L’ennesima trionfale sconfitta che non cambierà un bel nulla

Settembre 30, 2025 - 17:00
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L’ennesima trionfale sconfitta che non cambierà un bel nulla

Nei suoi elementi fondamentali, la linea del Partito democratico non cambia dal 2019, nonostante le numerose sconfitte raccolte negli ultimi sei anni, e non cambierà neanche questa volta, dopo la disfatta subita nelle Marche, ex regione rossa che il Pd avrebbe dovuto riconquistare facilmente e ha invece riperso con ben otto punti di scarto. Fondata sull’abiura della stagione riformista (riduttivamente) identificata con Matteo Renzi e su un rapporto di totale subalternità con il Movimento 5 stelle, spiritosamente definito «campo largo», questa linea è stata la parola d’ordine condivisa dell’intero ambiente politico, giornalistico e intellettuale che ruota attorno al centrosinistra.

Non c’è opinionista, conduttore televisivo o cabarettista di area progressista che in questi sei anni non l’abbia ripetuta fino allo sfinimento, e in molti casi anche da prima. Ed è la ragione della vittoria di Elly Schlein alle primarie, che l’ha incarnata con indiscutibile coerenza sin dal primo giorno, fino al punto da costringere l’intero gruppo dirigente all’indimenticabile umiliazione pubblica del referendum contro la riforma del lavoro (meglio nota con il grottesco nome di Jobs Act) da loro voluta e votata solo pochi anni prima.

Un’altra sconfitta clamorosa, che ovviamente non solo non è stata seriamente analizzata, come si faceva una volta, ma è stata addirittura negata, con argomentazioni non si sa se più ridicole o inquietanti (altro non rassicurante segnale degli effetti prodotti dalla troppo lunga frequentazione con i grillini), arrivando a presentare quasi come un successo un’iniziativa referendaria capace di portare alle urne appena il 30 per cento degli elettori. Non per niente, il commento ufficiale alla batosta presa nelle Marche, affidato a Igor Taruffi, responsabile organizzazione e braccio destro di Schlein, dice proprio così: «La strada è quella giusta, bisogna insistere». Auguri.

Per essere onesti, però, va detto pure che il Pd non sarebbe arrivato a questo punto se Schlein non avesse potuto contare, oltre che sul compatto sostegno degli ambienti progressisti di cui sopra, su una minoranza riformista che in gran parte ha pensato solo a piazzare se stessa, prima nel Parlamento europeo e poi, a nemmeno un anno dall’elezione, nella corsa per le regionali (è il caso di Matteo Ricci nelle Marche, ma anche di Antonio De Caro in Puglia).

Non certo un bello spettacolo, tanto più sconveniente per un partito che da anni pretende di ammaestrare l’elettorato con insinceri sermoncini sull’importanza dell’Europa e delle sue istituzioni. Ma anche di questo la segretaria che doveva incarnare il grande rinnovamento della sinistra porta la sua parte di responsabilità.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

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