Trump sta trasformando la sicurezza nazionale in un’arma contro il dissenso politico

Novembre 1, 2025 - 14:30
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Trump sta trasformando la sicurezza nazionale in un’arma contro il dissenso politico

Donald Trump e la sua fazione politica si sono mossi in fretta per sfruttare l’uccisione di Charlie Kirk come pretesto per mettere a tacere le critiche rivolte alla sua amministrazione e, più in generale, alla destra americana. Quelle critiche sono state presentate come istigazione alla violenza e come un appoggio diretto al terrorismo di sinistra, fenomeno che, secondo la loro narrazione, sarebbe in crescita e perfino più diffuso della violenza politica di destra.

La campagna di rappresaglia contro gli oppositori politici si è però momentaneamente inceppata, quando le minacce del capo della FCC, Brendan Carr, contro il programma di Jimmy Kimmel, sono apparse troppo plateali, quasi mafiose. Ma è stata solo una pausa: quella repressione resta uno dei grandi progetti del secondo mandato di Trump, che oggi la sta portando avanti con uno sforzo più vasto e organico. Lo strumento è una direttiva presidenziale di sicurezza nazionale, la NSPM-7, che prepara il terreno per un regime di censura ideologica a pieno titolo, capace di bollare come terroristi anche i sostenitori di opinioni comuni, garantite dal Primo Emendamento.

La stretta sulle critiche legate a Charlie Kirk è servita da banco di prova per capire fino a dove l’amministrazione potesse spingersi nel trasformare il dissenso politico in incitamento alla violenza. Il tentativo di censurare Kimmel – non per aver attaccato direttamente Kirk, ma per aver accusato la gang MAGA di voler sfruttare politicamente la sua sua morte, cosa del tutto plausibile – non ha funzionato, ma altri bersagli si sono rivelati più facili.

Secondo l’American Association of University Professors, una quarantina di docenti universitari sono stati sospesi o licenziati, in un caso soltanto per aver ricondiviso alcune delle dichiarazioni più controverse e discriminatorie di Kirk. Solo pochi sono stati poi reintegrati. Il Dipartimento di Stato ha addirittura revocato i visti di alcuni visitatori stranieri per colpe ideologiche minime, come aver detto che Kirk «non sarà ricordato come un eroe». In un campo come quello dei visti, dove il potere dell’amministrazione è ampio e facile da abusare, lo strumento è stato usato con successo per soffocare la libertà di parola.

Trump, però, si è presto dimenticato di Charlie Kirk come pretesto per questa stretta. Nel giro di pochi giorni, ha spostato il bersaglio su se stesso, sostenendo che criticare lui – il presidente – fosse di per sé illegale. A bordo dell’Air Force One si è lamentato dei programmi televisivi di informazione: «Mi danno solo cattiva pubblicità, cattiva stampa. Hanno una licenza, no? Forse dovremmo togliergliela». Poco dopo, nello Studio Ovale, ha rincarato la dose: «Quando il novantasette per cento delle notizie su una persona è negativo, non si può più parlare di libertà di parola».

Trump ha cercato di trasformare questa logica in una politica vera e propria, andando oltre le sue lamentele improvvisate per farne un principio generale. Il passo successivo è stato lanciare una caccia alle streghe contro antifa, dichiarando il movimento di sinistra che si definisce antifascista come un’organizzazione terroristica interna.

Il problema è che un movimento del genere, nella pratica, non esiste. Storicamente antifa era l’abbreviazione di Antifaschistische Aktion, l’ala militante del Partito Comunista Tedesco negli anni Venti e Trenta, allora rigidamente controllata dall’alto, come tutte le strutture staliniste. Ma quello era un secolo fa. L’antifa moderna, pur riprendendo il simbolo e la bandiera di allora, non è affatto centralizzata: è più un’etichetta che un’organizzazione, con gruppi e individui sparsi, senza una guida nazionale.

E non esiste, negli Stati Uniti, alcuna categoria legale per definire le organizzazioni terroristiche interne. Ma proprio questa vaghezza è funzionale allo scopo: se antifa non ha una struttura, chiunque può essere definito parte di antifa – e quindi trattato da terrorista. Così, i funzionari dell’amministrazione hanno iniziato a descrivere le proteste dei No Kings come parte di antifa, anche se i manifestanti, tutt’altro che violenti, erano perlopiù persone comuni, vestite non da militanti del black bloc, ma con buffi costumi gonfiabili a forma di rana.

