I lavoratori pagano la crisi della moda: a rischio oltre 293 mila posti (-18%)

Novembre 13, 2025 - 00:00
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I lavoratori pagano la crisi della moda: a rischio oltre 293 mila posti (-18%)
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Il settore della moda sta attraversando una fase di turbolenza che sta inevitabilmente travolgendo anche decine di migliaia di posti di lavoro a livello globale. Negli Stati Uniti, come riportato da WWD, la crisi occupazionale ha già investito marchi come Nike, PVH Corp. (gruppo di Calvin Klein e Tommy Hilfiger), Levi Strauss&Co., Under Armour e VF Corp. (proprietaria, tra altri, di The North Face e Vans), con oltre 17 mila licenziamenti solo nel 2025.

E il trend non risparmia l’Europa. Qui il comparto moda-tessile trainato da Italia, Francia, Spagna, Germania, Portogallo e Romania, conta circa 1,7 milioni di lavoratori ma si trova ad affrontare una doppia pressione: quella della domanda in calo e quella della trasformazione tecnologica. In parallelo, la concorrenza dei prodotti a basso costo provenienti dall’Asia e la crescita delle piattaforme Shein e Temu continuano a esercitare una forte pressione sui prezzi e sui margini, spingendo i marchi europei verso piani di ristrutturazione e tagli del personale.

Secondo Euratex, le cifre sono allarmanti perché negli ultimi 18 mesi l’industria del tessile-abbigliamento ha perso quasi 100 mila posti di lavoro, pari al 10% della forza lavoro continentale. Su questa scia, il rapporto Just Fashion Transition 2025 di The European House – Ambrosetti delinea uno scenario tutt’altro che positivo. Anche se negli ultimi cinque anni la produttività della moda europea è aumentata del 50%, si prevede una riduzione di circa 293 mila posti di lavoro entro il 2030 con un calo dell’occupazione pari al 18%. Il 63% di queste perdite previste riguarderà proprio il segmento dell’abbigliamento e a risentirne maggiormente saranno i Paesi dell’Europa dell’Est, su tutti la Romania che potrebbe rischiare di perdere più di 61 mila lavoratori entro il 2030 (-46,2% rispetto al 2023). 

L’Italia non è esente da queste dinamiche. Secondo i dati di Confindustria Moda, nel 2024, oltre il 25% delle aziende della moda-abbigliamento del territorio hanno fatto ricorso ad ammortizzatori sociali, e nel distretto fiorentino della pelletteria la domanda di cassa integrazione è schizzata del 194%. La situazione non è migliorata nel 2025 con licenziamenti e provvedimenti di cassa integrazione che hanno riguardato tanto le piccole e medie imprese artigianali quanto i brand più affermati. Nel suo piano di ristrutturazione, Benetton ha attivato contratti di solidarietà per circa 900 dipendenti in Italia ma nel frattempo, secondo quanto riportato da Milano Finanza, a inizio 2025 ha avviato i licenziamenti di 96 dipendenti in Sicilia (che si aggiungono al taglio di 160 dipendenti già avvenuto in Spagna). La storica azienda tessile Canepa di Como, fiore all’occhiello della seta italiana, è entrata in liquidazione con 153 posti a rischio. Tra gli altri esempi balzati alle cronache recentemente, nella calzatura, Moreschi ha chiuso la produzione a Vigevano con 59 esuberi, mentre il calzaturificio Sud Salento, che fornisce in esclusiva il gruppo Kering producendo le calzature di Gucci, ha licenziato 120 operai dopo mesi di cassa integrazione. Allo stesso modo, lo scorso settembre, Bally ha raggiunto un accordo con il sindacato OCST per il taglio di ulteriori 30 posti di lavoro per la sua sede nel Canton Ticino, che si aggiungono ai 64 già tagliati a novembre 2024.

Nel Bel Paese però, la preoccupazione maggiore resta per le Pmi e per le aziende fornitrici specializzate per conto delle griffe. Dal distretto tessile comasco, a quello toscano fino ad arrivare al comparto calzaturiero delle Marche, i sindacati di Regione hanno a più riprese espresso preoccupazione per le realtà del territorio chiedendo misure sostenibili per i lavoratori. In Veneto, ad esempio, nel 2019, prima del Covid, il sistema moda regionale impiegava circa 80 mila addetti, mentre nel 2024 se ne contano poco più di 19 mila.

Di recente, in Austria, Swarovski ha annunciato la riduzione di 400 posti di lavoro entro il 2026 nella sede centrale di Wattens  tramite licenziamenti, dimissioni volontarie e pensionamenti. Nel Regno Unito, Burberry ha annunciato fino a 1.700 tagli globali (circa il 20% del personale), mentre Alexander McQueen, marchio del gruppo Kering, ha ridotto del 20% la forza lavoro nella sede di Londra. In Germania, Puma ha comunicato 1.400 esuberi tra il 2024 e il 2025, di cui 900 solo nel 2025, a causa del calo delle vendite e della compressione dei margini.

La crisi ha colpito in modo trasversale anche i distretti produttivi del Portogallo e del Europa orientale, dove diverse aziende tessili non hanno riaperto dopo l’estate 2025. L’associazione ATP Portugal denuncia una situazione d’emergenza, chiedendo misure di sostegno immediate per evitare la chiusura definitiva di molte Pmi.  “La moda europea è in transizione, ma senza un piano industriale comune rischiamo di perdere intere generazioni di competenze”, ha dichiarato Mario Jorge Machado, presidente di Euratex.  La sfida dei prossimi anni sarà trovare un equilibrio tra innovazione e occupazione, garantendo che la transizione della moda verso un modello più digitale e sostenibile non cancelli il suo patrimonio produttivo e culturale.

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Redazione Redazione Eventi e News