Filantropia Attiva Italiana, l’impresa di fare il bene

Novembre 11, 2025 - 06:30
 0
Filantropia Attiva Italiana, l’impresa di fare il bene

C’è un modo diverso di intendere l’impresa e un modo nuovo di pensare la filantropia. Ben altre imprese di Giulio Litta Modignani e Chiara Tintori (Ipl,168 pagine, 17 euro), in libreria dall’11 novembre, racconta la nascita e la crescita di Filantropia Attiva Italiana, realtà che ha trasformato un gesto di generosità in un metodo, un’esperienza personale in un modello replicabile.

Attraverso le storie di persone, famiglie e organizzazioni che mettono le proprie competenze e risorse al servizio del bene comune, il volume propone una riflessione concreta su come l’impegno sociale possa diventare parte integrante della vita professionale e familiare.

Ne abbiamo parlato Giulio Litta Modignani, per capire come si può passare dalla beneficenza occasionale a una vera e propria responsabilità generativa, capace di incidere sul futuro delle persone e della società.

Il titolo Ben altre imprese sembra voler ribaltare l’idea comune di “impresa”. Che cosa intendete proporre, oggi, con questa espressione?
Nel libro si parla di “imprese” in senso lato. Da un lato facciamo riferimento a vere e proprie imprese, nel senso di azioni o iniziative notevoli, che persone meritevoli di grande attenzione e considerazione pongono in atto verso le necessità di persone fragili. Ma, al tempo stesso, il termine imprese può essere interpretato nella sua accezione aziendale; infatti, alcuni Enti da noi finanziati sono imprese sociali, per natura orientate alle esigenze dei propri stakeholders, ovvero a tutte le persone o enti che hanno relazioni con l’impresa sociale stessa. Anche le imprese commerciali, chiamiamole così, orientate al profitto e attente alle esigenze dei propri shareholders possono e dovrebbero avere più attenzione al mondo che le circonda ed essere più sensibili alle esigenze dei propri stakeholders (per esempio clienti, fornitori, dipendenti, comunità locali). Farlo con convinzione comporterebbe un miglioramento delle relazioni e del contesto economico/sociale in generale. Un vero e proprio cambio di paradigma.

Il libro nasce da un’esperienza concreta, ma si legge come un manifesto. In che senso volete che diventi un modello per altre aziende o famiglie imprenditoriali?
Abbiamo avviato l’attività filantropica per venire incontro ad una nostra esigenza. Sentivamo il bisogno di avviare un’attività in questo settore per fare del bene in modo non sporadico, in modo più strutturato, professionale, con uno sguardo rivolto al futuro in via continuativa. Poi ci siamo accorti che questo approccio è facilmente replicabile da parte di tante famiglie in cui, dopo una vita dedicata al lavoro, ci si ritrova generalmente con più tempo e risorse a disposizione da dedicare a nuovi progetti. E di conseguenza abbiamo deciso di raccontare la nostra esperienza, attraverso le storie affascinanti di chi abbiamo incontrato, nella speranza che possa essere ispirativa, ma anche per sottolineare l’importante effetto educativo che può avere, all’interno di una famiglia, l’iniziativa di un’attività filantropica.

La vostra idea di filantropia è fortemente legata al metodo e alla misurazione dell’impatto. Ritenete che il rigore gestionale sia una forma di etica, e non un vincolo tecnico?
L’adozione scrupolosa di una metodologia precisa è importante, ma pur sempre il mezzo e non il fine. Per noi rigore gestionale significa sostanzialmente due cose molto importanti per chi dona: innanzitutto la garanzia che le donazioni non vengano disperse in spese ancillari che poco hanno a che fare con i progetti concreti, e inoltre che si sappia esattamente cosa si finanzia e perché. Nella nostra attività, queste regole sono sempre rispettate, a sostegno del nostro obiettivo principale, ovvero avere un impatto sociale positivo, duraturo nel tempo e rilevante, mediante il cambiamento di vita da parte di persone che rischierebbero altrimenti di restare ai margini della società.

Le realtà raccontate nel libro (dalla Casa di KIM a ZeroPerCento, dal Fondo Opes alle Botteghe di quartiere) appartengono a mondi diversi. Quale filo rosso le unisce?
Gli ambiti d’intervento sono vari, ma il filo conduttore di tutti è andare incontro alle necessità di persone fragili, per favorire una società più inclusiva e, non da ultimo, promuovere una migliore tenuta sociale del nostro Paese. Che si tratti di un bambino gravemente malato cui viene salvata la vita, di una persona con disabilità intellettive che acquisisce le competenze per lavorare, o di un giovane tolto dalla strada cui viene insegnata una professione artigiana, e gli esempi possono continuare, in tutti questi casi stiamo facilitando l’inserimento nella società di una persona che un domani avrà un lavoro, pagherà le tasse e avrà delle relazioni positive con altre persone. Sono tutti interventi che fanno una differenza enorme. Quanto ai problemi da affrontare e alle possibili soluzioni, cerchiamo di mantenere uno sguardo il più ampio possibile, approccio che ci porta a sostenere anche progetti che operano in ambiti meno tradizionali per la filantropia. Ne è esempio il sostegno all’attività del Fondo Opes, per le motivazioni che inviterei a scoprire leggendo il libro, che affronta tutta una serie di tematiche che ben si conciliano con la nostra attività.

