Sì, no, forse, in ogni caso il centrosinistra ha paura di sbagliare sul referendum

Novembre 5, 2025 - 08:00
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Sì, no, forse, in ogni caso il centrosinistra ha paura di sbagliare sul referendum

Scatta già il meccanismo delle adesioni al comitato per il Sì, a quello per il No e politici, giuristi, intellettuali, scrittori, attori e quant’altro vanno riempiendo le curve del referendum sulla separazione delle carriere. Tra i dottori della legge, i duelli s’infervorano, anche tra giuristi progressisti: ieri Luciano Violante ha perorato il No sul Corriere della Sera e Augusto Barbera la causa del Sì sul Foglio, due dotti testi tali che il cittadino digiuno di leggi e commi si può essere dapprima convinto delle argomentazioni violantiane e poi anche da quelle barberiane.

Se poi il dilemma da giuridico diventa politico, va ancora peggio, come ha scritto su Linkiesta Francesco Cundari. Si spaccano i riformisti del Partito democratico, con Stefano Bonaccini che annuncia il No (ma anche altri riformisti che pure hanno rotto con il presidente del Pd voteranno così), mentre gli aderenti a LibertàEguale – Petruccioli, Morando, Ceccanti, Mancina – voteranno Sì. Il dilemma squassa – prendiamo un altro esempio: Italia viva.

Matteo Renzi sarà ospite venerdì del Festival di Linkiesta a Milano: come voterà il suo partito? La voce che circola è che Italia viva darà ai suoi sostenitori libertà di coscienza. Un’indicazione in qualche modo coerente con il voto di astensione che il partito ha espresso in Parlamento sulla riforma Nordio, che Renzi ha definito in Senato «una riformicchia».

La scelta, in effetti, non è semplice. Per quanto imperfetta e criticabile, per esempio sulla questione del sorteggio, la riforma del governo tocca un punto che storicamente fa parte della cultura antigiustizialista di Italia viva e, in generale, dei liberali, qual è appunto la separazione delle carriere dei magistrati: difficile dire No senza entrare in contraddizione con una battaglia decennale. Carlo Calenda per esempio vota a favore della riforma. È facile immaginare che un radicale storico come Roberto Giachetti, ora in Italia viva, voterà Sì.

E tuttavia, votare a favore in un referendum che oggettivamente è intestato al governo è parimenti contraddittorio per un uomo politico come Renzi, che si distingue forse più di altri nell’opposizione a Giorgia Meloni, indicando da tempo il rischio di vederla traslocare al Quirinale nel 2029, dopo aver vinto le prossime elezioni politiche.

Quello che allora va inquadrato bene e su cui si possono avere valutazioni diverse e finanche opposte è il nesso tra il referendum e, appunto, le prossime politiche: in che misura, cioè, una vittoria del Sì spianerebbe la strada all’affermazione della destra alle elezioni? Non sta scritto da nessuna parte che Meloni, pur perdendo il referendum, non possa poi vincere le politiche. E alla rovescia il ragionamento vale anche per Elly Schlein, con la quale, tra l’altro, Renzi non vorrebbe dissentire votando Sì mentre lei guida il fronte del No.

Non solo. È stato proprio Renzi a sostenere che, in caso di vittoria del No, la presidente del Consiglio si dovrà dimettere. Se questa è la premessa, la conseguenza dovrebbe essere che lui voterà, appunto, No. Ma non sempre, in politica, la logica è così ferrea. Un’idea forte sarebbe quella di invocare un voto libero dalle logiche di partiti, di schieramento, ma le cose si stanno già mettendo nel senso della battaglia campale.

Insomma, è la classica situazione della padella e della brace in cui qualunque cosa fai rischi di sbagliare. È la contraddizione in cui si trovano in tanti nel centrosinistra che, come al solito, è l’unico luogo squassato dal dilemma (a destra non c’è nessun problema, forse al massimo ci sarà per qualche ex missino che non ce la fa proprio a votare «contro» i magistrati).

Ecco dunque che la scelta di Renzi è complicata. Come, similmente, per molti riformisti che votano Pd, come ha osservato ieri Angelo Panebianco sul Corriere della Sera. Lasciare libertà di coscienza, dunque, per Italia viva potrebbe essere una via d’uscita, qualcosa che alluda a un referendum sul merito e non sulle convenienze dei partiti e del governo.

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Redazione Redazione Eventi e News