Sono le scelte politiche, degli Stati e degli individui, a rendere l’Europa più forte

Ottobre 23, 2025 - 18:00
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Sono le scelte politiche, degli Stati e degli individui, a rendere l’Europa più forte

Come facciamo l’Europa? I modi possibili sono tre. Una modalità top-down calata dall’altro; il furore della passione creatrice; la convergenza della ragione. Il primo modo è quello del grande progetto e del grande piano industriale. È la modalità – sulla carta – perfetta: numeri, obiettivi, step. Ma questa strada comporta molti rischi: da un lato, quello della burocrazia e delle élite, della distanza sia vera che presunta di Bruxelles, che alla fine produce anticorpi e della quale non dobbiamo scandalizzarci quanto piuttosto capirne una volta per tutte le ragioni. Dall’altro lato, il rischio di mettere in discussione i confini della democrazia: l’altra faccia del progetto top-down è infatti il decisionismo che può diventare – attraversando un confine grigio – o essere subito autoritarismo, con la perdita della democrazia. Tutte le aree del mondo occidentale e orientale, sebbene in maniera diversa, si trovano in mezzo a questi rischi pur senza accorgersene. 

Il secondo modo è quello del furore della passione creatrice, ovvero la capacità collettiva di guardare a un sogno e avere l’entusiasmo di costruire per il futuro. Sarebbe meraviglioso che questa fosse la strada ma ogni epoca vive il suo tempo e oggi la Storia sembra dirci che questo non è il tempo dell’entusiasmo creativo. Occorre allora cercare una scintilla, sempre che possa accendere la passione. Da ottimista per natura, la cercherò sempre. 

Il terzo modo è quello della ragione. Perché ci sono tanti indizi che paradossalmente saldano le istanze populiste con quelle europeiste: l’esigenza della crescita, di trovare nuovi posti di lavoro, di assicurare un futuro migliore al nostro paese. Se si lavorasse su questa base comune – che è l’unico filo sottile da proteggere nel Parlamento europeo –, se si iniziasse a parlare del futuro declinando gli aspetti di base che non sono divisivi, allora i singoli paesi potrebbero iniziare a prendere decisioni convergenti. È una provocazione, ma il sogno più grande è trovare un’Europa più forte grazie alla forza della ragione. E a questo scenario è ragionevole dare una probabilità. Complessità, velocità e dimensione richiedono tanta intelligenza umana e quindi tanto capitale umano. 

È questo il filo conduttore di tanti ragionamenti che muovono proprio dalla base di creazione del nostro capitale umano – e quindi del nostro futuro –, che è rappresentata dalla scuola primaria e dall’università poi; che attraversa il mondo delle imprese, bisognoso di amministratori e manager capaci di avere l’ambizione non solo di comprendere ma anche di incidere e di esercitare il proprio potere per avere impatto sulla società circostante; e che arriva infine alle istituzioni e al governo, il cui compito è oltremodo difficile, sia perché il futuro è continuamente presente sia per la complessità dell’ambiente da interpretare e per la quantità delle gestioni tecniche di cui farsi carico. Tutto ciò mette sotto pressione l’essenza stessa delle forme di governo e di democrazia, aprendo strade inesplorate, con il rischio di incubi e soluzioni costruite senza fondamenta, per arginare le quali il capitale umano è l’unica garanzia che abbiamo. 

Di fronte all’incertezza, di fronte ai rischi, di fronte alle opportunità che si aprono, solo dal capitale umano possono scaturire la creazione e la scelta di strade che cerchino il bene per la collettività e un’evoluzione a servizio del bene comune. Il capitale umano si declina poi nelle diverse forme che vanno dalla leadership alla governance, al talento, ai giovani e agli anziani, ai manager e ai policy maker. Tutti tavoli di lavoro da seguire, con passione. Banche e mercati finanziari sono un’infrastruttura potente, capace di moltiplicare denaro, idee ed energie per generare impatto sul sistema economico. Questa forza d’urto va usata nel modo migliore, per fare crescere il Pil ma anche per iniziare a colmare qualche gap storico dell’Italia e dare una svolta a valori nuovi che possono cambiare i destini del mondo. Allo scopo, per direzionare bene la forza del sistema finanziario abbiamo bisogno di regole e di scelte di campo. 

Questo non significa marginalizzare lo Stato ma piuttosto riconoscerne la giusta dignità e il giusto posizionamento. A un primo livello, l’azione dello Stato è cruciale per disegnare le regole che permettano al sistema finanziario di superare i difetti di incompletezza di cui ha sempre sofferto, e alle imprese di avere una funzione finanziaria attiva, che consenta di convogliare con decisione capitale di rischio e capitale di debito molto pazienti. Il capitale di rischio è tuttavia ben di più di una forma di investimento, è un’attitudine e una scelta di campo, diametralmente opposta al debito.  

A un secondo livello, il tema dell’intervento diretto dello Stato è inevitabile sia per la presenza di un attore di grandissima qualità e importanza come Cdp sia per la presenza di un portafoglio di partecipazioni pregresso. Non ci sono tante ricette se non quella che qualsiasi intervento abbia sempre un termine esplicito e una logica vicina a quella del private equity; che il portafoglio pregresso abbandoni una logica di amministrazione e passi a una di valorizzazione; che le logiche di private-public-partnership si diffondano rapidamente per mobilitare più risorse e ampliare lo spettro degli obiettivi verso un vero impatto economico e sociale. 

Proprio su questi termini si gioca il futuro del nostro Paese, ossia sulla capacità di orientare le risorse disponibili, attraverso banche e mercati finanziari, verso un progetto di impatto sulla crescita. […] L’Italia ha una dote straordinaria di risparmio privato. Sta a noi decidere come utilizzarla: per amministrare l’esistente e incassare i dividendi, o spostandone una parte in modo deciso verso lo sviluppo – dove, per sviluppo, intendo sempre un insieme composto e alto di obiettivi che contengono il PIL, l’occupazione, il benessere, la convivenza e la tenuta sociale, il patrimonio ambientale e il capitale umano. Non dobbiamo cadere nella trappola che qualcuno un giorno possa invece chiederci di usare un pezzo di questo risparmio per abbattere il debito.

È possibile? Ce la faremo? Queste sono le domande che mi sono posto. La risposta è sì se prima concordiamo su alcuni valori di fondo e poi ci mettiamo al lavoro. Valori di fondo che passano dall’importanza del concetto di scala e dimensione, a quello di internazionalizzazione, alla rilevanza dell’educazione e del capitale umano, all’idea di Europa come valore e principio attivo e dialettico, all’esigenza di avere un sistema finanziario completo e centrale nell’allocazione delle risorse. Se non crediamo a queste cose, lasciamo il tavolo, abbandoniamo il gioco e arrendiamoci. 

Ma se condividiamo, allora abbiamo la possibilità di usare le risorse finanziarie per assicurare e per governare, con ambizione, un impatto sul sistema economico e sociale. L’ambizione come italiano, è che il nostro paese, per una volta, possa diventare il laboratorio e l’esempio di una crescita capace di sorprendere gli altri, accompagnata non solo da un segno positivo e continuo su PIL e occupazione ma anche da un’attenzione vera, in quanto elementi essenziali di sviluppo, all’ambiente, alla valorizzazione del ruolo delle donne, ai valori sociali e al benessere, fatto di ambiente, salute ed educazione. Proviamo a essere italiani come sempre, ma in modo diverso.

 

Tratto da “Il futuro non aspetta. Cambiare per (far) crescere” (Egea), Stefano Caselli, Egea, pp. 160, 16 euro

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