Capasa e Sburlati: “Intervenire subito a tutela della moda”. Urso: “Pronte nuove misure”
Quale futuro per il Made in Italy? È la domanda che risuona oggi al 30° Pambianco-PwC Fashion Summit, ma anche quella che attraversa il dibattito tra istituzioni e associazioni di settore. Un confronto che mette al centro la filiera, le norme anti fast fashion e la competitività del sistema moda italiano, in un momento cruciale per la seconda industria manifatturiera del Paese.
A riguardo, il Ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, ha rilasciato a PambiancoNews una dichiarazione che chiarisce la linea del Governo. “Siamo consapevoli delle sfide attuali, che potrebbero mettere a rischio la competitività dell’intera catena del valore, minacciata da fenomeni come l’ultra fast fashion, che immette sul mercato milioni di capi a basso costo e di breve durata. Per rispondere con efficacia, abbiamo predisposto un insieme di interventi, sviluppato con le associazioni del sistema moda, che sarà a breve sottoposto all’esame del Parlamento.”
Tra le misure previste, l’estensione del principio di responsabilità estesa del produttore (Epr) anche a chi opera fuori dall’Unione europea ma commercializza in Italia prodotti tessili e calzature. Urso ha inoltre ricordato che il Governo ha già stanziato 250 milioni di euro per il settore e il nuovo Piano “Transizione 5.0”, da quattro miliardi di euro, che introduce l’iperammortamento e sarà finanziato con risorse nazionali, senza i vincoli del Green Deal. Il ministro ha poi annunciato un incontro il 18 novembre con le principali associazioni d’impresa per discutere il rifinanziamento del Piano 5.0 e nuove misure per le Pmi, i contratti di sviluppo e un credito d’imposta per la progettazione artistica.
Sul fronte associativo, il presidente della Camera nazionale della moda italiana (Cnmi), Carlo Capasa, nel suo intervento al summit, ha richiamato l’attenzione sulla fragilità della filiera e sulla necessità di difendere la reputazione del made in Italy. “La percezione del lusso è cambiata. La crisi del real estate in Cina ha ridotto la propensione all’acquisto dei consumatori cinesi, che rappresentavano fino al 40% del mercato globale del lusso, spingendoli verso prodotti locali. Questo ha generato una contrazione della produzione e, di conseguenza, un aumento dei prezzi”, ha spiegato Capasa, sottolineando anche il peso dei dazi americani e dei 4,5 miliardi di pacchi cinesi sotto i 150 euro, esenti da controlli e tasse doganali.
Capasa ha poi criticato la narrazione che, a seguito degli ultimi fatti di cronaca, associa la moda italiana alla manodopera irregolare: “I brand sono le prime parti lese di queste situazioni, perché si affidano a terzisti. Bisogna fare attenzione a non diffondere l’idea che la moda italiana sia fatta nei laboratori cinesi o da lavoratori sfruttati e sottopagati. Il lavoro irregolare rappresenta solo il 2,5% della produzione e va contrastato, ma raccontare che il made in Italy è ‘fuffa’ è un danno enorme per il settore”.
Il presidente della Cnmi ha invitato le parti politiche a non “politicizzare” il comparto contrapponendo brand e filiera come due fazioni opposte, ma a lavorare in modo organico. “Le misure di Governo devono essere unitarie e riguardare l’intero sistema”, ha sottolineato. Tra le priorità indicate: favorire l’aggregazione delle imprese, digitalizzare i distretti produttivi e rilanciare la distribuzione per dare spazio a nuovi marchi, “creando cultura, consapevolezza e valorizzando la qualità”.
Anche Luca Sburlati, presidente di Confindustria moda, ha espresso sul palco del summit forte preoccupazione per le aziende italiane della moda, chiedendo misure immediate e di lungo periodo a tutela del settore. “In questo momento – ha spiegato – registriamo un export in calo e un +6% di import, trainato quasi interamente dalla Cina, che cresce del +17% grazie ai pacchi postali sotto i 150 euro, non soggetti a Iva e dazi doganali. Serve difendere l’ecosistema, o rischiamo di far fare alla seconda industria del Paese la stessa fine dell’automotive.”
Sburlati ha indicato quattro misure reattive: un intervento europeo per superare il regime dei de minimis sui piccoli invii; una norma sul modello francese, con tassa postale sui pacchi e divieto di pubblicità per i player dell’ultra fast fashion; l’applicazione rigorosa della legge sull’anticaporalato; e l’attuazione dell’Epr tessile, che “farebbe nascere in Italia una nuova filiera dedicata alla rigenerazione delle materie prime e seconde”.
A queste proposte ha aggiunto la richiesta di un credito d’imposta per ricerca, sviluppo e prototipazione, “fondamentale per i prossimi cinque anni per sostenere l’industria creativa”. Guardando al futuro, Sburlati ha individuato nel risparmio privato italiano una leva di rilancio per le Pmi: “L’Italia è il secondo Paese in Europa per volumi di risparmio privato. Se solo una parte dei fondi assicurativi e previdenziali venisse investita nel Paese, invece che all’estero, avremmo un effetto moltiplicatore per le nostre imprese. In Francia il 20% dei fondi viene reinvestito internamente, nel Regno Unito il 40%, in Italia appena il 2%. Serve un vantaggio fiscale per chi investe nelle aziende italiane.”
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