Storia di Natale. Sulle tracce dei miracoli nascosti
La pioggia a Porto Vecchio non lavava le strade; le rendeva solo più lucide e fredde, come il marmo di un cimitero industriale. In quel lembo di città che sembrava dimenticato dalle mappe, il Natale era un rumore lontano, coperto dal sibilo del vento che sferzava i capannoni di Viale delle Industrie.
Eppure, al civico 18, la luce restava accesa. Non era una lampadina di cortesia, era il riverbero dorato di quello che tutti nel quartiere chiamavano “Il Faro”.
Dentro, Marco lottava con una caldaia vecchia quanto il dopoguerra. Aveva le braccia sporche di fuliggine e lo sguardo concentrato. Accanto a lui, Elena rammendava un cappotto destinato a qualcuno che il freddo lo sentiva fin dentro le ossa. Elena non leggeva citazioni dai libri; lei parlava per vita vissuta.
«Sai, Marco», disse senza alzare gli occhi dall’ago, «io Luciano lo conoscevo bene. Ho ancora addosso il suono della sua voce quando diceva che il volontariato non è un modo per occupare il tempo libero, ma per liberare il tempo degli altri. Mi diceva sempre: “Elena, ricordati che o siamo sentinelle di confine o siamo solo un cerotto che non tiene”». Si fermò un istante, guardando il vuoto. «Luciano non voleva assistiti, voleva cittadini. Diceva che l’elemosina è un sonnifero per la coscienza, mentre la condivisione è la sveglia della democrazia».
Fu in quel momento che la porta si aprì. Entrò Pietro. Cinquant’anni, ex capocantiere, un uomo che la crisi aveva ridotto a un’ombra. Si sentiva un “ramo secco”. Marco non gli offrì una coperta, ma un’urgenza: «Pietro, la pressa è bloccata. Se non riparte, domani i ragazzi della cooperativa restano fermi. Mi dai una mano?». Pietro esitò, poi tese l’orecchio al metallo. Con un gesto sicuro sbloccò l’ingranaggio. In quel rumore di motore ritrovato, la sua dignità rifiorì. Non era più un “povero”, era un uomo utile. Era tornato a bordo.
Frammenti di democrazia partecipata
Quella notte, tra il vapore di un caffè caldo, decisero che “Il Faro” non poteva restare un caso isolato. Marco tirò fuori un volume sottile, quasi un reperto: Volontariato nella transizione. «È il testamento di Luciano», spiegò a Pietro. «Qui c’è scritto che dobbiamo essere noi a cercare i frammenti di democrazia partecipata che ci sono nel Paese. Dobbiamo mappare le Oasi, Pietro. Mettere insieme queste sentinelle di confine perché non si sentano più sole».
La transizione non è un’attesa, è un’azione
Il viaggio verso Sud, tre mesi dopo, fu una missione di ricerca. Il furgone del Faro arrancava sulle schiene brulle dell’entroterra siciliano. Pietro era alla guida, trasformato. Sul cruscotto, il libro di Luciano era aperto su una pagina sottolineata: «la transizione non è un’attesa, è un’azione».
Le sentinelle di confine si riconoscono al tatto
Arrivarono a Pietragrossa al tramonto. In un vecchio oleificio confiscato alla mafia, trovarono Rosa. Non c’erano bandiere, ma giovani che costruivano un anfiteatro di pietra e anziani che insegnavano l’arte degli innesti. «Cerchiamo frammenti di democrazia», esordì Marco mostrandole il libro. Rosa sorrise con una stanchezza luminosa: «Allora siete cercatori d’Oasi. Qui non facciamo miracoli, facciamo restituzione. Insegniamo a chi è stato schiavo a gestire questa terra. Se un ragazzo impara che questo olio è frutto del suo diritto e non di un favore, abbiamo vinto». Pietro si avvicinò a una pompa idraulica che perdeva. Si inginocchiò nel fango e iniziò a ripararla. Rosa lo guardò in silenzio. «Vedi», disse a Marco, «Luciano aveva ragione. Le sentinelle di confine si riconoscono dal tatto. Non importa se hanno in mano una chiave inglese o un libro di sociologia; hanno lo stesso stile di attenzione».
Quella sera, attorno a un fuoco, le due Oasi si riconobbero come sorelle. Pietro guardò le sue mani sporche della terra di Sicilia e capì che la sua riparazione era completa. Avevano trovato un altro pezzo di quell’Italia che Tavazza sognava: un’Italia che non il futuro, ma lo costruisce un’oasi alla volta.
Miracoli nascosti
Quando il furgone ripartì, lasciando la polvere di Pietragrossa, Marco aggiunse una nuova coordinata sulla mappa. «La ricerca continua», disse poi. Pietro scalò la marcia e puntò i fari verso l’orizzonte. Sapevano che l’Italia era piena di quei miracoli nascosti e che il loro compito era cucirli insieme, per trasformare tanti frammenti in una sola, grande speranza partecipata. Il centenario di Tavazza non era un ricordo, era un ordine di marcia.
Appello
- Il futuro dell’Italia è custodito nelle mani di chi abita i margini per ricucire la democrazia. Sulle tracce di Luciano Tavazza e del suo Volontariato nella transizione abbiamo deciso di metterci in cammino. Cerchiamo le Sentinelle di Confine. Cerchiamo quei frammenti di democrazia partecipata che operano nel silenzio. Cerchiamo Oasi dove:
- la condivisione rende l’ultimo protagonista.
- la dignità si costruisce nel fare insieme.
- la cittadinanza non è un documento, ma un’azione quotidiana.
Se conosci un’Oasi, segnalacela (segnalazioni.oasi@hotmail.com): non lasciare che questi miracoli restino nascosti. Mettiamoli in rete per formare quell’infrastruttura di speranza di cui il Paese ha bisogno. Perché «il volontariato o è sentinella di confine o non è».
Foto di Jarrod Reed su Unsplash
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