Bandit Trap Provato – Gamescom 2025


Da che mondo è mondo, il videogioco ci ha quasi sempre messo dalla stessa parte della barricata. Siamo l'avventuriero che saccheggia la tomba, il ladro che svaligia il castello, l'eroe che disinnesca il marchingegno letale all'ultimo secondo. Siamo la forza d'urto, l'elemento di caos che rompe un equilibrio preesistente.
E se, per una volta, fossimo noi quell'equilibrio? Se invece di essere la chiave, fossimo la serratura? Questa semplice, geniale inversione di prospettiva è il cuore pulsante di Bandit Trap, una perla indie scovata tra i corridoi più vibranti e meno affollati della Gamescom. Il gioco non ci chiede di essere forti, veloci o abili con un'arma in pugno.
Ci chiede di essere intelligenti, metodici, quasi diabolici. Ci mette nei panni del custode, dell'architetto della difesa, e ci affida un compito tanto antico quanto affascinante: proteggere un tesoro da ondate di "eroi" avidi e maldestri.
È una fantasia di potere completamente diversa, non basata sulla distruzione, ma sulla prevenzione; non sull'azione, ma sulla reazione pianificata.
Un gioco che celebra la gioia quasi sadica di vedere un piano perfetto andare in porto, un balletto di lame a pressione, pavimenti a scomparsa e dardi avvelenati che si attiva esattamente come lo avevamo immaginato.
Il rischio, in un concept così cerebrale, è di scivolare nella fredda accademia del puzzle game fine a sé stesso, di diventare un esercizio di logica privo di anima. Ma è proprio qui che il piccolo team di sviluppo dimostra di avere le idee chiarissime.
Bandit Trap non vuole essere solo un rompicapo, ma un vero e proprio "sandbox della cattiveria", un laboratorio dove sperimentare con la fisica, le reazioni a catena e l'idiozia artificiale dei nostri assalitori.
L'interfaccia, pulita ed elegante, diventa una tela su cui dipingere la nostra sinfonia di ingranaggi e tranelli, mentre una direzione artistica deliziosamente stilizzata mette in scena la commedia degli errori dei banditi con un umorismo quasi da cartone animato.
È una promessa di gratificazione intellettuale pura, un guanto di sfida lanciato al giocatore. E dopo aver passato del tempo con il gioco nello spazio dedicato agli indie qui a Colonia, possiamo dire che la sfida è stata raccolta con un'intelligenza e uno stile che ci hanno lasciato a bocca aperta.
Bandit Trap Provato - Gamescom 2025
Pad alla mano ho capito subito che Bandit Trap non è il classico arcade shooter che sembra a uno sguardo distratto. Qui c’è un’anima diversa, asimmetrica, che si diverte a ribaltare continuamente la prospettiva. Da una parte ci sono i banditi, veloci, agili, che devono collaborare e sopravvivere. Dall’altra, il trapper: solitario, metodico, che inizia ogni match con un vantaggio strategico, piazzando le sue trappole prima che i nemici entrino in scena.
Una caccia al topo che diventa subito un gioco di nervi.
Quello che mi ha colpito è il ritmo. Ogni partita è frenetica ma mai caotica, perché il design delle arene spinge alla pianificazione. Nei panni del trapper, il tempo iniziale è prezioso: ogni trappola va pensata, perché può ribaltare un match intero.
Nei panni dei banditi, invece, la sfida è cooperare: comunicare, coprirsi le spalle, sfruttare gli ambienti a proprio vantaggio. Ed è qui che Bandit Trap mostra la sua anima più moderna: non basta correre e sparare, serve affiatamento.
Gli sviluppatori me l’hanno detto chiaramente: l’ispirazione, per quanto assurda possa sembrare, è Dead by Daylight. E in effetti si sente.
Non nell’horror, ma nell’idea di costruire un sistema che regga a lungo, che possa durare con costanti aggiornamenti, nuove mappe, trappole aggiuntive e modalità che tengano vivo il gioco nel tempo. È un titolo che non punta solo a divertire nelle prime ore, ma che vuole diventare piattaforma, comunità, spazio da abitare.
E la cosa bella è che, al di là delle grandi ambizioni, giocarlo è dannatamente divertente. Nei panni dei banditi la corsa è un mix di tensione e complicità: sai che ogni angolo può nascondere una minaccia, ma sai anche che da soli non si va lontano.
Nei panni del trapper, invece, la soddisfazione è sottile e sadica: vedere il piano funzionare, incastrare gli avversari nella trappola perfetta, ribaltare la loro sicurezza in un istante. È uno di quei giochi che ti fanno sorridere di gusto mentre annienti gli altri, ma anche esultare quando, dall’altra parte, riesci a scamparla all’ultimo secondo.
Sul piano estetico, Bandit Trap non tradisce la sua anima indie, ma lo fa con eleganza. Le animazioni sono fluide, piacevoli, leggibili. Non cercano il realismo, ma la chiarezza: ogni movimento racconta qualcosa e ogni attacco è riconoscibile, così che non ci si perda mai nel caos. Il risultato è uno stile che funziona, che ti accompagna senza distrarre, che mette in risalto la sostanza.
Alla fine della mia prova, l’impressione è stata limpida: Bandit Trap è un titolo che sa divertire subito, ma che nasconde anche un potenziale di crescita notevole. Se la promessa di supporto costante verrà mantenuta, con nuovi contenuti a intervalli regolari, questo piccolo esperimento asimmetrico potrebbe davvero trovare la sua nicchia e restarci a lungo.
Non è solo un altro titolo indie: è un gioco di trappole e complicità, di piani che si costruiscono e si infrangono, di risate amare e rivincite improvvise. E per me, già adesso, è stata una delle sorprese più curiose di Colonia.
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