Il 60% delle terre emerse è già fuori dalla zona di sicurezza ecologica

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista One Earth lancia un allarme sullo stato della biosfera globale: il 60% delle terre emerse si trova già al di fuori della zona di sicurezza ecologica e il 38% addirittura nella zona ad alto rischio. La ricerca è stata condotta dal Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) in collaborazione con l’Università BOKU di Vienna.
Gli autori spiegano che l’integrità funzionale della biosfera, ovvero la capacità del mondo vegetale di co-regolare il sistema Terra attraverso i flussi di carbonio, acqua e azoto, è ormai gravemente compromessa. «C’è un enorme bisogno che la civiltà utilizzi la biosfera – per il cibo, le materie prime e, in futuro, anche per la protezione del clima – afferma Fabian Stenzel, autore principale dello studio e membro del gruppo di ricerca PIK Terrestrial Safe Operating Space – Dopotutto, la domanda umana di biomassa continua a crescere e, oltre a ciò, la coltivazione di erbe o alberi a crescita rapida per la produzione di bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio è considerata da molti un’importante strategia di supporto per la stabilizzazione del clima. Diventa quindi ancora più importante quantificare la pressione che stiamo già esercitando sulla biosfera, in modo differenziato a livello regionale e nel tempo, per identificare i sovraccarichi. La nostra ricerca sta aprendo la strada a questo obiettivo».
Lo studio si fonda sull’ultimo aggiornamento del framework dei Planetary Boundaries, pubblicato nel 2023, che pone i flussi di energia derivanti dalla fotosintesi al centro dei processi regolatori della stabilità planetaria. «Questi flussi di energia guidano tutta la vita, ma gli esseri umani ora ne stanno deviando una frazione considerevole per i propri scopi, disturbando i processi dinamici della natura», spiega Wolfgang Lucht, responsabile del dipartimento di Analisi del Sistema Terra del PIK e coordinatore dello studio. I ricercatori hanno misurato la pressione esercitata dall’umanità sia attraverso la quota di produttività della biomassa naturale destinata all’uso umano, sia tramite un indicatore del rischio di destabilizzazione ecologica che registra i cambiamenti strutturali nella vegetazione e nei bilanci idrici e biogeochimici.
Basato sul modello globale della biosfera LPJmL, che simula quotidianamente i flussi di acqua, carbonio e azoto con una risoluzione di mezzo grado di longitudine/latitudine, lo studio fornisce un inventario dettagliato per ogni singolo anno a partire dal 1600, basato sui cambiamenti climatici e sull’uso del suolo da parte dell’uomo. Il team di ricerca non solo ha calcolato, mappato e confrontato i due indicatori di integrità funzionale della biosfera, ma li ha anche valutati effettuando un confronto matematico con altre misure presenti in letteratura per le quali sono note “soglie critiche”. Ciò ha portato all’assegnazione di uno status a ciascuna area in base ai limiti di tolleranza locali ai cambiamenti degli ecosistemi: Spazio Operativo Sicuro, Zona a Rischio Crescente o Zona ad Alto Rischio. Questa metodologia permette non solo di comprendere in che misura la pressione umana abbia trasformato gli equilibri naturali nel corso dei secoli, ma anche di identificare le regioni che oggi necessitano di interventi urgenti di tutela e ripristino ecologico, offrendo così uno strumento scientifico direttamente utilizzabile dalle politiche ambientali e climatiche.
Il modello globale LPJmL mostra come i segnali di stress siano comparsi già quattro secoli fa alle medie latitudini. Nel 1900 il 37% delle terre emerse aveva superato la zona di sicurezza e il 14% si trovava già nella zona ad alto rischio. Oggi le percentuali sono salite rispettivamente al 60% e al 38%. Lo studio sottolinea come i cambiamenti nell’uso del suolo, legati all’agricoltura e all’industrializzazione, abbiano inciso sull’integrità della biosfera molto prima che i cambiamenti climatici diventassero evidenti. Europa, Asia e Nord America risultano oggi le aree più colpite.
«Questa prima mappa mondiale che mostra il superamento del limite per l’integrità funzionale della biosfera, raffigurando sia l’appropriazione umana della biomassa che il degrado ecologico, è una svolta dal punto di vista scientifico, offrendo una migliore comprensione complessiva dei limiti planetari – afferma Johan Rockström, direttore del PIK e coautore dello studio – Fornisce inoltre un importante impulso per l’ulteriore sviluppo della politica climatica internazionale. Questo perché evidenzia il legame tra biomassa e pozzi di carbonio naturali e come questi possano contribuire a mitigare il cambiamento climatico. I governi devono trattarlo come un’unica questione sovraordinata: protezione completa della biosfera insieme a un’azione forte per il clima».
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