Kessler: la libertà non è assoluta, prima viene la vita
Foto AgensirContinua a generare sgomento e riflessione la decisione delle gemelle Kessler di togliersi la vita tramite suicidio assistito. Abbiamo chiesto un commento a don Alberto Frigerio, professore di Etica della Vita presso l’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano.
Perché la morte delle gemelle Kessler ha generato tanto clamore?
La decisione di Alice ed Ellen Kessler di porre termine alla propria vita congiuntamente, tramite la pratica del suicidio assistito, colpisce e lascia sgomenti, come sempre accade a fronte della scelta di sopprimere intenzionalmente la propria esistenza. L’opzione suicidaria è infatti correlata a patimenti profondi, connessi a situazioni considerate insostenibili (lutto del coniuge, divorzio, disoccupazione, tracollo finanziario), sindromi depressive, sofferenza fisica, rinuncia a una vita segnata da umiliazione e servitù politica (filosofi stoici), protesta politica (Jan Palach, patriota cecoslovacco protagonista della Primavera di Praga), sottrazione alla insignificanza della vita (vuoto e crisi di senso, ascrivibile in larga parte alla concezione secolare della vita). Motivo per cui la notizia di un suicidio suscita sentimenti di compassione e induce il credente a impetrare la misericordia divina.
Come è chiamata a porsi la Chiesa a fronte di un fatto di cronaca come questo?
Al di là del caso specifico, su cui ogni illazione risulterebbe improvvida, la Chiesa ha il compito di educare a concepire la vita come bene da custodire e coltivare con l’ausilio della comunità. La tradizione cristiana ha sempre ritenuto il suicidio illecito, in quanto costituisce un rifiuto della giustizia e carità verso se stessi, è contrario ai doveri di giustizia e carità verso il prossimo, costituisce un rifiuto della sovranità di Dio sulla vita, riconoscendo al contempo che sul piano soggettivo l’imputazione varia a seconda del contesto sociale e delle condizioni psicologiche (Evangelium vitae, n. 66). Il suicidio si attua sovente in condizioni psicologiche alterate, che tolgono o attenuano la responsabilità morale del suicida, motivo per cui la condanna risoluta del suicidio non fa perdere la speranza di salvezza del suicida: «L’angoscia o il timore grave della prova, della sofferenza o della tortura possono attenuare la responsabilità del suicida. Non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la morte. Dio, attraverso le vie che egli solo conosce, può loro preparare l’occasione di un salutare pentimento. La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita» (Catechismo, nn. 2282-2283).
La vicenda delle gemelle Kessler ha riaperto il dibattito politico inerente alla depenalizzazione del suicidio assistito. Qual è la posizione della Chiesa a questo riguardo?
I promotori del suicidio assistito rivendicano il diritto all’auto-determinazione, che esprime un’accezione libertaria della libertà, che identifica il bene col libero arbitrio o potere di auto-determinazione della volontà. Lo documenta Kirillov, personaggio del romanzo I demoni di Fëdor Dostoevskij, che intende il suicidio come forma di autonomia perfetta che dimostrerebbe l’inesistenza della dipendenza da Altro, comprovando così la logica suicidaria dell’ateismo. In effetti, il soggetto è capace di auto-determinazione, come attesta la sua facoltà di muoversi a partire da un proprio centro inalienabile. La libertà non è però assoluta, ma seconda e relativa alla vita, bene fondamentale che costituisce il presupposto di ogni altro bene, inclusa la libertà, che, per non ritorcersi contro sé stessa, deve prendersene cura responsabilmente. Motivo per cui nelle fasi della vita provata da patimenti non si tratta di introdurre il diritto alla morte (formula contraddittoria, in quanto composta da due termini che si elidono vicendevolmente: diritto e morte) ma di potenziare il diritto alla cura, come insegna la Lettera Samaritanus bonus: «Sono gravemente ingiuste le leggi che legalizzano l’eutanasia o quelle che giustificano il suicidio e l’aiuto allo stesso. Tali leggi colpiscono il fondamento dell’ordine giuridico: il diritto alla vita, che sostiene ogni altro diritto, compreso l’esercizio della libertà umana … Una società merita la qualifica di “civile” se la solidarietà è fattivamente praticata e salvaguardata come fondamento della convivenza» (n. 5,1).
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