Ilaria Salis e la malafede di destra e sinistra sull’autorizzazione a procedere

Settembre 23, 2025 - 01:00
 0
Ilaria Salis e la malafede di destra e sinistra sull’autorizzazione a procedere

Il Parlamento italiano nel 1993 rottamò a furor di popolo l’articolo 68 della Costituzione, cancellando la disposizione che subordinava l’avvio e la prosecuzione di procedimenti penali contro deputati e senatori all’autorizzazione della camera di appartenenza. L’unica autorizzazione rimasta oggi riguarda perquisizioni domiciliari e personali e l’applicazione di misure cautelari (tipicamente la carcerazione preventiva).

Non casualmente a prendere questa decisione furono legislatori sotto scacco delle piazze, delle procure e del Quirinale di Oscar Luigi Scalfaro, molti dei quali, in particolare nelle file della maggioranza pentapartitica, inseguiti da avvisi da garanzia, privi di possibilità di rielezione, atterriti dalla prospettiva della galera e interessati a guadagnare benemerenze presso i pm e giudici da cui sarebbe dipeso il loro destino.

Quel voto praticamente unanime unì due atteggiamenti diversamente opportunistici: quello delle opposizioni di sinistra, convinte che la grancassa contro l’impunità dei politici le avrebbe portate in carrozza al potere e che l’abolizione dell’articolo 68 sarebbe stato il viatico del regime change e quello di partiti di maggioranza destinati alla sconfitta, se non alla disgregazione (accadde di peggio: la dissoluzione) e quindi persuasi che una siffatta garanzia sarebbe stata ormai per loro sostanzialmente inutile, e che non valesse la pena difenderla a beneficio di altri.

L’abolizione dell’autorizzazione a procedere per le indagini contro deputati e senatori fu il prezzo del ricatto operato da quel vasto schieramento politico-mediatico-giudiziario che prometteva di “rivoltare l’Italia come un calzino” e di cui, fino alle elezioni del 1994, fece stabilmente parte anche la Fininvest di Silvio Berlusconi. Le sue tv fecero sponda in maniera smaccata alla caccia alla malapolitica.

E proprio lui, lasciando percossa e attonita la sinistra, avrebbe finito per incassare il dividendo elettorale del lavacro di Mani Pulite, provando pure ad arruolare Antonio Di Pietro nelle fila del suo primo Governo. Solo successivamente avrebbe rispolverato – diciamo così: per fatto personale e aziendale – il lessico garantista sacrificato sull’altare della rivoluzione giudiziaria.

Come doveva essere noto allora, ma come si è certamente dimenticato oggi, grazie alla cattiva educazione civica contro la Casta da cui è stata letteralmente impestata la comunicazione politico-giornalistica, l’istituto dell’autorizzazione a procedere, previsto dall’originario articolo 68 della Costituzione, non assicurava alcuna immunità personale all’eletto, ma riconosceva il diritto delle camere di valutare se il procedimento giudiziario che lo riguardava potesse impropriamente pregiudicare l’integrità e la libertà della rappresentanza democratica.

Il fatto che per lunghi anni questo istituto sia stato abusivamente utilizzato in modo automatico e pregiudizialmente contrario alle richieste dell’autorità giudiziaria è semmai la prova della mediocrità della classe politica. Mediocrità confermata dalla negligente leggerezza con cui la medesima classe politica ha pensato di potere cancellare un principio presente praticamente in tutti gli ordinamenti parlamentari.

Col senno di poi, possiamo dire che con l’abolizione dell’autorizzazione a procedere è iniziata la degradazione delle riforme istituzionali a liturgia dei sacrifici umani, culminata nella mutilazione del Parlamento – via con tratto di penna un terzo delle “poltrone” – motivata dall’esigenza di esibire almeno qualche capoccia tagliata a un popolo fomentato a tagliarne ancora di più. Un’altra cosiddetta riforma approvata alla quasi unanimità, un’altra capitolazione totale al senso comune anti-parlamentare.

Oggi il tema dell’autorizzazione a procedere è tornato d’attualità, per il caso di Ilaria Salis. In Italia questo istituto non c’è più, ma al Parlamento europeo e nelle principali democrazie c’è ancora e dunque domani la Commissione giuridica e tra qualche giorno l’Assemblea dell’Eurocamera dovrà decidere sulla richiesta avanzata dall’Ungheria di revoca dell’immunità prevista dall’articolo 9 del cosiddetto Protocollo sui privilegi e le immunità dell’Unione europea.

La coalizione di cui Ilaria Salis fa parte invoca giustamente la protezione dell’eletta rispetto a un procedimento, come quello in corso contro di lei a Budapest, che ha una natura smaccatamente politica, ulteriormente suffragata dalle provocazioni delle autorità ungheresi. Il portavoce di Viktor Orbán le ha recapitato via social le coordinate del carcere dove sarà rinchiusa. Nel caso di Salis c’è tutto il necessario per ravvisare il fumus persecutionis, dalla natura dell’imputazione all’assenza di qualunque garanzia di giusto processo, in un Paese che non rispetta più alcuno standard di diritto europeo e che rimane parte dell’Ue unicamente grazie alla complicità di alcuni stati, tra cui l’Italia.

Ciò che la sinistra si dimentica però autocriticamente di rilevare è che l’istituto che oggi protegge Salis e i suoi elettori è lo stesso che alle nostre latitudini la sinistra stessa continua a qualificare come uno scudo salva-ladri e che invece nasce proprio a presidio del principio della separazione dei poteri e della salvaguardia dell’integrità dell’assemblea parlamentare. Se vale per quella europea, perché non dovrebbe valere per quella nazionale?

Lega e Fratelli d’Italia chiedono invece a Salis di rinunciare alla protezione parlamentare e si dichiarano comunque risoluti a levargliela, per non fare sgarbi al compare sovranista di Budapest e per cavalcare la campagna anti-antifa inaugurata da Trump, subito arrivata in Ungheria e presto destinata a sbarcare in Italia, dove il diritto penale del nemico – la dottrina che predetermina i rei a prescindere dai reati – ha numerosi estimatori.

Anche in questo caso il richiamo della foresta del cappio esibito in Parlamento e delle monetine del Raphael ha avuto agevolmente la meglio su tutti i bignamini garantisti digeriti a fatica e ripetuti a pappagallo quando toccava, tocca e toccherà (come tra pochi giorni sul caso Almasri) difendere un amico dai magistrati nemici, e non una nemica dai magistrati amici.

Quindi, ci sono purtroppo poche possibilità che il caso di Ilaria Salis serva a risvegliare in Italia qualche riflessione e azione sul tema delle garanzie parlamentari, come sta facendo meritoriamente la Fondazione Luigi Einaudi con una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, volta a ripristinare l’articolo 68 della Costituzione nella sua formulazione originaria e precedente alla mutilazione del 1993.

L'articolo Ilaria Salis e la malafede di destra e sinistra sull’autorizzazione a procedere proviene da Linkiesta.it.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Redazione Eventi e News