Difesa, sfuma l’accordo per includere il Regno Unito nel fondo UE per il riarmo da 150 miliardi
Bruxelles – Pagare quasi 6 miliardi di sterline per partecipare al fondo UE sulla difesa? Londra non ci sta. Secondo le indiscrezioni circolate in queste ore sulla stampa britannica, il governo di Sua Maestà avrebbe risposto picche alla richiesta della Commissione europea per accedere allo strumento SAFE, che dovrebbe sostenere il riarmo dei Ventisette.
I dettagli della vicenda non sono ancora del tutto chiari, dato che i negoziati sono ancora in corso. Ma già oggi (11 novembre) è rimbalzata la notizia dell’indispettito rifiuto opposto dall’esecutivo guidato dal premier laburista Keir Starmer alla richiesta di Bruxelles di scucire una “quota di partecipazione” da 5,94 miliardi di sterline (6,75 miliardi di euro) per associarsi al maxi-fondo per il riarmo continentale.
“Accetteremo solo accordi che apportino valore al Regno Unito e all’industria britannica”, si legge in un comunicato governativo. “Non è stato concordato nulla e non forniremo commenti in tempo reale sui colloqui in corso”, aggiunge la nota. Fonti britanniche hanno descritto le richieste della Commissione come “irragionevoli” ed esagerate, confermando la risposta negativa di Downing Street.
In realtà, la proposta avanzata dall’esecutivo comunitario altro non è che il risultato di un braccio di ferro tra i Ventisette. Alcuni Stati membri, capitanati dalla Francia, avrebbero assunto una posizione più intransigente, mentre un altro gruppo guidato dalla Germania vorrebbe abbassare l’asticella per scongiurare il rischio che Londra si chiami fuori. Stando a diversi funzionari coinvolti nelle discussioni, i negoziati continueranno a ritmo serrato nei prossimi giorni.

Lo strumento SAFE (acronimo di Security action for Europe) rappresenta uno dei pilastri della strategia ReArm Europe, annunciata da Ursula von der Leyen lo scorso marzo per rendere “militarmente pronta” l’Unione di fronte ad un’eventuale aggressione da parte della Russia. Fa il paio con l’impegno assunto da Bruxelles ad allentare i vincoli comunitari sull’indebitamento in difesa fino all’1,5 per cento del PIL, attivando la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità e crescita (PSC) per mobilitare qualcosa come 650 miliardi in investimenti.
La dotazione del fondo è di 150 miliardi di euro – la piena sottoscrizione è stata raggiunta lo scorso agosto, secondo il Berlaymont – e servirà a finanziare tramite prestiti (all’Italia dovrebbero spettare poco meno di 15 miliardi) dei progetti comuni di difesa, incluso per la produzione di droni e missili, lo sviluppo di capacità di difesa cibernetica e la costruzione di uno scudo aereo europeo. Il meccanismo prevede che i Paesi coinvolti si associno in consorzi e partecipino ad appalti congiunti, sia per l’acquisto sia per la vendita di armi.
Ora, la porta di SAFE è sempre stata aperta anche ai partner extra-UE, ma non per tutti alle medesime condizioni. L’Ucraina e i membri dell’area di libero scambio europeo (EFTA) – Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera – partecipano a pieno titolo come i Ventisette. Paesi terzi come il Regno Unito, il Canada o la Turchia, invece, devono negoziare con la Commissione il proprio coinvolgimento, previa stipula di un patto bilaterale di cooperazione in materia di sicurezza. Ciascuna cancelleria deve dunque versare una quota d’adesione variabile calcolata in funzione della dimensione dell’industria bellica nazionale e dei potenziali benefici derivanti dall’associazione al maxi-fondo UE.
Inoltre, in base alla clausola “buy European“, per qualunque progetto di appalto il valore dei prodotti provenienti dai Paesi terzi non potrebbe superare il tetto del 35 per cento del totale. Secondo le ricostruzioni, il Berlaymont avrebbe proposto a Downing Street un compromesso per ritoccare questa cifra, portandola al 50 per cento in cambio del versamento di 6,5 miliardi di euro più 250 milioni di commissione amministrativa.

E proprio su questo punto sembrano essersi inalberate le discussioni, mettendo entrambe le parti in una posizione scomoda. Da un lato, la querelle complica ulteriormente il complesso processo di riavvicinamento post-Brexit tra Regno Unito e UE. Lo stesso accordo sull’accesso a SAFE, concluso lo scorso maggio, si colloca nel quadro del “reset” delle relazioni tra Londra e Bruxelles di cui Starmer si è fatto alfiere. Dall’altro lato, rischia di danneggiare la credibilità del Vecchio continente mentre tenta di creare una propria deterrenza militare.
Ma non si tratta dell’unico aspetto problematico di SAFE. Particolarmente intricato, soprattutto tra le cancellerie dei Ventisette, rimane il nodo del finanziamento: il fronte dei cosiddetti “frugali” si è sempre opposto all’emissione di nuovo debito comune, dunque i prestiti per la difesa andranno sostenuti col bilancio comunitario.
D’altro canto, l’Eurocamera ha avuto da ridire sulla stessa procedura legale utilizzata per istituire il fondo monstre. Il ricorso all’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), sostengono gli eurodeputati, è ingiustificato poiché quella base giuridica presuppone dei requisiti di urgenza che non sussisterebbero. Così, ad agosto hanno portato gli Stati membri dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione, che dovrà esprimersi sulla questione nei prossimi mesi. Nel frattempo, i governi che lo desiderassero possono fare richiesta per i prestiti di SAFE fino al 30 novembre.
Qual è la tua reazione?
Mi piace
0
Antipatico
0
Lo amo
0
Comico
0
Furioso
0
Triste
0
Wow
0




