L’interminabile caso di Garlasco è lo specchio dell’Italia

Non c’è niente da fare: se guardi a lungo dentro Garlasco, anche Garlasco guarda dentro di te. Garlasco ormai è una biografia della nazione, c’è tutto: la famiglia addolorata, quella che protegge, quella che denuncia, una completa antropologia forense di avvocati perbene e altri con licenza di uccidere (i propri clienti), i magistrati che si odiano, quelli che restano pm tutta la vita e quelli che si riciclano (l’esistenza) e le fanno girare ai colleghi rimasti con la toga, la stampa che vigila, indaga, chiede alla procura e si sostituisce alla procura anche più efficacemente.
L’altra sera Gianluigi Nuzzi a ghigno spiegato ha sfiorato il colpaccio chiedendo all’esausta signora Sempio la destinazione dei soldi presi in prestito. La sventurata fortunatamente non rispose. Il tutto nel diffuso silenzio dei legali, forse confusi e convinti di essere in una stazione di polizia e che Nuzzi fosse il commissario Montalbano.
E poi ci sono i maghi della consulenza: gli eredi di Merlino e della fata turchina, ma anche qualche Cagliostro e Crudelia De Mon pericolosamente in libera uscita.
Emuli del Robert Redford che parlava ai cavalli, essi sussurrano ai cadaveri che a loro, a loro soli, confessano il nome dell’assassino.
Un caravanserraglio di mezze verità e dubbie competenze che è garanzia assoluta che alla mitologica “verità” non si arriverà mai e che, semmai, elevato è il rischio di nuove vittime innocenti.
Questo perché nessuno si ricorda mai di ciò che scrisse Georges Simenon: «La verità non sembra mai vera». Se qualcuno lo avesse tenuto presente, dopo essere stato scarcerato la prima volta, Alberto Stasi sarebbe stato dimenticato e lasciato in pace.
Invece, la ricerca della verità ha preteso la sua libbra di carne. Non è bastato che un bravo giudice ragionando con giudizio, verificato l’alibi, lo avesse scagionato ritenendo non a torto che secondo logica uno che scanna la fidanzata in un impeto d’ira ben difficilmente si dedica subito dopo pochi minuti (meno di una decina) a una tesi di diritto commerciale per diverse ore. Invece c’è stato qualche scettico, cui la verità non è sembrata vera e Stasi è finito in galera per sedici anni.
Del resto se la verità fosse vera, se ci rendessimo conto che quasi mai ci sono colpi di scena, un reality, un pacco, un talent a cambiarci la vita probabilmente il numero di suicidi sarebbe assai più alto, quindi continuiamo a fantasticare sui cold case.
Ora, eccoci a commentare l’ultimo colpo di scena, l’indagine per corruzione in atti giudiziari in cui ci sarebbe il sospetto corrotto, l’ex procuratore capo Mario Venditti, ma curiosamente manca l’altro necessario concorrente nel reato: il corruttore.
I soldi vengono dai genitori di Sempio, che ammettono di essersi fatti prestare una grossa e per loro onerosa somma (circa quarantamila euro) dai parenti, e tutta in contanti, di grandissima fretta per portarla agli avvocati. Questi nicchiano, ammettono di aver preferito sempre i contanti, dichiarano che non hanno mai difeso infami, e insomma dicono e non dicono.
Venditti a suo tempo aveva detto di aver ricevuto una richiesta di nuove indagini dal nucleo investigativo di Milano, ma l’aveva respinta in ventuno secondi. Altrettanto fulmineamente la sua richiesta di archiviazione è stata accolta dal gip in dieci giorni. Tempi record, ma Pavia è piccola.
Non spiegano, i genitori, un particolare che a un vecchio praticone di cose giudiziarie non può sfuggire: come mai tutta questa fretta di pagare tutto e subito e cash? Qual era il motivo di tanto affanno, quando abitualmente se si ha un problema di liquidità si chiede di poter dilazionare e dare un po’ di tempo? C’è un qualche nesso con la velocità della procedura di archiviazione oppure si spiega col comprensibile spavento di essere indagato per omicidio?
Sia come sia, Garlasco ci guarda come l’abisso di Friedrich Nietzsche e noi ne siamo ipnotizzati. Una cosa mi sembra giusta: vada una Flotilla di acclarati garantisti, vadano i Caiazza, Sansonetti, Antonucci, Maiolo, Porro e Borselli a Bollate e invochino: “Free, free Alberto Stasi”.
Cosa sia successo a Garlasco lo sa lui, ma quello che sappiamo noi è che, colpevole, innocente, mezzo colpevole, per tre quarti, lui in galera non ci deve stare, perché se vi è un ragionevole dubbio vale anche per un possibile gran bastardo che la farà franca. Nell’interesse di noi tutti che stiamo davanti all’abisso che ci guarda.
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