Superare la crisi di coppia non è solo un armistizio, ma un ritrovarsi
Foto Istock/fizkes«Un percorso orante, accompagnato, morale, spirituale, relazionale e psicologico». È questo il suggerimento che l’Arcivescovo propone, intervenendo all’incontro on line promosso a cura del Gruppo di lavoro “Affettività e Genitorialità” del Servizio per la Famiglia sul tema “Crisi di coppia: riconoscerla e affrontarla per costruire il per sempre si può…”.
Dopo il saluto di benvenuto da parte dei responsabili della Pastorale Familiare, i coniugi Maria e Paolo Zambon, e la preghiera iniziale affidata a don Gianluigi Frova, anch’egli co-responsabile del Servizio diocesano, il dialogo – moderato dai coniugi Campagnano, referenti per la Zona I-Milano – si è avviato da due testimonianze di altrettante coppie.
Cristian e Cinzia
Sposati da 30 anni, tre figli, appartenenti al gruppo “Famiglie Nuove”, Cristian e Cinzia raccontano con semplicità, a due voci, la loro vicenda, dall’incontro nel contesto di una Gmg, fino al fidanzamento, alle nozze e all’arrivo dei figli, «motivo di grande gioia per cui Cinzia lascia la sua occupazione».
Poi, nel 2004, il trasferimento a Boston per il lavoro di Cristian e l’inizio della crisi con «il passare di giornate sempre uguali, una routine difficile da sostenere e il senso di solitudine per lingua e usanze diverse, che cresce, creando vite parallele e una distanza emotiva importante», come spiega lei con parole a cui fa eco il marito. «Ciò che ci ha consentito di andare avanti è il concetto di famiglia e il voler ricominciare. Mano a mano che prendevamo coscienza che la vita può prendersi tutto, abbiamo ritrovato la tenerezza, tra un cappuccino e una buona colazione. Abbiamo fatto la scelta di non avere la televisione in cucina, dove mangiamo, e questa è stata un’occasione per stare più insieme anche con i nostri ragazzi. Ora che abbiamo più tempo facciamo dei corsi di danza. Il nostro pulsante di Sos è andare dalla guida spirituale che ci accompagna fin da giovani e la preghiera ci aiuta a sanare le distanze che ci dividono».
Laura e Massimo
Più complicata e dolorosa la storia di Laura e Massimo, due figli, che si sono conosciuti durante un’autogestione ai tempi della Scuola superiore.
«Il matrimonio era il naturale sbocco della nostra relazione dopo 10 anni di fidanzamento», ricorda Laura. «La vita lavorativa ci ha messo di fronte a delle prove, per le trasferte settimanali di Massimo: mi sentivo amareggiata, ostile, ritrovandomi a casa da sola con i bimbi. Ero distaccata e apatica».
«La cieca sicurezza nel nostro rapporto mi rendeva concentrato solo sul lavoro, trascorrevo due o tre giorni alla settimana fuori casa, e poi c’erano le mie attività sportive. La situazione ha iniziato a rotolare fino al tradimento e siamo precipitati in un baratro senza fine, ciechi e sconvolti, non ancora consapevoli del male che avevamo fatto», aggiunge Massimo.
«Fare rete è stato fondamentale e gli amici di lui ci hanno aiutato a credere nel nostro matrimonio: non è stato facile e non lo è tutt’ora, ma in questo percorso riconosciamo l’operato di Dio che non ci abbandona mai. Il nostro matrimonio nel dolore è maturato con un’impensata gioia», dice ancora lui richiamando il cammino intrapreso da 8 anni nella Comunità internazionale “Retrouvaille”, dove coppie in difficoltà di tutte le fedi sono accolte. «Ci impegniamo nel perdono, ricostruendo ciò che è distrutto e aiutando altre coppie. Sembra più facile interrompere che perdonare, in realtà perdonare e perdonarsi richiede cuore e coraggio».