Essere contrari al fascismo, dopotutto, non significa appartenere a un movimento di sinistra con radici nello stalinismo. In realtà, la sconfitta del fascismo è arrivata non dall’Antifaschistische Aktion, che fu spazzata via, ma da cittadini comuni: gli americani che combatterono nella Seconda guerra mondiale e poi processarono i criminali nazisti. In altre parole, lo stesso tipo di persone che partecipavano ai raduni No Kings.

Ma non serve analizzare a fondo una follia: basta chiedersi a che cosa serva. Trump ha bisogno di fingere che i suoi oppositori siano anarchici violenti, così da giustificare l’uso della forza dello Stato per metterli a tacere.

Tutto questo ora sta venendo codificato in una direttiva presidenziale nota alla Casa Bianca con l’acronimo, un po’ pretenzioso, NSPM-7, perché si tratta del settimo National Security Presidential Memorandum firmato da Trump. È stata emanata in modo piuttosto discreto, ma ha attirato l’attenzione del pubblico grazie al giornalista investigativo indipendente Ken Klippenstein, che ha sottolineato come non si tratti di una semplice ordinanza esecutiva, bensì di «una direttiva di sicurezza nazionale, cioè un decreto di politica generale che orienta l’apparato della difesa, della politica estera, dell’intelligence e delle forze dell’ordine».

Questo vasto apparato della sicurezza nazionale viene ora mobilitato contro il cosiddetto «terrorismo di sinistra» – una definizione che, nel documento, finisce per includere un’ampia gamma di opinioni politiche comuni, perfino moderate. Ecco il passaggio cruciale del memorandum: «Esistono motivazioni e segni ricorrenti che accomunano questo schema di attività violente e terroristiche sotto l’ombrello dell’“antifascismo” autoproclamato. […] I tratti comuni che alimentano questa condotta violenta includono l’anti-americanismo, l’anti-capitalismo e l’anti-cristianesimo; il sostegno al rovesciamento del governo degli Stati Uniti; l’estremismo in materia di immigrazione, razza e genere; e l’ostilità verso coloro che mantengono vedute tradizionali americane su famiglia, religione e moralità. Come indicato nell’Ordine del ventidue settembre duemilaventicinque (che designa Antifa come organizzazione terroristica interna), i gruppi e le entità che promuovono questo estremismo hanno creato un movimento che abbraccia e legittima la violenza come mezzo per ottenere risultati politici, arrivando a giustificare ulteriori assassinii».

Gli indizi che dovrebbero segnalare tendenze terroristiche sono suddivisi in tre categorie. Solo uno degli elementi elencati descrive effettivamente un programma violento: «il sostegno al rovesciamento del governo degli Stati Uniti». La seconda categoria, invece, raccoglie una serie di formule vaghe che possono voler dire tutto e niente – come «anti-americanismo» o «estremismo su immigrazione, razza e genere». Estremismo è una parola elastica, che assume qualunque significato in base a chi la usa. In pratica, finisce per indicare semplicemente qualsiasi posizione opposta alla propria.

Ma che cosa significa davvero estremismo? Essere al di fuori del pensiero dominante, nei propri obiettivi o nelle proprie idee politiche? E cosa sarebbe, per esempio, un estremismo sulla razza? Un credo estremo nell’uguaglianza razziale? O l’adozione di misure radicali per perseguirla? E tali misure potrebbero includere, per esempio, la disobbedienza civile anziché la violenza?

Naturalmente, se davvero si volesse individuare l’estremismo in tema di immigrazione, l’amministrazione Trump ne sarebbe l’esempio più lampante – sia per i suoi obiettivi, fondati sull’ostilità verso tutti gli immigrati, sia per i suoi metodi, caratterizzati da un uso indiscriminato della violenza contro cittadini e non cittadini. Lo stesso si potrebbe dire dell’estremismo sulla razza, che descriverebbe perfettamente le chat di gruppo dei repubblicani, in cui circolano insulti razzisti e dichiarazioni d’amore per Adolf Hitler.

