Slovenia, il Parlamento approva la stretta sulla sicurezza. Per gli attivisti è una mossa anti-rom
Bruxelles – Cresce la tensione nei confronti della comunità rom in Slovenia, in seguito a recenti episodi di cronaca che hanno alzato la temperatura del dibattito pubblico. Alla mezzanotte di ieri (17 novembre), i deputati hanno approvato una controversa legge per concedere alla polizia ampi poteri nella sorveglianza delle cosiddette aree “ad alto rischio”, denunciata come discriminatoria dai critici.
La nuova norma è stata confezionata dopo l’uccisione di Aleš Šutar, avvenuta il 25 ottobre scorso per mano di un 21enne rom durante una lite in un locale notturno a Novo Mesto, nel sud del Paese. Quel fatto aveva scatenato grandi proteste di piazza, lo schieramento massiccio delle forze di polizia nei quartieri rom e le dimissioni di due ministri dal gabinetto del premier liberale Robert Golob.
Il capo del governo ha promesso di porre rimedio alla situazione, sottolineando che le nuove regole non erano da intendersi “contro un particolare gruppo etnico, ma contro la criminalità“. In base alle disposizioni dell’articolato, le forze dell’ordine potranno ora sorvegliare con maggior discrezionalità i quartieri designati come particolarmente pericolosi sotto il profilo della pubblica sicurezza.
Lì, la polizia potrà entrare in una proprietà o all’interno un mezzo di trasporto senza mandato del tribunale (ma non di effettuare una perquisizione domiciliare formale) nel caso in cui venga valutato come “strettamente necessario” sequestrare immediatamente delle potenziali armi da fuoco. In casi di necessità, viene consentito l’ingresso forzato. Agli stessi fini sarà permessa una più ampia sorveglianza video-fotografica e audio.
La delimitazione delle “aree a rischio” spetterà al capo della polizia locale o al direttore nazionale di polizia, sulla base di “indicatori oggettivi“. Gli ordini di sorveglianza devono venire emessi per iscritto, hanno una validità massima di tre mesi e devono essere presentati entro 24 ore a un giudice istruttore per la conferma o l’annullamento.

Secondo alcune rilevazioni, oltre il 60 per cento dei cittadini sloveni sarebbero favorevoli al giro di vite introdotto dal governo. Diversi osservatori considerano la “legge Šutar” – approvata all’interno di un pacchetto omnibus comprendente anche una stretta sui reati violenti e un inasprimento delle norme in materia di assistenza sociale – come un occhiolino strizzato da Golob all’elettorato nazionalista, che sondaggi alla mano dovrebbe preferire all’attuale premier il suo predecessore populista Janez Janša.
Del resto, il voto di stanotte ha mostrato un’unità d’intenti piuttosto trasversale nell’emiciclo. Due dei tre partiti della coalizione di governo – il Movimento per la libertà (GS) di Golob e i Socialdemocratici (SD) – hanno difeso il disegno di legge insieme a forze dell’opposizione come Nuova Slovenia (NSi) e il Partito democratico (SDS). Il terzo partner della maggioranza, la Sinistra (Levica), ha abbandonato l’Aula. Le altre opposizioni hanno criticato l’esecutivo non tanto sul contenuto delle norme, quanto piuttosto sulla lentezza nel rispondere alla criminalità perpetrata dai rom (sic) e sulla poca ambizione delle nuove regole.
Per i gruppi per la tutela dei diritti umani, si tratta di un attacco diretto contro le comunità rom slovene e di un tentativo di ghettizzarle attraverso una normativa denunciata come repressiva e discriminatoria. Giusto ieri, Amnesty International aveva chiesto – invano – al Parlamento di non approvarla. Il testo della legge potrebbe presto venire impugnato dinanzi alla Corte costituzionale, sulla base dei rilievi fatti da alcuni giuristi.
Per Mensur Haliti, vicepresidente della Roma Foundation for Europe, il governo sloveno ha fatto cadere la maschera. “Questa legge trasforma interi quartieri in zone di sicurezza e i loro residenti in categorie di sicurezza”, ha dichiarato, lamentando che il testo “tratta un’intera minoranza come una minaccia alla sicurezza”. Rivolgendosi alla Commissione europea (che proprio oggi ha organizzato a Bruxelles un forum sull’allargamento in cui esortava i Paesi candidati a rispettare i valori comunitari) Haliti ha sottolineato che “un’Unione che permette alla paura di diventare politica interna non può dare lezioni di democrazia e Stato di diritto ai suoi vicini“.
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