Estradizione per Leonardo Bertulazzi, ma l’ex br aspetta lo status di rifugiato

Lug 3, 2025 - 22:30
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Estradizione per Leonardo Bertulazzi, ma l’ex br aspetta lo status di rifugiato

Habeas corpus presentato alla giustizia argentina contro le condizioni di detenzione” a cui è stato sottoposto Bertulazzi, 74 anni, “al fine di eseguire immediatamente l’estradizione in Italia”. Bertulazzi malato di cuore, reduce da una recente ischemia, sta rinchiuso in una cella sotterranea a Buenos Aires. L’habeas corpus è stato presentato l’altra notte dal difensore dell’ex br, l’avvocato Rodolfo Yanzón, dopo l’irruzione della polizia nella casa dove Bertulazzi era gli arresti domiciliari dal 29 agosto 2024, quando il governo di estrema destra di Javier Milei gli ha revocato lo status di rifugiato spianando così la strada alla richiesta italiana. La difesa chiede “la sospensione urgente di qualsiasi misura volta ad eseguire l’estradizione” fino all’esito del ricorso contro la revoca della protezione.

L’accoglimento del ricorso e il conseguente riottenimento dello status bloccherebbero ovviamente l’estradizione. Nel dare il via libera all’estradizione la Corte Suprema argentina ha specificato che la sentenza non influisce sul ricorso contro la revoca dello status di rifugiato, che, quindi, rimane aperto. Il tribunale supremo di Buenos Aires ha accolto il parere favorevole espresso dal Procuratore della Repubblica, Eduardo Casal, che ha definito “infondate” le ragioni dell’appello contro una prima sentenza favorevole all’estradizione della giustizia federale. Bertulazzi è stato condannato per il rapimento nel 1977 dell’ingegnere navale Pietro Costa. Ha una condanna in due processi per un totale di 27 anni di detenzione, una condanna a 14 anni per il sequestro e l’altra per banda armata. Nelle informazioni circolate prima del suo arresto (per forzare la mano sull’estradizione?) gli è stato attribuito un ruolo nel rapimento Moro che non può aver avuto perché nella primavera del 1978 era in carcere. Apparteneva oltretutto alla colonna genovese delle Br.

Bertulazzi era entrato in Argentina nel 2002 passando dal Cile via terra, in motocicletta. Nel 2004 ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato quindi non poteva essere arrestato, ma il governo Milei ne ha potuto annunciare l’anno scorso la cattura dopo aver modificato per decreto la composizione della Commissione nazionale per i rifugiati (Conare) che ha revocato la protezione a Bertulazzi. Il mandato di arresto è stato emesso dal giudice María Servini de Cubria. Il governo argentino, l’estate scorsa, subito dopo la revoca dello status di rifugiato e l’arresto, ha emanato un comunicato in cui attribuiva all’ex br un ruolo nella “logistica del rapimento Moro” e una sua funzione di “alto rango all’interno dell’organizzazione”. Le informazioni ricevute dall’Italia sul conto dell’ex br paiono aver confezionato per Bertulazzi una biografia che gli va un po’ larga disegnandogli un ruolo nelle Brigate rosse di fine anni 70 che non ha mai avuto.

Sostiene Paolo Persichetti, storico di professione informatissimo sulle vicende delle Br e con un passato nella lotta armata che sul caso Bertulazzi esista un falso sillogismo. Dice Persichetti: “È noto che la base di via Montalcini 8, a Roma, nella quale fu custodito Moro durante i 55 giorni del sequestro, venne acquistata da Laura Braghetti e per questo condannata all’ergastolo con una parte della somma del sequestro Costa. Ergo, siccome Bertulazzi è stato condannato a 15 anni di carcere per complicità – del tutto marginali – nel sequestro dell’armatore genovese, se ne deve concludere che lo stesso ha acquistato per conto delle Brigate rosse quella base e quindi ha avuto un ruolo nel sequestro. Più o meno è stato questo il falso sillogismo abilmente insinuato nei comunicati ufficiali che hanno portato la stampa e i vari siti d’informazione, ormai in mano a persone professionalmente disinformate, a replicare una simile castroneria. È bastata una velina per cancellare evidenze processuali e storiche stratificate da decenni. Fake ripresa da tutti i giornali, oltre che da una comica dichiarazione del parlamentare Federico Mollicone di Fratelli d’Italia, citando un libro di Maria Antonietta Calabrò e Giuseppe Fioroni (ex presidente della seconda commissione Moro), il quale ha affermato che l’arresto di Bertulazzi può portare a «nuove evidenze nell’indagare sull’esatta ubicazione di Moro durante il sequestro». Per farla breve, secondo il Mollicone-Calabrò-Fioroni pensiero, Moro sarebbe stato trattenuto «in un box di corso Vittorio 42, che era nelle disponibilità della residenza diplomatica dell’allora Ambasciatore del Cile presso la Santa Sede», per intenderci un diplomatico del dittatore Pinochet”.

Nota Persichetti che “le evidenze storiche, oltre che le sentenze sulla base delle quali sono stati comminati decine di ergastoli e secoli di carcere, ci dicono che i soldi del sequestro dell’armatore Costa furono redistribuiti equamente tra le varie colonne brigatiste. La colonna romana, che agli inizi del 1977 era in fase di costruzione, approfittò della sua quota per acquistare tre appartamenti: uno in via Paolombini, l’altro via Albornoz e l’ultimo in via Montalcini. L’abitazione di via Palombini cadde nel maggio 1978 dopo la cattura e le torture inferte a Enrico Triaca, che gestiva la tipografia di via Pio Foà; via Albornoz non venne mai utilizzata perché solo dopo l’acquisto si scoprì che nello stesso pianerottolo abitava un carabiniere, quindi fu rivenduta; via Montalcini fu ceduta dopo il sequestro Moro. Di questo intricato giro di acquisizioni e vendite immobiliari Bertulazzi era totalmente estraneo. E nulla c’entrava per due ragioni: la prima perché faceva parte di un’altra colonna all’interno della quale, semplice irregolare, non ha mai rivestito ruoli di vertice o dirigenziali. Proveniente dal Lotta continua, entrò nella colonna genovese nel 1976 per restarvi poco tempo, perché – e qui veniamo alla seconda ragione – nell’estate del 1977 sugli scogli di Vesima, nell’estremo occidente genovese, rimase gravemente ustionato alle mani e al viso mentre armeggiava con del materiale incendiario. Dall’ospedale lo condussero direttamente in prigione dove restò per scontare una condanna di due anni. Durante il sequestro Moro, Bertulazzi era detenuto. Questa è la verità”.

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