Fare rete e ritrovarsi
«Oggi – sottolinea Laura – siamo una coppia più consapevole, ma nella fase più tragica, ci siamo sentiti soli e giudicati. Allora, è stato fondamentale chiedere aiuto, e oggi pensiamo che vi debbano essere mediatori esterni. Ci siamo ricordati che, sposandoci, avevamo promesso di esserci accanto anche nel dolore. La mancanza della condivisione dei propri sentimenti è già un primo tradimento: concretamente abbiamo deciso di essere più trasparenti, investiamo del tempo non solo di qualità, ma di quantità nella vita di coppia anche attraverso nostri riti fissi. Non dimentichiamo perché, quando si è subito un torto grave, si è feriti e rimane la cicatrice, ma la persona vale di più della ferita che ci ha lasciato»
Insomma, ritrovarsi – appunto “retrouvaille” – si può e tornare a casa «anche quando questa parola pare non avere più senso», è il suggello delle testimonianze a cui offre una visione interpretativa d’insieme, l’Arcivescovo.
L’amore come impegno
«Oggi mi pare – nota subito il vescovo Mario Delpini – che vi sia il rischio, nella nostra cultura, di intendere il rapporto di coppia in un modo troppo sentimentale o troppo commerciale, cioè con un calcolo del ricevere e del dare. Il modo cristiano di intendere l’amore è un decidere di amare che coinvolge tutta la persona e che ha la sua origine, non nell’emozione di una passione, ma nell’obbedienza al Signore, appunto decidendo. “Prometto di amarti” è una parola molto interessante perché indica un impegno, non l’euforia di un sentimento passeggero: è una libertà che si impegna senza condizioni e riflettere su questo è la radice di un’unione di coppia». È un amore gratuito che vive «come libertà di riprendere anche in una crisi profonda o fatta di ordinarie fatiche», come quella delle due tipologie di testimonianze appena ascoltate. Perciò, «occorre decidere di chiedere aiuto, di ricominciare. Il perdono non è una dichiarazione formale, ma l’espressione di un amore gratuito così grande da far desiderare di ricostruire una relazione. Non è una remissione del debito, ma l’attenzione a recuperare».
Da qui, l’indicazione di alcuni percorsi.
Superare la crisi con un percorso orante e accompagnato
In primis, «il percorso orante di preghiera che è la disponibilità allo Spirito che ci consola. Questo è un tema che mi sta molto a cuore, ma che oggi vedo marginale: per la mia esperienza, la preghiera di coppia è una prassi dimenticata. Forse nel fidanzamento si desidera pregare insieme, ma nel matrimonio, diventa quasi imbarazzante», scandisce monsignor Delpini.
Poi, il percorso accompagnato. «L’accompagnamento è provvidenziale per il sentirsi soli di una coppia che vive un allontanamento e una freddezza, vedendo in questo qualcosa di cui vergognarsi. Un accompagnamento che non sia solo un salvagente, ma qualcosa di stabile anche quando non si è nel momento della crisi. Essere accompagnati – il tema, ammette l’Arcivescovo, è delicato – significa trovare un contesto in cui vi siano riservatezza, rispetto e attenzione da parte di persone capaci di lucidità, come nell’ “Équipe Nôtre Dame” o in “Retrouvaille” che agiscono con discrezione».
Il percorso morale, relazionale e psicologico
Il terzo percorso, «forse poco frequentato, è quello morale domandandosi, nella propria coscienza e davanti al Signore, cosa è bene e cosa è male».
Irrinunciabile, inoltre, il percorso «spirituale cercando di guardare all’altro come lo guarda il Signore, con uno sguardo dello Spirito Santo, perché possiamo dire che il coniuge non si riduce ai suoi difetti anche se ci ha fatto del male. Ogni persona è amabile perché è immagine di Dio».
Senza dimenticare il percorso relazionale che «dice che si può e che bisogna cercare insieme, assumendosi la responsabilità della reciprocità di coppia. Possiamo guarire le difficoltà solo con un cammino condiviso, che non riguarda unicamente la dinamica coniugale, ma anche i figli e la comunità».
Infine, il percorso psicologico, «perché talvolta le difficoltà richiedono una lettura tecnica del disagio, riconoscendo che non bastiamo a noi stessi».
Chiarissima la conclusione del vescovo Delpini: «La vita di coppia, dopo la crisi, può essere solo un armistizio, una convivenza che è semplicemente un impegno a coltivare buone maniere, ma questa è un’esperienza arida, mentre le testimonianze mettono in evidenza come il perdono sia una riconciliazione, una valorizzazione della ricostruzione della relazione. Il superamento di una crisi non è solo tornare a volersi bene, ma qualcosa di più: tornare a essere migliori, forse più santi».
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