In che modo l’esperienza di Filantropia Attiva Italiana vi ha cambiato la visione del lavoro, del denaro e del concetto stesso di successo?
Questa attività filantropica ci ha portato a conoscere dei modi di lavorare diversi rispetto a quelli a noi noti, ma soprattutto ha cambiato il nostro sguardo su ciò che avviene a conclusione della vita professionale. Quando lavori fai parte di un meccanismo che serve per far funzionare il mondo, nel vero senso del termine, e piccolo o grande che sia, fai parte dell’ingranaggio e, a volte inconsapevolmente, sei contento di farne parte. Dopo il lavoro si rischia di sentirsi uno spettatore passivo, senza più un ruolo. Un’attività come questa ti riporta ad avere un posto all’interno dell’ingranaggio, permette di tornare ad essere parte attiva di un meccanismo che ha un valore importantissimo: quello dell’aiuto alle persone più fragili. Per quanto riguarda il denaro direi che l’accumulo fine a sé stesso, a parte le necessarie riserve di sicurezza che tutti auspichiamo di avere, non serve a nulla. Rimanderei i lettori al saggio di Andrew Carnegie citato nell’introduzione del libro che, ovviamente, deve essere contestualizzato ai tempi della sua redazione (1889) per essere ben inteso. Ma in estrema sintesi, Carnegie sosteneva che i patrimoni accumulati durante la vita lavorativa dovessero poi essere spesi da parte di chi li aveva accumulati, a beneficio della collettività. Anche perché è anche grazie alla collettività che l’accumulo dei patrimoni è stata resa possibile. Dal suo pensiero è nata la filantropia. Per quanto riguarda il successo, l’accumulo e l’esternazione di ricchezze, di like sui social o di cariche pubbliche non sono a mio avviso corretti parametri del successo di una persona. Sono parametri esteriori, di facciata direi, che personalmente non ho mai perseguito.

Nel volume la dimensione familiare e quella imprenditoriale si intrecciano. È possibile conciliare affetti, valori e impresa senza che uno prevalga sull’altro?
Certamente, l’importante è che vi siano delle regole condivise, anche non scritte, cui fare riferimento. Chi studia questo tipo di relazioni si confronta generalmente con il diagramma a tre cerchi di Tagiuri e Davis della Harvard Business School, che risale al 1982, che evidenziava graficamente le relazioni tra famiglia, proprietà e azienda, e permetteva di chiarire graficamente i vari ruoli dei familiari e le possibili sovrapposizioni, nel rispetto delle regole che ogni famiglia può avere per organizzare questi ambiti. Oggi per la nostra famiglia deve essere aggiunto anche il cerchio della filantropia, che ben si adatta a questo modello, cui possono partecipare diversi membri della famiglia, ciascuno con un proprio ruolo.

In Europa o nel mondo esistono modelli simili di filantropia imprenditoriale? Vi siete ispirati a esperienze già consolidate o Filantropia Attiva Italiana può essere considerata una realtà pioniera nel suo genere?
Non siamo un unicum, per fortuna. Diverse famiglie hanno sposato come noi il concetto di dotarsi di strumenti e metodologie per organizzare e definire la propria strategia filantropica. A prescindere dal veicolo giuridico che si intende scegliere (Fondazione o Fondo Filantropico), quello che ci caratterizza è il considerare la filantropia come una parte integrante della pianificazione patrimoniale e di aver voluto costituire un team dedicato con competenze trasversali che faccia analisi, selezione e due diligence delle realtà da sostenere e che possa seguire i progetti e le organizzazioni proponenti nel tempo. Rispetto alla nostra idea originaria di sostenere solo progettualità e di variarle nel tempo, in questi anni di attività il nostro approccio si è modificato ed è diventato quello di metterci al fianco delle organizzazioni, a sostegno dei loro progetti, e di sostenerle, dove ha senso farlo e per quanto a noi possibile, in via continuativa. Diventare, quindi, veri e propri partner, anche se finanziari, per determinati progetti. Mi pare che la cosa sia molto apprezzata da parte degli Enti con cui abbiamo instaurato questo tipo di rapporti. 

Se doveste lanciare un messaggio agli imprenditori italiani, quale sarebbe l’invito concreto per passare dalla beneficenza alla responsabilità generativa?
L’invito è quello di leggere con grande attenzione la prefazione al libro di Carlo Salvato, docente e prorettore vicario dell’Università Bocconi, che ha ben evidenziato come patrimonio e vita acquistano il loro più grande valore quando sono vissuti come dono. Il passaggio da una beneficenza occasionale ad una filantropia stabile, strutturata e condivisa in famiglia può essere una palestra formativa molto valida per i giovani e, al tempo stesso, come ha sottolineato Carlo Salvato, questa apertura agli altri è un antidoto contro invidie e rancori che spesso portano a litigi e conflitti tra familiari.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia