La Russia ha la golden share sia della maggioranza sia dell’opposizione italiana

Se non suscitasse orrore o raccapriccio per le cataste di morti con cui sta provando faticosamente ad allargare il perimetro del Russkiy Mir, ci sarebbe da restare ammirati per come uno stato fallito – una sorta di Venezuela atomico – sia riuscito in questi anni a infiltrare i gangli del sistema nervoso dell’Occidente e a colonizzarne stabilmente il corpo politico-giornalistico e l’immaginario popolare, al punto da presentarsi come una alternativa forse più povera, ma più sana e invidiabile alle degradate democrazie euro-atlantiche.
Lo spazio vitale che la Russia ha nel frattempo occupato con maggiore facilità non è infatti rappresentato dai territori del mondo post-sovietico, che è ben lontano dal ricostituirsi, ma dalle opinioni pubbliche dei Paesi che, teoricamente, avevano festeggiato la capitolazione dell’Urss come una vittoria irreversibile – la “fine della storia” – e ora si scoprono a pensare di avere fatto il passo più lungo della gamba e di avere infranto quell’ordine politico naturale, che esige per il Paese più grande del mondo i diritti che la sua storia e geografia smisurata gli suggeriscono da secoli e che sarebbe quindi prudente rispettare.
Il complesso dei mezzi usati dal Cremlino in questa guerra ibrida – il ricatto, la corruzione, il sabotaggio, la seduzione ideologica e la psicagogia propagandistica – non è così diverso, anche se ben più ingegnerizzato e industrializzato, da quello usato dalla Russia comunista per ritagliarsi spazi di manovra dall’altra parte della Cortina di ferro.
Risulta però del tutto diverso e incommensurabilmente superiore, per qualità e quantità, il potere che la Russia è in grado di esercitare e la legittimazione che i suoi disegni imperiali registrano presso le opinioni pubbliche del mondo libero, le quali, pur sentendosene minacciate, ne avvertono la fatale irrevocabilità.
Il consenso che la Russia riscuote in parte dell’opinione pubblica europea non è tanto quello del favore, ma dell’accettazione. È un consenso analogo a quello che in vasti settori della società meridionale riscuote la criminalità mafiosa. Ci sono gli affiliati mafia-entusiasti, per cui la mafia è forte e potente e quindi è bella, altro che lo Stato. Poi ci sono gli esterni mafia-rassegnati, per cui la potenza della mafia è invincibile, come la legge di gravità e non è possibile sfidarla senza precipitare.
Allo stesso modo ci sono i frustrati per cui Vladimir Putin è l’uomo forte dei loro sogni, che fa piazza pulita dei compromessi e delle debolezze della democrazia liberale. Mica come Sergio Mattarella, diceva Matteo Salvini qualche tempo fa. Poi c’è la brava gente pacifista, per la quale solo i pazzi o gli scemi vogliono morire per Kyjiv, contraddire Putin e sfidarne la collera, proprio come dicevano colleghi imprenditori di Libero Grassi e della sua pretesa di mandare in galera gli estorsori che l’avrebbero ammazzato.
Come la mafia è il socio occulto di ogni business economico nei mandamenti mafiosi, degli affari dei prestanome come degli imprenditori taglieggiati, delle imprese di Cosa Nostra, come di quelle costrette a rendere alla mafia l’obolo dell’obbedienza, così la Russia di Putin è diventato il socio occulto della politica europea. Non dei partiti ufficialmente amici, cioè dei picciotti putiniani, ma anche dei partiti nominalmente non putiniani e tuttavia persuasi non ci siano alternative preferibili al tenersi un socio mafioso. Questa dinamica in Italia ha una chiarezza addirittura accecante. Il socio russo ha la golden share della politica italiana.
Ci sono due partiti di Mosca, la Lega e il Movimento 5 stelle, e una robusta constituency rossobruna, convinta che l’imperialismo russo sia una reazione esantematica e perfino salutare all’imperialismo occidentale e che quindi la fine del pericolo yankee, che le carambole della storia sembrano oggi ascrivere ai meriti del primo presidente anti-americano degli Stati Uniti, farà naturalmente cessare anche il pericolo russo.
Poi ci sono i partiti che non stanno con Putin, ma neppure contro. Perché non possono stare contro Donald Trump o perché non possono smentire e sfidare i prestanome putiniani delle rispettive coalizioni o perché rimangono affezionati alla politica estera di grado zero dell’Italia post-degasperiana, amica di tutti e nemica di nessuno, piena di cortesia e vuota di principi e refrattaria a un’idea politica e non puramente diplomatica, cioè affaristica delle relazioni internazionali.
In tutto questo, anche l’invincibilità e l’inscalfibilità della Russia non ha niente di oggettivo, ed è un altro riuscitissimo gioco di specchi delle narrazioni strategiche moscovite. Non stiamo parlando della potenza mondiale egemone, ma di una cleptocrazia unita dalla frustrazione della sconfitta, che per fronteggiare e neppure sconfiggere l’esercito ucraino ha bisogno di dare fondo ai depositi di carne da cannone delle steppe siberiane e di importarne di ulteriore dalla Nord Corea e di svendere gas e petrolio a Cina e India per finanziare la sua economia di guerra e di faticosa sussistenza.
Di fronte ai sistematici sconfinamenti di droni e aerei russi nello spazio aereo dei Paesi Nato e dell’Unione europea, ieri Matteo Salvini ha detto testualmente che «è possibile che qualche Paese, non l’Italia per fortuna, che si trova in difficoltà economiche continui ad insistere di entrare in guerra con la Russia». In questa frase, che avrebbe potuto dire praticamente con le stesse parole anche Giuseppe Conte, c’è tutto quello che ci si può aspettare dall’Italia di fronte alla più grave minaccia che l’Unione europea e i suoi Stati membri si siano mai trovati a fronteggiare: niente. Non si possono contraddire i soci occulti, senza sciogliere la società.
L'articolo La Russia ha la golden share sia della maggioranza sia dell’opposizione italiana proviene da Linkiesta.it.
Qual è la tua reazione?






