Leone XIV: “La speranza del cristiano guarda a Dio”

Novembre 4, 2025 - 03:00
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Leone XIV: “La speranza del cristiano guarda a Dio”

Nella solenne cornice dell’Altare della Cattedra, nella Basilica di San Pietro, Papa Leone XIV ha presieduto la Santa Messa in suffragio del defunto Pontefice Francesco e dei Cardinali e Vescovi scomparsi nel corso dell’anno. È stata la prima celebrazione di questo tipo per il Santo Padre, che ha voluto legarla al significato profondo del Giubileo, definendola “una celebrazione dal sapore della speranza cristiana”. Nell’omelia, il Santo Padre ha meditato sul Vangelo dei discepoli di Emmaus, presentandolo come icona del “pellegrinaggio della speranza” che nasce dall’incontro con Cristo risorto. Ricordando con affetto Papa Francesco, Leone XIV ha sottolineato come la fede trasformi la morte da nemica a sorella, rendendola passaggio verso la vita eterna. “Non siamo tristi come gli altri che non hanno speranza”, ha affermato, invitando i fedeli a guardare oltre la morte, verso la luce del Risorto.

Le parole del Santo Padre

Oggi rinnoviamo la bella consuetudine, in occasione della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, di celebrare l’Eucaristia in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi che ci hanno lasciato durante l’anno appena trascorso, e con grande affetto la offriamo per l’anima eletta di Papa Francesco, che è deceduto dopo aver aperto la Porta Santa e impartito a Roma e al mondo la Benedizione pasquale. Grazie al Giubileo tale celebrazione – per me la prima – acquista un sapore caratteristico: il sapore della speranza cristiana. La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci illumina. Anzitutto lo fa con una grande icona biblica che, potremmo dire, riassume il senso di tutto questo Anno Santo: il racconto lucano dei discepoli di Emmaus. In esso si trova plasticamente rappresentato il pellegrinaggio della speranza, che passa attraverso l’incontro con Cristo risorto. Il punto di partenza è l’esperienza della morte, e nella sua forma peggiore: la morte violenta che uccide l’innocente e così lascia sfiduciati, scoraggiati, disperati. Quante persone – quanti “piccoli”! – anche ai nostri giorni subiscono il trauma di questa morte spaventosa perché sfigurata dal peccato. Per questa morte non possiamo e non dobbiamo dire “laudato si’”, perché Dio Padre non la vuole, e ha mandato il proprio Figlio nel mondo per liberarcene. È scritto: il Cristo doveva patire queste sofferenze per entrare nella sua gloria e donarci la vita eterna. Lui solo può portare su di sé e dentro di sé questa morte corrotta senza esserne corrotto. Lui solo ha parole di vita eterna – trepidanti lo confessiamo qui vicino al Sepolcro di San Pietro – e queste parole hanno il potere di far ardere nuovamente la fede e la speranza nei nostri cuori.

Una speranza nuova

Quando Gesù prende il pane tra le sue mani che erano state inchiodate alla croce, pronuncia la benedizione, lo spezza e lo offre, gli occhi dei discepoli si aprono, nei loro cuori sboccia la fede e, con la fede, una speranza nuova. Sì! Non è più la speranza che avevano prima e che avevano perduto. È una realtà nuova, un dono, una grazia del Risorto: è la speranza pasquale. Come la vita di Gesù risorto non è più quella di prima, ma è assolutamente nuova, creata dal Padre con la potenza dello Spirito, così la speranza del cristiano non è la speranza umana, non è né quella dei greci né quella dei giudei, non si basa sulla sapienza dei filosofi né sulla giustizia che deriva dalla legge, ma solo e totalmente sul fatto che il Crocifisso è risorto ed è apparso a Simone, alle donne e agli altri discepoli. È una speranza che non guarda all’orizzonte terreno, ma oltre, guarda a Dio, a quell’altezza e profondità da dove è sorto il Sole venuto a rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte. Allora sì, possiamo cantare: «Laudato si’, mi Signore, per sora nostra morte corporale».

L’amore di Cristo

L’amore di Cristo crocifisso e risorto ha trasfigurato la morte: da nemica l’ha fatta sorella, l’ha ammansita. E di fronte ad essa noi «non siamo tristi come gli altri che non hanno speranza». Siamo addolorati, certo, quando una persona cara ci lascia. Siamo scandalizzati quando un essere umano, specialmente un bambino, un “piccolo”, un fragile viene strappato via da una malattia o, peggio, dalla violenza degli uomini. Come cristiani siamo chiamati a portare con Cristo il peso di queste croci. Ma non siamo tristi come chi è senza speranza, perché anche la morte più tragica non può impedire al nostro Signore di accogliere tra le sue braccia la nostra anima e di trasformare il nostro corpo mortale, anche il più sfigurato, ad immagine del suo corpo glorioso. Per questo, i luoghi di sepoltura, i cristiani non li chiamano “necropoli”, cioè “città dei morti”, ma “cimiteri”, che significa letteralmente “dormitori”, luoghi dove si riposa, in attesa della risurrezione. Come profetizza il salmista: «In pace mi corico e subito mi addormento, / perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare».

Il ricordo

L’amato Papa Francesco e i fratelli Cardinali e Vescovi per i quali oggi offriamo il Sacrificio eucaristico, questa speranza nuova, pasquale, l’hanno vissuta, testimoniata e insegnata. Il Signore li ha chiamati e li ha costituiti quali pastori nella sua Chiesa, e col loro ministero essi – per usare il linguaggio del Libro di Daniele – hanno “indotto molti alla giustizia”, cioè li hanno guidati sulla via del Vangelo con la saggezza che viene da Cristo, il quale è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione. Possano le loro anime essere lavate da ogni macchia ed essi risplendere come stelle nel cielo. E a noi, ancora pellegrini sulla terra, giunga nel silenzio della preghiera il loro spirituale incoraggiamento: «Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio»

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