L’Arcivescovo: «Un dovere insegnare e imparare a cantare bene nell’assemblea»
Mons. Mario Delpini (Foto Agenzia Fotogramma)«Vorrei incoraggiare a vivere la gioia del Giubileo, ma anche a coltivare la responsabilità di cantare bene e di aiutare le assemblee a farlo, insegnando a cantare, perché un mio dispiacere è vedere che, a volte, si canta male». Si chiude con una consegna impegnativa, che arriva dall’Arcivescovo e che viene subito raccolta con un grande applauso, la Messa, da lui presieduta in Duomo, con cui si celebra il Giubileo diocesano dei Cori. Un Giubileo, dal titolo “Cantori di speranza”, vissuto come un canto corale – è proprio il caso di dirlo – da circa 2000 fedeli, tra coristi, direttori, organisti, musicisti, da tempo iscrittesi per l’evento che, inizialmente previsto presso il Santuario di Rho, proprio per la massiccia adesione è stato spostato in Cattedrale.
Insomma, un ritrovarsi, un cantare insieme per rendere grazie al Signore sapendo che chi canta prega due volte, come diceva Sant’Agostino. E come si rende evidente nelle curate esecuzioni che animano la celebrazione a cui prendono parte tutti i presenti e alle quali si aggiunge, per l’occasione, anche la Cappella Musicale del Duomo, «proprio a indicare una comune appartenenza», come dice ancora il vescovo Mario Delpini.
Sono 142 i cori giunti da tutta la Diocesi, per un Giubileo preparato fin dai mesi scorsi da don Riccardo Miolo, della sezione musicale del Servizio della Pastorale liturgica e dal responsabile del Servizio stesso e penitenziere maggiore della Cattedrale, monsignor Fausto Gilardi che, in apertura,sottolinea l’importanza anche del prendere parte, prima della Messa, ai momenti di meditazione e di preghiera personale proposti e al sacramento della riconciliazione.
Le leggi scritte nella pietra
Quattro i passi che il vescovo Delpini suggerisce per l’itinerario, ispirato dalle Letture, che permette di «entrare nella verità di Dio»

«Il primo passo è lasciarsi condurre come Mosè conduce nel deserto un popolo poco persuaso. Sono le esperienze che gli inviati di Dio fanno fare al popolo, anche se il popolo non comprende, avendo una docilità un po’ indisciplinata che obbedisce e disobbedisce, che sta attenta e si distrae. Il secondo passo è la prima alleanza di cui si parla nel Libro del Deuteronomio. L’alleanza antica è un principio di appartenenza al popolo di Israele con la consegna della legge scritta su tavole di pietra per indicare il comportamento da tenere. Il terzo passo è la nuova alleanza, di cui si parla nella Lettera agli Ebrei». La nuova alleanza, «quella scritta nel cuore delle persone».
La legge scritta nel cuore

«I piccoli ricevono la rivelazione che Dio è Padre, come lo rivela Gesù. Coloro che accolgono con l’animo dei piccoli la rivelazione di Dio sono salvati perché ricevono la vita di Dio e vivono in Gesù: non una lezione di catechismo, ma una comunione in cui possono dimorare e anche comprendere tutta la Sapienza della Chiesa. La nuova alleanza è quella scritta nel cuore, con l’intima adesione di fede allo Spirito, quella che si esprime non tanto con delle parole, ma con un’esultanza che si fa cantico. Il quarto passo è la gloria. Il compimento della nuova ed eterna alleanza: è il cantico di riconoscenza e di esultanza. Come Maria, siamo chiamati a rispondere al dono della vita di Dio cantando il Magnificat». È, così, secondo questo stesso cammino, che «anche i cori e i coristi possono raccontare il loro itinerario, la storia del cantico delle nostre comunità che fa del servizio alla celebrazione un cammino di conversione».
Dal servizio alla conversione
«C’è chi si lascia condurre o, forse, anche trascinare in una fase un po’ infantile: partecipa alle celebrazioni ma non canta, canta male, canta senza capire che cosa canta, senza trovare nel cantare un’emozione o un pensiero. C’è, poi, chi abita nella prima alleanza, fatta di regole e di tecnica: canta bene, canta però per cantare, cerca l’esecuzione perfetta di cui compiacersi, si aspetta applausi e complimenti. Canta per suscitare meraviglia».

E c’è, infine, chi abita nella nuova alleanza, «fatta di intima e sincera partecipazione. Canta per pregare, canta per aiutare a pregare. Canta e la musica, le parole, l’essere insieme sono motivo di commozione e di conversione, come tutto ciò che è la celebrazione, i canti e i silenzi, le parole e i segni del mistero. La nuova alleanza richiede un canto che non sia solo un’esecuzione, ma che divenga una preghiera. Il canto che si trasfigura, si unisce ai cori angelici, così tutta la vita diventa il canto della vita».
Vorrei, dice a conclusione monsignor Delpini – che personalmente consegna ai direttori e ad altre figure delle Corali, la sua lettera “Il canto della profetessa. Prendersi cura dell’assemblea» -, che si insegnasse e si imparasse a cantare, a partecipare meglio all’assemblea. «Questa lettera vuole essere l’incoraggiamento a farsi carico di questo servizio. Anche valorizzando le proposte che il Servizio di Pastorale liturgica offre con le iniziative per l’animazione musicale e il Corso di formazione (ormai attivo da 5 anni con crescente successo) “Te Laudamus” o attraverso percorsi più impegnativi come quelli del Piams, il Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra».
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