Meloni, Salvini e gli Statisti della domenica (in)

Il grottesco spettacolo offerto ieri dalla gara tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini nell’appropriarsi della figura di Charlie Kirk, fino a ieri in Italia sconosciuta ai più, e probabilmente anche a loro, segnala una scelta di campo molto netta al fianco di Donald Trump. Scelta tanto più significativa nel momento in cui il presidente americano, proprio in nome di Kirk, sta imponendo agli Stati Uniti una torsione autoritaria senza precedenti, da ultimo chiedendo esplicitamente alla procuratrice generale di incriminare i suoi nemici (a proposito di uso politico della giustizia).
Se non bastasse, sarebbe facile fare qui l’elenco delle dichiarazioni più estreme di Kirk – come l’idea che persino a una bambina stuprata dovrebbe essere proibito abortire – per domandare a Meloni se era a posizioni simili che si riferiva quando ha detto, dal palco di Fenix, la festa dei giovani di Fratelli d’Italia, che l’attivista trumpiano «dava voce a quella maggioranza di persone che la pensa esattamente come lui e che ha dovuto finire per sentirsi sbagliata».
Mi limiterò invece a chiedere a ognuno dei numerosi commentatori che da quando Meloni è andata al governo hanno ripetutamente ravvisato in lei i segni di una svolta autenticamente liberale, europeista, modernizzatrice e persino «draghiana», se non gli scappi un po’ da ridere, nel sentirla parlare della «narrazione imposta dal mainstream» un attimo prima di andare a parlare di pastarelle a Domenica In.
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