Il campo largo arriva fino a Di Cesare, la filosofa scettica sulla resistenza ucraina

Questa volta il campo è largo, larghissimo, smisurato: da Roma arriva a Mosca, passando da Reggio Calabria. Un giro strano quello percorso dalla professoressa di filosofia teoretica Donatella Di Cesare, ex presenza costante in tv obiettivamente contraria alla Resistenza ucraina («L’uso della parola “resistenza” è inappropriato, se ne parla solo in Italia. In Ucraina non c’è una guerra civile, c’è un conflitto tra due Stati. Dov’è la resistenza?») e ora candidata a Reggio nella lista Tridico, l’uomo che Giuseppe Conte ha imposto in Calabria alle regionali contro il forzista Roberto Occhiuto.
In effetti nel circo Barnum del campo largo, tra i giocolieri alla Vincenzo De Luca, i mangiafuoco alla Michele Emiliano e clown di vario tipo, senza fare nomi, mancava qualcuno apertamente schierato contro Volodymyr Zelensky: che vuol dire, senza essere esperti di Gadamer e Derrida come lei, stare con Mosca.
Diceva così la filosofia dopo l’aggressione dello zar Vladimir Putin a Kyjiv: «Oggi più che mai lo sforzo è di evitare l’alternativa di schierarsi con i russi o con gli ucraini». Brava, pensa a Monaco che avrebbe detto. «Del resto, la Federazione russa non è certo l’Unione sovietica, se mai le Russie. E i due popoli sono fratelli, interconnessi. Il punto è la catastrofe dell’Europa, che era nata con il compito di far coabitare popoli, non di assecondare nazionalismi o peggio gabbie etniche».
Capito quant’è cattivo il nazionalista Zelensky? Qui un po’ di decostruzionismo ci sta bene: «Oggi quindi serve una nuova sinistra capace di vedere la politica al di là dello Stato che diventa possesso del territorio, integrità nazionalistica, identità parossistica». Perciò – argomentò Di Cesare in un’altra occasione – «dire che Putin è un pazzo, che tutto dipende dal suo cervello, che è il male assoluto è una versione a senso unico, ed è una semplificazione inaccettabile».
Non è il male assoluto, il dittatore di Mosca, è un tipo un po’ così, suvvia. Sempre imbronciata – lo notò Aldo Grasso – Di Cesare adopera quella specie di vittimismo di fattura gruppettara per cui il mainstream ha sempre torto: senza rendersi conto che lei, con tutta la truppa degli orsiniani ingaggiati dal Fatto, rappresentava il mainstream russofilo, populista e sottilmente antivax di questo Paese.
Infatti è il caso di ricordare le prese di posizione dicesariane all’epoca della pandemia contro le chiusure, e gli attacchi a Mario Draghi, ma invece non tireremo in mezzo qui il famoso tweet in onore dell’amica scomparsa, l’ex brigatista Barbara Balzerani, «la compagna Luna», e le polemiche successive perché non è il caso di riaprire certe ferite. Meglio andò, molti mesi fa, sulla guerra Israele-Hamas quando Di Cesare mantenne una posizione di durissima condanna del 7 ottobre e in generale di chi mette in discussione l’esistenza dello Stato ebraico. Ma alla fine la domanda, piuttosto semplice, è che cosa c’entri questo bagaglio di posizioni anti-ucraine (e in un momento come questo, poi) non solo con la Calabria – ovviamente nulla – ma con uno schieramento politico nel quale quella linea non dovrebbe avere diritto di cittadinanza. Che l’amico di Conte, Pasquale Tridico, sia perfetto per il circo Barnum lo si è capito da quando andava in giro con i navigator, ma che arrivasse ad arruolare un’illustre intellettuale che in decine di apparizioni televisive ha fatto finta di non capire la differenza tra le ragioni dell’Ucraina e quelle della Russia, questo è davvero troppo.
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