María Corina Machado ci ricorda quali sono le voci da ascoltare

Ottobre 13, 2025 - 13:30
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María Corina Machado ci ricorda quali sono le voci da ascoltare

Sono iniziati gli scetticismi – nel migliore dei casi – anche nei confronti di María Corina Machado, dopo la vittoria del Nobel per la Pace. Commenti e analisi negative che si raggruppano intorno alla sua persona, provenienti da precisi mondi culturali, figli di miscugli intellettuali che non sembrano troppo apprezzare le democrazie liberali, sono solo una delle tante facce di un fenomeno più ampio.

Un moto di reazione che va, ad esempio, dal considerare la società civile ucraina che resiste sostanzialmente imbelle, come se fosse priva di volontà politica, e finisce per far sentire tutto il proprio mancato sostegno ai gazawi che lottano ribellandosi ad Hamas, di fatto accantonando e lasciando soli tutte le vere vittime dei grandi conflitti internazionali – per le quali spesso pure ci si indigna o si manifesta.

María Machado ha stravinto le primarie di opposizione in Venezuela, ma le è stato negato di correre per le presidenziali, svelando poi le frodi elettorali di Maduro. Da anni sensibilizza su democrazia, diritti, libertà e proprietà privata, contro un’autocrazia che ha rubato tutto ai cittadini. Ha portato in piazza decine di migliaia di venezuelani, in manifestazioni sabotate dal regime, che ha sin da subito limitato la sua azione rivoluzionaria. È stata minacciata e incarcerata ma è rimasta leader lucida e coraggiosa, che ha giustamente vinto un riconoscimento che meritava.

Costretta infine a vivere in clandestinità, è restata in Venezuela, con una scelta che ha ispirato milioni di persone. Un’ispirazione che evidentemente funziona prevalentemente all’interno, come nel caso della figura di Zelensky, che ha stretto gli ucraini intorno alla bandiera stimolando una forza incredibile in tante fette di società civile, un impeto che spesso e volentieri non viene colto però fuori dai confini del Paese. Si badi bene: la questione non è ricercare per forza degli eroi ai quali aggrapparsi (operazione distorsiva anch’essa, perché offuscante l’oggettività intellettuale), piuttosto sottolineare la rilevanza del non perdere i riferimenti. Che vuol dire percorrere battaglie giuste, appoggiare quindi, senza esitazioni, chi sfida autocrazie e nemici delle libertà, individuali e quindi dei popoli. Anche i grandi attivisti in prima linea saranno imperfetti, si porteranno dietro i propri difetti, il tema non è esaltarli a miti assoluti. Non sostenerli nella corretta misura significa però fare esattamente il gioco degli avversari delle società aperte, in un meccanismo mentale che, in buona o cattiva fede, regala benzina ai “peggiori”, finendo per fiancheggiare chi reprime.

Gli occidentali e gli italiani in particolare hanno, ad esempio, una responsabilità storica relativamente al mancato sostegno ai palestinesi che in questi mesi hanno manifestato contro Hamas, che erano e sono la speranza più reale da alimentare. Abbiamo sentito parlare molto poco ad esempio di Zakaria al-Jamasi, che cercando di opporsi all’utilizzo di una scuola nido di Gaza City come rifugio umanitario è stato trucidato dai terroristi. O ancora, di Susan Abdelqader Bishara, attivista arabo-israeliana del movimento Woman Wage Peace, assassinata nella sua macchina a Tira, città al centro di Israele abitata a 99,9 per cento da arabi, ennesima voce di pace spenta dalla violenza.

Dare voce ai gazawi che ci raccontano cosa accade, come Hamza Howidy, fuggito da Gaza dopo due arresti, che è venuto in Italia a spiegare come Hamas abbia reso il territorio una prigione, rischiando di rimetterci la vita, è ciò che dovremmo fare. Howidy si è chiesto dove sono gli intellettuali e attivisti, soprattutto a sinistra, che sostengono i gazawi che vorrebbero liberarsi e che hanno manifestato per una pace giusta.

La lezione di Machado ci propone e ricorda di ascoltare società civili e attivisti che mobilitano contro autocrati e regimi, che da ultimo significa sostenere l’autodeterminazione di popoli che emergono dal basso, con aspirazione verso libertà e principi democratici. Vale per Kyjiv, vale per Gaza, conta per analisi, disegni concettuali e consequenzialità logiche nella valutazione della politica estera e degli scenari internazionali dove esistono i veri oppressi. Lo stesso può essere canalizzato, nella sua complessità e frammentazione, ovviamente anche per la società civile israeliana che si scaglia contro il governo Netanyahu, allo stesso tempo non piegandosi agli impulsi estremisti e messianici.

L’ideologia e la debolezza cognitiva viziata dalla penetrazione della disinformazione spingono sull’acceleratore della ricerca di negatività e marciume a tutti i costi. Nei rapporti internazionali odierni non c’è resistenza all’oppressione che possa farcela senza il necessario aiuto esterno, al fine di superare le folli ambizioni autocratiche. Non riconoscere questo caposaldo, non esprimere una presa di posizione netta e solidale, significa fare, volontariamente o involontariamente, il gioco di chi prova simpatie per dittatori, invasori e terroristi.

Le società mature devono sostenere la nonviolenza che si ribella alla repressione, allo stesso modo allontanando confusioni e limiti generati dal pacifismo à la carte. C’è un filo rosso che purtroppo lega le posizioni di chi nega il diritto degli ucraini a difendersi, dei gazawi a costruire, di Israele a esistere e del Venezuela a liberarsi dal terrore dittatoriale. Bisogna spezzarlo, come minoranze forti, superando i freni che non ci permettono di stare vicini a quelli che sono i giusti compagni di viaggio, nel cammino tortuoso verso il tentare di divenire finalmente maggioranza.

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