate a specificare nelle offerte di lavoro lo stipendio iniziale o la fascia retributiva collegata alla posizione, in modo da garantire fin dall’inizio pari condizioni di accesso. Parallelamente, i datori di lavoro non potranno più chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni passate, pratica che spesso contribuiva a perpetuare squilibri già esistenti tra uomini e donne.
Una volta assunto, ciascun dipendente avrà il diritto di ottenere informazioni dettagliate sulla media degli stipendi percepiti da colleghi e colleghe che ricoprono lo stesso ruolo o un incarico di valore equivalente. Non solo: le aziende saranno chiamate a chiarire anche i criteri che regolano avanzamenti di carriera e aumenti di stipendio, che dovranno basarsi su parametri trasparenti, imparziali e privi di qualsiasi riferimento al genere.
Un altro tassello fondamentale riguarda i sistemi di monitoraggio. Le imprese con più di 250 addetti dovranno redigere ogni anno un rapporto ufficiale sul divario retributivo interno e inviarlo alle autorità competenti. Per le realtà di dimensioni medie, l’obbligo scatta ogni tre anni, mentre le aziende con meno di cento dipendenti resteranno escluse da questi adempimenti. Tuttavia, se da queste rilevazioni dovesse emergere una disparità superiore al 5% non giustificabile da elementi oggettivi, scatterà l’obbligo di una revisione congiunta delle buste paga insieme ai rappresentanti sindacali.
Per rafforzare la portata della norma, la direttiva prevede anche forme di risarcimento per i lavoratori che subiscono discriminazioni retributive e introduce sanzioni economiche, incluse multe, nei confronti dei datori di lavoro inadempienti.
Un’Europa divisa sul fronte del gender pay gap
Nonostante l’obiettivo comune fissato dall’UE, la realtà nei diversi Stati membri mostra un panorama disomogeneo. I dati Eurostat fotografano una situazione a due velocità: da un lato Paesi dove le differenze restano significative, dall’altro contesti in cui il divario appare più contenuto.
L’Estonia guida la classifica con una forbice del 21,3% tra i salari di uomini e donne. Seguono Austria (18,4%), Repubblica Ceca (17,9%) e Germania (17,7%), dove le disuguaglianze restano radicate. All’estremo opposto, i Paesi con scarti minimi sono Belgio (5,0%), Romania (4,5%) e Italia (4,3%). Caso particolare è il Lussemburgo, dove le donne guadagnano in media lo 0,7% in più degli uomini, un’anomalia che rovescia la tendenza comune.
L’Italia e la sfida della trasparenza salariale
In Italia, nonostante i dati ufficiali Eurostat indichino un gap ridotto rispetto ad altri Stati, la situazione resta complessa. L’ultima indagine Istat, diffusa nel gennaio 2025, rileva che le lavoratrici dipendenti percepiscono in media il 5,6% in meno dei colleghi. Nel 2022 la retribuzione oraria lorda si è attestata a 16,8 euro per gli uomini contro 15,9 euro per le donne.
La distanza diventa più marcata se si guarda al livello di istruzione. Tra i laureati, la forbice sale al 16%: un uomo con titolo universitario guadagna circa 24,3 euro lordi l’ora, mentre una donna con la stessa qualifica si ferma a 20,3 euro. Questo si traduce, in termini annuali, in uno stipendio di 30 mila euro lordi contro 25.200, ovvero 4.800 euro in meno. Una disparità che dimostra come l’istruzione, da sola, non sia sufficiente a garantire un trattamento economico equo.
Una transizione complessa
La direttiva europea, dunque, rappresenta un passo avanti importante, ma la sua attuazione non sarà priva di ostacoli. Per molte imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, la raccolta e la comunicazione dei dati salariali potrebbero trasformarsi in un adempimento oneroso. Inoltre, la trasparenza potrebbe far emergere disuguaglianze finora taciute, innescando conflitti interni e vertenze legali.
Resta infine una questione di mentalità: le norme possono ridurre i margini di discrezionalità e imporre regole uguali per tutti, ma senza un cambiamento culturale profondo, il rischio è che le disparità continuino a manifestarsi in forme più sottili, difficili da misurare e da contrastare.
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