Benanti: “Con la giusta visione AI e Automazione non trasformeranno l’uomo in uno ‘scarto’”

AI e lavoro
Benanti: “Con la giusta visione AI e Automazione non trasformeranno l’uomo in uno ‘scarto’”
L’intelligenza artificiale non condanna l’uomo a essere uno “scarto” del processo produttivo. L’analisi di Paolo Benanti, che confronta i modelli opposti di Walmart e Costco, dimostra che l’innovazione può valorizzare il capitale umano, aprendo una riflessione strategica per la competitività industriale europea.

Il futuro in cui l’uomo sarà relegato ai margini del lavoro a causa del dominio dell’AI e dell’automazione non è già scritto: l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro dipende infatti dalle scelte. L’automazione trasformerà certamente le nostre industrie, ma siamo noi a decidere come vogliamo guidare questa trasformazione. La tesi, forte e controintuitiva, emerge da un’analisi di Padre Paolo Benanti, teologo ed esperto di etica dell’innovazione, su Il Sole 24 ore del 27 agosto 2025.
L’analisi individua due modelli di innovazione diametralmente opposti anche all’interno di un sistema iper-competitivo come quello statunitense. Attraverso il confronto tra i giganti del retail Walmart e Costco, Benanti smonta la narrazione dell’aut-aut tra tecnologia e occupazione, dimostrando che “il fattore umano non si presenta come un mero costo ma come fattore di grande valore se integrato in una corretta visione”.
Si apre così una questione ineludibile per la politica industriale: quale modello vogliamo che sia il motore della crescita e della competitività in Italia e in Europa?
Walmart e la via dell’automazione totale: l’umano diventa superfluo
La strategia di Walmart nell’adozione dell’intelligenza artificiale rappresenta l’archetipo dell’innovazione spinta alla sua massima efficienza tecnologica. L’azienda, pioniere nell’uso delle tecnologie retail fin dagli anni Settanta, sta implementando un’automazione massiva nei suoi centri di distribuzione. L’obiettivo è chiaro e misurabile: una riduzione dei costi unitari già attestata al 20%, con la previsione di raggiungere il 30% entro il 2026. Per farlo, Walmart impiega un arsenale tecnologico avanzato: robot autonomi per la movimentazione delle merci, sistemi di intelligenza artificiale predittiva per la gestione delle scorte, tecnologia “agentic AI” capace di simulare e ottimizzare complessi scenari operativi e carrelli elevatori completamente automatizzati.
Questo approccio, tuttavia, ha un impatto diretto e profondo sulla forza lavoro. L’efficienza ottenuta tramite la tecnologia si traduce in una progressiva marginalizzazione del contributo umano. Benanti sottolinea come Walmart stia procedendo in una direzione in cui “l’umano diventa superficiale”. La conseguenza più evidente è stata l’eliminazione di ben 1.500 posizioni lavorative, accompagnata da programmi di formazione interni volti a ricollocare i dipendenti di questo settore in altre aree dell’azienda.
Il modello Walmart, che persegue con successo la leadership di costo, solleva però più di un interrogativo sul ruolo residuo del lavoratore in un ecosistema quasi interamente governato dalle macchine. La filosofia sottostante sembra considerare il lavoro umano come una variabile da ottimizzare e, potenzialmente, da sostituire per raggiungere la massima efficienza operativa.
Il modello Costco: investire sulle persone per battere la concorrenza
In netto contrasto con la visione di Walmart si posiziona il modello di Costco. Anche questo colosso del retail punta alla leadership di costo, ma lo fa attraverso una filosofia operativa che mette al centro il capitale umano. L’approccio di Costco all’innovazione è definito da Benanti come “conservativo ma strategico”, un quasi-ossimoro che ne descrive perfettamente la logica. Invece di rincorrere l’ultima tecnologia disponibile, l’azienda si concentra sull’ottimizzazione dei processi e sulla valorizzazione dei propri dipendenti, considerati il vero motore della produttività. I dati sono eloquenti: i dipendenti di Costco generano il 180% in più di ricavi per persona rispetto a quelli di Walmart.
Una performance che è frutto di precise scelte aziendali. Costco offre salari minimi e medi significativamente più alti, bonus consistenti per i lavoratori con maggiore anzianità, e una copertura sanitaria e pensionistica quasi totale. Il risultato è un tasso di turnover del personale drasticamente inferiore (8-17% contro il 70-90% di Walmart), che si traduce in maggiore esperienza, lealtà e produttività. Sul fronte tecnologico, Costco evita quello che l’analisi definisce “l’hype dell’AI”, preferendo un’introduzione graduale di tecnologie che supportino il lavoro umano senza sostituirlo. L’efficienza logistica, in questa visione, non deriva da robot complessi, ma da un intelligente modello di “cross-docking” che riduce al minimo la movimentazione delle merci e da un sofisticato motore di previsione della domanda, alimentato dai dati granulari raccolti tramite le tessere dei soci. Costco dimostra così che investire sui lavoratori non è solo una scelta etica, ma una strategia competitiva vincente, capace di generare valore superiore bilanciando efficienza e servizio.
Una scelta strategica per l’Europa: quale innovazione per la nostra industria?
Il confronto tra Walmart e Costco porta Benanti a interrogarsi sulle prospettive dell’industria italiana ed europea. Dobbiamo – dice l’esperto – superare una percezione monodimensionale del progresso tecnologico e chiederci invece quale tipo di innovazione vogliamo promuovere, se il modello che punta a sostituire il lavoro umano per tagliare i costi, o quello che investe sulle competenze per aumentare il valore generato. La questione, come sottolinea l’autore, è “urgente” e richiede un dibattito pubblico e politico serio.
Il punto non è frenare l’innovazione, ma orientarla. La competitività industriale del nostro continente non può basarsi unicamente sulla rincorsa a una leadership di costo che altri Paesi possono sostenere con maggiore facilità. Deve, invece, puntare sulla qualità, sulla specializzazione e sulla capacità di creare valore aggiunto. È quindi chiaro che il lavoratore non può essere considerato uno “scarto” del processo produttivo. Al contrario, la sua esperienza, la sua creatività e la sua capacità di gestire la complessità diventano asset strategici che l’intelligenza artificiale può potenziare, non annullare. Dobbiamo, conclude Benanti, “chiederci come ridisegnare i processi per rendere l’umano capace di produrre valore”. Una sfida che riguarda le imprese, le istituzioni e il sistema formativo, e dalla cui risposta dipenderà il nostro futuro economico e sociale.
L'articolo Benanti: “Con la giusta visione AI e Automazione non trasformeranno l’uomo in uno ‘scarto’” proviene da Innovation Post.
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