Materie prime critiche, con 2,6 miliardi di investimenti l’Italia coprirebbe il 66% del fabbisogno nazionale

Novembre 6, 2025 - 01:00
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Materie prime critiche, con 2,6 miliardi di investimenti l’Italia coprirebbe il 66% del fabbisogno nazionale

In Europa due terzi dei rifiuti elettronici non sono raccolti correttamente. E Italia, nella classifica di chi fa meglio o peggio, è ventesima tra i Paesi Ue. Non a caso viene segnalato da più parti che dopo due infrazioni Ue, la gestione italiana dei rifiuti elettronici deve cambiare passo. Tra l’altro stiamo parlando di una questione che per il nostro Paese costituisce un’opportunità economica, non semplicemente un obbligo da smaltire. Oggi Iren ha presentato presso la fiera Ecomondo di Rimini un studio realizzato da Teha Group nel quale si sottolinea che «se l’introduzione della nuova “tassa Raee” proposta a livello europeo rischia di tradursi in un “costo del non fare” stimato in 2,6 miliardi di Euro all’anno, legato all’insufficiente capacità di raccolta e trattamento dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), investendo lo stesso importo lungo la filiera nazionale del riciclo – potenziando raccolta, impianti e domanda di materie prime seconde – permetterebbe di coprire, a regime, fino al 66% del fabbisogno italiano di Materie prime critiche (Mpc) e valorizzare circa 1,7 miliardi di euro all’anno di Mpc contenute nei Raee».

Il rapporto Teha fotografa un quadro internazionale caratterizzato da una domanda in crescita e da catene di approvvigionamento sempre più concentrate nelle mani di pochi attori. Tra il 2021 e il 2024 la domanda globale di materie prime critiche è aumentata dell’11% e le proiezioni indicano in media un ulteriore +34% entro il 2030. A questo si aggiunge lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale e dei data center, che possono generare una crescita potenziale di un ulteriore 10% della domanda di minerali chiave già entro la fine del decennio.

In parallelo, le catene di fornitura mostrano una crescente concentrazione geografica: la quota detenuta dai tre principali Paesi raffinatori per le principali Mpc (litio, rame, nickel, terre rare, cobalto e grafite) ha raggiunto l’86% nel 2024, con un incremento di 4 punti percentuali rispetto al 2020, accentuando la dipendenza europea dall’estero e il rischio di approvvigionamento lungo le filiere industriali.

La rilevanza delle materie prime critiche per l’economia europea è ormai sistemica, oltre a costituire uno dei principali capitoli dell’offensiva commerciale tra Usa e Cina. Secondo il rapporto strategico realizzato da Teha, queste materie abilitano in Europa circa 3,9 trilioni di Euro di produzione industriale, equivalenti al 22% del Pil dell’Unione europea. L’Italia emerge come il Paese più esposto tra le 5 principali economie europee, con il 31% del Pil italiano, pari a 675 miliardi di euro, dipende da tecnologie, componenti e processi produttivi che incorporano Mpc. Questo dato conferma come la continuità di approvvigionamento di tali materiali non sia più solo un tema industriale, ma un fattore determinante di competitività e sicurezza economica per il sistema-Paese.

Lo studio presentato da Iren a Ecomondo evidenzia inoltre l’elevata vulnerabilità delle catene del valore europee in alcuni segmenti chiave ad alto valore aggiunto. Due casi emblematici sono il titanio e le terre rare, materiali essenziali per aerospazio, dispositivi elettromedicali, componentistica automotive e magneti permanenti. Oggi l’Unione europea importa 4,7 miliardi di euro di titanio e 1,4 miliardi di euro di terre rare e dipende in misura significativa da un numero ristretto di Paesi fornitori: nel caso delle terre rare, la Cina controlla oltre il 90% della capacità mondiale di raffinazione. Una interruzione delle forniture metterebbe a rischio fino a 700 miliardi di Euro di produzione industriale europea. Per l’Italia, l’esposizione potenziale associata al blocco di queste Mpc è stimata fino a 88 miliardi di euro.

L’ultima sezione del rapporto analizza il potenziale dell’urban mining dei Raee in Italia, alla luce della nuova “tassa Raee” proposta dalla Commissione europea a luglio 2025 che prevede l’introduzione di un contributo pari a 2 Euro/kg da applicare alla differenza tra il tasso di raccolta nazionale e il target europeo del 65%. Considerato che in Italia solo il 29,6% dei Raee è stato raccolto correttamente nel 2024, un dato inferiore di 7 punti percentuali rispetto alla media europea e di ben 35 punti percentuali al di sotto del target Ue del 65%, gli autori del report calcolano che la “tassa Raee” si tradurrebbe in un costo di circa 2,6 miliardi di euro all’anno. Questo rappresenta a tutti gli effetti, sottolineano gli autori un «costo del non fare» per il Paese: una tassa che non genera valore aggiunto interno e che sottrae risorse potenzialmente strategiche per il rafforzamento della filiera nazionale del riciclo. Muovendosi lungo le tre leve di sviluppo principali per  valorizzare l’economia circolare dei Raee (crescita dei volumi di raccolta Raee, incremento della capacità impiantistica e dell’innovazione tecnologica, e creazione di un mercato stabile delle materie prime seconde), l’Italia potrebbe dunque trasformare un costo ricorrente in un investimento strategico di lungo periodo. Infatti, se l’Italia investisse quei 2,6 miliardi di euro annui (in base al tasso di raccolta del 2024), per il potenziamento della filiera nazionale, potrebbe, a regime, coprire fino al 66% del fabbisogno di Mpc e valorizzare circa 1,7 miliardi di Euro annualmente, in sostituzione all’import di materie prime grezze.

«Il percorso verso l’autosufficienza resta complesso: l’Italia non dispone di riserve minerarie significative per l’estrazione di materie prime critiche e la filiera del processing e della raffinazione richiede economie di scala difficili da sviluppare in un contesto nazionale», ha dichiarato il presidente esecutivo Iren Luca Dal Fabbro. «Oggi l’Unione europea importa 4,7 miliardi di euro di titanio e 1,4 miliardi di euro di terre rare e dipende in misura significativa da un numero ristretto di Paesi fornitori. Una interruzione delle forniture metterebbe a rischio fino a 700 miliardi di euro di produzione industriale europea. Per l’Italia, l’esposizione potenziale associata al blocco di queste Mpc è stimata fino a 88 miliardi di euro. Per questo motivo le maggiori opportunità future si concentrano su due leve prioritarie e sinergiche. La prima è il rafforzamento delle partnership internazionali, seguendo l’esempio di Cina e Stati Uniti, per garantire l’approvvigionamento di materie prime vergini e sviluppare relazioni strategiche attraverso il Piano Mattei, orientato alla cooperazione industriale con i Paesi africani. La seconda leva è l’investimento nell’economia circolare dei Raee, volto ad aumentare i volumi raccolti, incrementare la capacità e la diffusione degli impianti di riciclo e favorire anche l’import di materie prime seconde da partner europei e mediterranei».

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