Quanto all’anti-capitalismo, si tratta ormai di un tratto distintivo della nuova destra nazionalista, che, nel secondo mandato di Trump, ha di fatto introdotto un sistema economico sempre più accentrato e controllato dallo Stato. Forse l’elemento più clamoroso dell’elenco è proprio il «sostegno al rovesciamento del governo degli Stati Uniti», che descrive esattamente l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

Ma è proprio questo il punto: usare un linguaggio vago e indefinito serve a creare una categoria così flessibile da poter includere chiunque sia nemico dell’amministrazione – ma mai l’amministrazione stessa o i suoi alleati. Questo obiettivo emerge chiaramente nella terza categoria, che elenca come indizi di terrorismo idee non solo perfettamente legittime, ma addirittura mainstream. Tra queste, spicca «l’ostilità verso chi difende le tradizionali vedute americane su famiglia, religione e moralità».

Da decenni, però, quelle cosiddette vedute tradizionali – almeno secondo la definizione della destra religiosa – sono in declino. Una visione tradizionale della famiglia, per esempio, implica l’opposizione al matrimonio egualitario, che è legge da dieci anni ed è ormai ampiamente accettato. E se guardiamo alla struttura tutt’altro che tradizionale della famiglia di Trump – figli da più matrimoni e una lunga storia di infedeltà plateali – persino lui non rientrerebbe nei canoni che pretende di difendere.

Un’indagine del Pew Research Center, condotta alcuni anni fa, ha rilevato che la quota di americani che si definiscono cristiani è scesa dal novanta per cento degli anni Novanta all’attuale sessantaquattro per cento. Coloro che dichiarano di non avere credenze religiose particolari – un insieme che comprende atei, agnostici e semplicemente persone non impegnate – rappresentano circa il trenta per cento della popolazione.

Se a questi si aggiungono i cattolici progressisti (come l’attuale pontefice americano) e i protestanti moderati delle chiese storiche, è quasi certo che quelle che l’amministrazione Trump considera «vedute religiose tradizionali americane» siano oggi condivise solo da una minoranza del Paese. Ed è proprio questo il cuore di NSPM-7: creare privilegi speciali per una minoranza ideologica conservatrice, le cui opinioni devono essere protette da ogni forma di critica o opposizione – con il rischio che, in alcuni casi, tale critica venga persino trattata come un atto di terrorismo.

L’aspetto più inquietante di questi indizi del presunto terrorismo di sinistra è che non descrivono comportamenti, ma idee. E il piano prevede di sopprimerle non quando diventano una minaccia imminente di violenza, ma «prima che possano sfociare in atti politici violenti», come afferma la direttiva (il corsivo è mio). Per farlo, l’amministrazione intende attuare «una strategia nazionale per indagare e interrompere reti, entità e organizzazioni».

Si tratta delle fondamenta di un regime di censura ideologica, pensato per soffocare ogni forma di opposizione organizzata e di protesta contro l’amministrazione – e per trasformare le convinzioni di una minoranza sempre più ristretta di sostenitori radicali di Trump in un dogma ufficialmente protetto dalle critiche. È, allo stesso tempo, un progetto di consolidamento autoritario, che mira a punire chi osa mettere in discussione la propaganda del governo.

Ma l’amministrazione Trump si sbaglia quasi certamente sulla facilità con cui riuscirà a reprimere queste idee. Immagina che movimenti ampi e spontanei come le recenti proteste No Kings siano diretti da un oscuro burattinaio – magari George Soros, che, secondo le teorie complottiste, pagherebbe tutti i manifestanti. Crede che, da qualche parte, in un ufficio di un’organizzazione non governativa, esista un gigantesco interruttore, e che basti spegnerlo per togliere energia ai propri oppositori politici. Poi si chiederà perché non funziona.

Nel frattempo, però, sta preparando il terreno per infliggere gravi danni al principio americano della libertà di parola e al vivace dibattito e dissenso che costituiscono il cuore di una società libera. Se e quando il governo tornerà a funzionare normalmente, i Democratici dovrebbero inserire tra le loro richieste quella di revocare la direttiva NSPM-7 e porre fine a questa campagna contro la libertà politica in America.

Articolo precedentemente uscito su The Unpopulist

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