Ucraina. Cinesi in trincea: nuovo fronte nell’ambiguità sino-russa

di Giuseppe Gagliano –
Nel vortice sempre più opaco del conflitto ucraino, la comparsa di cittadini cinesi nelle file dell’esercito russo getta una luce inquietante sulle reali dinamiche della guerra e sulle ambiguità della postura cinese. A lanciare l’allarme è stato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha denunciato la presenza di almeno 155 cinesi arruolati tra le truppe russe. Non mercenari professionisti, ma uomini reclutati via social media, attratti dalla promessa della cittadinanza russa o da una via di fuga da problemi giudiziari in patria.
A lasciare perplessi è il tono accusatorio del presidente Zelensky, dopo che recentemente i russi hanno fatto prigionieri nel Kursk almeno una trentina di militari delle potenze occidentali, e con interi battaglioni, anche dichiaratamente neonazisti come l’Azov, composti da cittadini stranieri arruolati sui social.
Comunque sia, secondo quanto riportato dallo stesso Zelensky, alcuni di questi combattenti avrebbero servito in unità regolari russe come la 70ma Brigata della Guardia o la 255ma Divisione di fucilieri. Due di loro sarebbero stati catturati in Donbass. Uno ha confessato di aver pagato 3mila dollari a un intermediario per entrare nelle file russe, e ha rivelato di aver ricevuto un addestramento improvvisato, privo di traduttori, affidato a gesti e app per la traduzione automatica. L’uomo, senza esperienza militare, ha parlato di un battesimo del fuoco tragico e confuso, conclusosi con la resa.
Pechino, come prevedibile, ha smentito con decisione. Il portavoce del ministero degli Esteri ha parlato di accuse “infondate” e ha ribadito l’invito ai cittadini cinesi a non recarsi nelle zone di conflitto. Eppure, dietro le parole diplomatiche, resta il dubbio: davvero la leadership cinese è all’oscuro del fenomeno? Oppure, come accade spesso nei regimi autoritari, una “non-vigilanza” pilotata permette ai cittadini di agire in aree grigie con finalità difficili da confessare?
Non è la prima volta che si parla di un coinvolgimento straniero nelle fila russe. Lo scorso anno erano emerse notizie sul dispiegamento di circa 12mila nordcoreani nella regione russa (quindi non ucraina) di Kursk, con funzioni logistiche e operative. Ma la presenza di cinesi in Ucraina, sul fronte attivo, rappresenta un salto di qualità. E rischia di incrinare ulteriormente l’immagine di Pechino come attore neutrale e facilitatore diplomatico.
Non a caso la portavoce del Dipartimento di Stato USA ha definito lo sviluppo “inquietante”, sottolineando che circa l’80% dei materiali a doppio uso ricevuti da Mosca proviene proprio dalla Cina. Una cifra che, se confermata, basterebbe da sola a ridimensionare ogni velleità di mediazione cinese.
Zelensky ha chiesto un confronto urgente con i partner internazionali, temendo un’escalation non solo militare ma geopolitica. Perché se Mosca diventa una calamita per cittadini stranieri disposti a combattere per interessi che non sono i loro, allora l’Ucraina rischia di trovarsi schiacciata in un conflitto sempre più globalizzato. Dove l’invasore non ha solo missili e droni, ma può contare su un bacino di volontari disperati e su partner strategici ambigui.
Nel silenzio glaciale della diplomazia cinese, questa è forse la vera notizia: il volto sfumato della nuova guerra mondiale a pezzi, dove le frontiere sono mobili e gli alleati non si dichiarano, ma combattono.
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