Temu e Shein, la battaglia della Lega: da stop pubblicità a tassa su pacchi fast fashion
La Lega dichiara guerra alle piattaforme internazionali Shein, Temu e AliExpress, ovvero ai principali operatori che portano avanti il cosiddetto fenomeno del fast fashion. Il partito di Matteo Salvini ha presentato a Palazzo Madama un disegno di legge – visionato da LaPresse – a prima firma del senatore Gianluca Cantalamessa, recante ‘disposizioni per la riduzione dell’impatto ambientale della moda a rapido rinnovo e contrasto al fast fashion’, che prevede tra l’altro lo stop a ogni forma di pubblicità e introduce anche una imposta ecologica per i pacchi provenienti da paesi extra-Ue.
Il provvedimento, si legge nella parte di presentazione del testo composto da 10 articoli, “intende disciplinare il fenomeno del fast fashion, ossia la produzione e commercializzazione massiva di capi d’abbigliamento a basso costo e a rapido ricambio, che esercita una pressione crescente sull’ambiente, sull’industria manifatturiera europea e sulla salute dei consumatori”.
I dettagli della proposta del Carroccio
La proposta, viene quindi spiegato, introduce “un sistema di ‘Eco-Score’ per classificare l’impatto ambientale dei prodotti tessili immessi sul mercato italiano, prevedendo una tassazione ecologica progressiva, restrizioni pubblicitarie e obblighi di trasparenza per influencer e piattaforme online”. Secondo il Carroccio il fenomeno del fast fashion, “o moda effimera, sta invadendo il mercato europeo con articoli di abbigliamento, calzature e accessori di bassa qualità e breve durata, venduti a prezzi contenuti e soggetti a continuo rinnovo. Tale modello è sostenuto da strategie pubblicitarie aggressive, spesso veicolate attraverso social media e canali digitali, finalizzate a stimolare l’acquisto compulsivo”.
Tra i principali operatori di questo modello economico, viene quindi sottolineato, “si annoverano piattaforme internazionali extraeuropee, in particolare Shein, Temu e AliExpress, che operano tramite commercio elettronico. Shein, ad esempio, offre un numero di referenze oltre 900 volte superiore rispetto a un marchio italiano tradizionale, promuovendo un consumo seriale e insostenibile”. Insomma, per la Lega “le conseguenze del fenomeno del fast fashion risultano particolarmente rilevanti sotto il profilo ambientale, sociale ed economico” e, pertanto, “è necessario un intervento normativo che coniughi ambizione ambientale, salvaguardia del tessuto industriale interno e tutela dei consumatori”.
Il ddl articolo per articolo
- Come si legge al primo articolo del ddl, la legge è finalizzata a ridurre l’impatto ambientale del settore della moda e a promuovere una produzione sostenibile e responsabile, contrastando i modelli di consumo eccessivo riconducibili al modello dell’ultra fast fashion e garantendo ai consumatori il diritto a un’informazione trasparente e completa”.
- All’articolo 2 viene poi specificato che “le soglie quantitative e qualitative per la classificazione delle pratiche di moda a rapido rinnovo e di ultra fast fashion sono definite e periodicamente aggiornate con decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministero delle imprese e del made in Italy”.
- L’articolo 3 istituisce invece, presso il Mase, il Sistema nazionale di ‘Eco-Score tessile’ (Snet), finalizzato a classificare l’impatto ambientale dei prodotti tessili immessi sul mercato nazionale. “Il sistema – si legge – attribuisce a ciascun capo o categoria di prodotto un punteggio ambientale graduato da A, corrispondente al minimo impatto, a E, corrispondente al massimo impatto”. ll punteggio Eco-Score attribuito dallo Snet costituisce quindi “criterio oggettivo per l’applicazione selettiva delle misure previste” dalla legge. In particolare, le disposizioni restrittive, quali limitazioni pubblicitarie, esclusioni da incentivi pubblici, imposizioni fiscali ambientali o accessi condizionati a canali distributivi, si applicano ai prodotti e operatori che rientrano nelle classi D ed E dell’Eco-Score.
- All’articolo 4 sono elencati gli “obblighi informativi e comunicazione ambientale” mentre quello successivo si occupa del “divieto di pubblicità e promozione commerciale”. Viene quindi specificato che “a decorrere dal 1° gennaio 2026, è vietata qualsiasi forma di pubblicità, diretta o indiretta, finalizzata a promuovere la moda a rapido rinnovo, e in particolare i modelli riconducibili all’ultra fast fashion. È altresì vietato l’uso, a fini promozionali, del termine ‘gratis’ o espressioni equivalenti che inducano il consumatore a percepire un accesso illimitato, non responsabile o compulsivo a prodotti tessili, in particolare quando associate a strategie commerciali che incentivano l’iperconsumo”. Tali divieti, è spiegato, si applicano “a tutti i canali di comunicazione commerciale, compresi quelli digitali, nonché alle attività svolte da influencer” e la violazione delle disposizioni “comporta una sanzione amministrativa pecuniaria fino a 100.000 euro, irrogata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), anche su segnalazione di soggetti pubblici, associazioni di consumatori o enti accreditati”.
- All’articolo 6, inoltre, viene rimarcato il fatto che “i marchi che non hanno sede sul territorio nazionale sono tenuti a nominare un rappresentante fiscale in Italia, il quale risponde in solido dell’adempimento degli obblighi derivanti dalla responsabilità estesa del produttore, compresi quelli informativi, contributivi e sanzionatori”. Gli ultimi articoli del ddl leghista sono quindi incentrati sulla “inammissibilità ai benefici fiscali per la cessione gratuita degli invenduti” e all’istituzione di “un’imposta ecologica su pacchi di peso inferiore a due chilogrammi contenenti prodotti tessili provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione europea, destinati al mercato italiano”. Imposta il cui importo sarà stabilita con apposito decreto del Mef di concerto con il Mimit “in misura compresa tra 2 e 4 euro per pacco”.
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