Fibre coltivate in Italia: pochi volumi, ma destinati a crescere

Novembre 15, 2025 - 01:00
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Fibre coltivate in Italia: pochi volumi, ma destinati a crescere

Dal cotone coltivato nei campi dello Stivale alla lana recuperata dagli allevamenti ovini autoctoni: ecco come si sta muovendo la filiera

Qualcuno direbbe che il cambiamento climatico oltre a portare gravi problemi sta modificando l’assetto produttivo di aree del mondo. Sarà questo uno dei motivi per cui l’Italia può vantare da qualche tempo una produzione autoctona del cotone?

In ogni caso è una bella notizia per il sistema agricolo, che può contare su una nuova tipologia di prodotti e anche per il tessile italiano (per cominciare) che dispone così di una nuova catena di approvvigionamento a km zero.

Cotone italiano da agricoltura rigenerativa

Nei decenni scorsi non sono mancati i tentativi di reinserire il cotone nell’agricoltura nazionale ma i risultati sono stati più esemplificativi che quantitativamente validi. Ora la situazione si è evoluta.

Parliamo dell’Apulia Regenerative Cotton Project, avviato nel giugno 2023, in collaborazione con la Sustainable Markets Initiative Fashion Task Force e la Circular bioeconomy alliance, coordinato dall’Istituto Forestale Europeo (Efi) insieme al Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e per l’analisi dell’Economia Agraria (Crea) e a Pretaterra.

L’obiettivo è sviluppare un campo sperimentale di cotone secondo il sistema colturale rigenerativo, testando e valutando scientificamente la produzione sostenibile della fibra mediante l’applicazione di tecniche di agricoltura rigenerativa agroforestale.

Dopo la prima piantagione di cotone con filari di alberi di pesco su un ettaro di terreno, la coltivazione si è gradualmente estesa nell’anno successivo, affiancando al cotone alberi di pioppo e melograno, per un totale di 3 ettari (di cui 0,6 ettari in agroforestazione e 2,4 in monocoltura).

Nel corso del terzo anno è stata introdotta la semina di cotone alternata a filari di alberi di carrubo, fico e gelso, per un totale di circa 5,2 ettari (di cui 3,6 in agroforestazione e 1,6 in monocoltura), espandendo il terreno agricolo e raggiungendo in anticipo l’obiettivo prefissato di cinque ettari nell’arco di cinque anni.

I risultati sono incoraggianti: il primo anno sono stati raccolti 2.400 kg di cotone rigenerativo; nel secondo anno, ne sono stati raccolti 3.000 kg.

E c’è già la prima Tshirt

Un altro importante traguardo raggiunto è stata la realizzazione del primo capo interamente prodotto con cotone rigenerativo, così denominato poiché proveniente da pratiche agricole che mirano a migliorare la conservazione della biodiversità e il sequestro di carbonio, a ridurre le emissioni, l’uso di sostanze chimiche e il consumo di acqua.

Con il cotone ottenuto dalla prima semina, sono state prodotte circa 1.000 Tshirt. Realizzate interamente in cotone Regenagri, le magliette sono dotate di codice Qr e di un passaporto digitale che ne garantiscono l’autenticità e la tracciabilità. Armani Group promotore dell’iniziativa ha firmato  la collezione.

Cresce (di qualità) anche la lana italiana

Cosa fare del vello prodotto dai circa  5 milioni di ovini allevati in Italia per la filiera del latte e della carne e che brucano ogni giorno sui nostri campi?

Certo non è una lana di qualità, essendo corta e grossolana, e non può certo competere con la lana australiana o neozelandese utilizzate nell’abbigliamento. In altre parole, un problema e un costo per i pastori a cui ovviamente la legge vieta di abbandonarla nell’ambiente.

Che fare quindi? Come trasformare in una risorsa quello che a oggi rappresenta un problema? Negli anni non sono mancate iniziative mirate soprattutto a valutare l’uso del vello in contesti diversi dalla moda, come l’edilizia per esempio.

Inoltre, supportati da università, alcuni allevamenti hanno testato incroci per migliorare geneticamente le razze ovine italiane con risultati apprezzabili. Ora si tratta di passare da alcune esperienze timone a pratiche condivise.

Per fare questo è necessario coinvolgere tutti i soggetti della filiera della lana italiana. È quello che pensano i responsabili del progetto ReVallate, finanziato nell’ambito del Pnrr e realizzato da Università di Bari – Agritec, Università degli Studi di Camerino (Unicam), dal Consorzio Biella Wool Company con il contributo di Enea.

I primi soggetti coinvolti, ci spiegano, sono stati i pastori, che oltre ad allevatori sono i veri custodi del territorio in grado di segnalare incendi, valanghe, smottamenti del terreno.

I greggi inoltre fertilizzano il suolo favorendo il sequestro di CO2, a condizione naturalmente che esista un corretto rapporto tra numero di animali, spazio e vegetazione disponibile.

Grazie ai miglioramenti genetici e alla maggior attenzione dedicata all’alimentazione e alla salute complessiva dell’animale, la qualità del vello è migliorata e la lana italiana può far bella figura di sé soprattutto nell’arredamento e negli accessori, a condizione che la tosa sia effettuata correttamente.

I tosatori devono infatti evitare di infliggere alle pecore stress e disagio durante la tosa e devono gestire il vello in modo da facilitare le successive operazioni di cernita e pulizia della fibra che precedono la filatura vera e propria.

Un ruolo importante è inoltre ricoperto dai centri di raccolta della lana (troppo pochi in Italia), a cui spetta il compito della cernita, della classificazione e dell’imballaggio della fibra destinata ai lanifici.

Tutti i passaggi subiti dalla lana, dall’alpeggio alla fabbrica, devono inoltre essere tracciati per garantire l’autenticità del materiale, le specifiche caratteristiche e le lavorazioni subite. Una pratica che può oggi avvalersi del supporto di software gestionali studiati ad hoc per questa particolare tipologia di filiera.

Grazie al coinvolgimento di artigiani e creativi sono stati inoltre realizzati tappeti e complementi di arredo di ottima fattura. Proprio la casa sembra essere la sede ottimale per la lana italiana, ora si aspetta che l’industria colga questa opportunità realizzando ad esempio moquette e tappeti con questa preziosa fibra naturale.

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Aurora MagniAurora Magni: una laurea in filosofia e una passione per i materiali e l'innovazione nell'industria tessile e della moda; è presidente e cofondatrice della società di ricerca e consulenza Blumine, insegna Sostenibilità dei sistemi industriali alla Liuc di Castellanza e collabora con università e centri ricerca. Giornalista, ha in attivo studi e pubblicazioni sulla sostenibilità | Linkedin

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