L’inchiesta Greenpeace-Public eye: in 7 anni l’export di pesticidi vietati dall’Ue è raddoppiato

Poco dopo la pubblicazione della prima inchiesta sull’export di pesticidi vietati firmata da Unearthed e Public Eye nel 2018, la Commissione Europea si era impegnata a porre fine a questa pratica, dichiarando che avrebbe dato il buon esempio e garantito che le sostanze chimiche pericolose vietate nell’Ue non sarebbero state prodotte per l’esportazione, anche modificando la legislazione, se necessario. Ma Greenpeace denuncia che alle promesse, finora, non sono seguiti i fatti. Anzi. L’esportazione di pesticidi vietati dall’Unione europea è aumentata drasticamente negli ultimi anni. E la denuncia è sostenuta da una nuova inchiesta dell’unità investigativa di Greenpeace, Unearthed, e dell’organizzazione Public Eye.
Un primo dato riguarda il “contenuto”: lo scorso anno l’Ue ha autorizzato l’export di pesticidi contenenti 75 sostanze chimiche che nei campi coltivati europei sono proibite perché comportano rischi per la salute umana e l’ambiente: quasi il doppio delle sostanze vietate esportate nel 2018, quando se ne contavano 41, come aveva svelato la precedente indagine.
Ma c’è anche un secondo dato che riguarda il “quanto”: ad aumentare non sono infatti soltanto le sostanze chimiche pericolose, ma anche i volumi che l’Unione europea cerca di inviare all’estero: nel 2024 l’Ue ha notificato l’intenzione di esportare circa 122 mila tonnellate di prodotti contenenti pesticidi vietati, più del doppio di quelli esportati nel 2018. Tra questi sono inclusi pesticidi che comportano danni cerebrali nei bambini, infertilità e interferenze endocrine, oltre a enormi quantità di insetticidi letali per le api e pericolosi per la fauna selvatica, che la stessa UE ha definito una minaccia globale per la biodiversità e la sicurezza alimentare.
Spiega Greenpeace che nel 2024 pesticidi vietati nell’Ue sono stati esportati in 93 Paesi, 71 dei quali (oltre i tre quarti) sono a medio o basso reddito e risultano destinatari del 58% in peso del totale dei prodotti. Il maggior importatore tra questi è il Brasile, una delle nazioni con le riserve di biodiversità più importanti al mondo, seguito da Ucraina, Marocco, Malesia, Cina, Argentina, Messico, Filippine, Vietnam e Sudafrica. Tra i Paesi destinatari figurano ben 25 nazioni africane, mentre gli Stati Uniti sono il maggiore importatore tra i Paesi ad alto reddito, nonché primo importatore in assoluto al mondo.
Sono 13 gli Stati membri coinvolti nell’export di pesticidi vietati: al primo posto la Germania, seguita da Belgio, Spagna, Paesi Bassi, Bulgaria, Italia, Francia, Danimarca, Ungheria e Romania. Oltre 40 le aziende implicate in Europa, tra cui Basf, maggiore esportatrice per peso, Teleos Ag Solutions, Agria, le multinazionali Corteva, Syngenta, Bayer e AlzChem. In Italia sei aziende, tra cui Finchimica, Tris International, Corteva e Sipcam Oxon, hanno notificato complessivamente l’esportazione di quasi 7 mila tonnellate di pesticidi contenenti 11 sostanze chimiche vietate, su tutti l’erbicida trifluralin - proibito da quasi 20 anni nell’Ue perché altamente tossico per pesci e altri animali acquatici, nonché sospetto cancerogeno e altamente persistente nel suolo - e il suo parente chimico ethalfluralin.
Il pesticida vietato maggiormente esportato dall’Ue è il “fumigante del suolo” 1,3-dicloropropene (1,3-D), vietato dal 2007 per il rischio di contaminazione delle acque sotterranee e di pericoli per la fauna selvatica. Lo scorso anno l’Ue ha notificato l’intenzione di esportare quasi 21.000 tonnellate di pesticidi a base di 1,3-D, a fronte delle 15.000 tonnellate del 2018.
«È vergognoso e allo stesso tempo profondamente ipocrita che l’esportazione europea di pesticidi banditi nelle stesse aziende agricole dell’UE sia cresciuta così tanto negli ultimi sette anni», commenta Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. «Questi pesticidi sono noti per essere pericolosi per gli esseri umani, gli insetti impollinatori e altre specie selvatiche, eppure le aziende al centro dell’inchiesta di Unearthed e Public Eye – comprese quelle italiane – continuano a trarre profitto vendendo prodotti vietati soprattutto a Paesi più poveri e con normative più deboli, mettendo a repentaglio la salute dei lavoratori del comparto agricolo, delle comunità locali e della natura. Nulla ci garantisce, inoltre, che nel nostro Paese non rientrino prodotti agricoli trattati con quegli stessi pesticidi vietati esportati fuori dai confini europei, creando un ulteriore paradosso». La Commissione europea, conclude Savini, «deve intensificare i suoi sforzi e rispettare il suo impegno a introdurre un divieto a livello Ue su questo commercio tossico. È scandaloso che i profitti dell'industria chimica europea debbano avere la precedenza sulla salute e sull'ambiente delle persone».
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