Negli ultimi dieci anni ci sono stati 250 milioni di sfollati per eventi estremi causati dalla crisi climatica

Novembre 13, 2025 - 09:00
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Negli ultimi dieci anni ci sono stati 250 milioni di sfollati per eventi estremi causati dalla crisi climatica

A metà del 2025, 117 milioni di persone erano state sfollate a causa di guerre, violenze e persecuzioni. Tre su quattro di loro vivono in Paesi esposti a rischi elevati o estremi legati al clima. E questi numeri descrivono solo parzialmente il dramma in corso in molte parti del pianeta. Negli ultimi 10 anni, infatti, i disastri legati al clima hanno causato circa 250 milioni di sfollamenti interni, pari a circa 70.000 sfollamenti al giorno, 2 ogni 3 secondi. Che si tratti delle inondazioni che hanno colpito il Sud Sudan e il Brasile, del caldo record in Kenya e Pakistan o della carenza d’acqua in Ciad ed Etiopia, le condizioni meteorologiche estreme stanno spingendo al limite comunità già fragili.

A offrire un quadro dettagliato della situazione che stanno vivendo questi sventurati è un rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) presentato alla Cop30 in corso a Belém. Nel report si legge tra le altre cose che per molti di quelli che sono stati costretti ad abbandonare le loro case, loro situazione non è che sia poi migliorata: tre rifugiati o sfollati su quattro vivono attualmente in Paesi esposti a rischi climatici catalogati come da elevati a estremi. E se è vero che 1,2 milioni di rifugiati sono tornati a casa all’inizio del 2025, metà di loro si ritrova comunque in zone vulnerabili al clima. Tra l’altro, si legge sempre nel report dell’agenzia Onu, quasi tutti gli attuali insediamenti di rifugiati dovranno affrontare un aumento senza precedenti del calore pericoloso. Il 75% del territorio africano sta subendo un deterioramento e oltre la metà degli insediamenti di rifugiati si trova in aree soggette a forte stress. Entro il 2050, i quindici campi profughi più caldi del mondo, situati in Gambia, Eritrea, Etiopia, Senegal e Mali, dovranno affrontare quasi 200 giorni o più di stress da calore pericoloso all’anno. Da aprile 2023, quasi 1,3 milioni di persone in fuga dal conflitto in Sudan hanno cercato rifugio in Sud Sudan e Ciad, due paesi tra i meno attrezzati per far fronte alla crescente emergenza climatica. Ed entro il 2040, si legge nel report dell’Unhcr, il numero di paesi che dovranno affrontare rischi climatici estremi potrebbe aumentare da 3 a 65.

«In tutto il mondo, le condizioni meteorologiche estreme stanno mettendo a rischio la sicurezza delle persone. Stanno compromettendo l’accesso ai servizi essenziali, distruggendo case e mezzi di sussistenza e costringendo le famiglie, molte delle quali sono già fuggite dalla violenza, a fuggire ancora una volta», spiega affermato Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. «Si tratta di persone che hanno già subito perdite immense e che ora devono affrontare nuovamente le stesse difficoltà e devastazioni. Sono tra le più colpite da gravi siccità, inondazioni mortali e ondate di calore record, eppure dispongono delle risorse minime per riprendersi».

In molti luoghi, i sistemi di sopravvivenza di base sono sotto pressione. In alcune zone del Ciad colpite dalle inondazioni, i rifugiati appena arrivati dal Sudan devastato dalla guerra ricevono meno di 10 litri di acqua al giorno, ben al di sotto degli standard di emergenza. Entro il 2050, i campi profughi più caldi e che potrebbero affrontare quasi 200 giorni all’anno di stress termico pericoloso comporteranno gravi rischi per la salute e la sopravvivenza: molti di questi luoghi rischiano tra l’altro di diventare inabitabili a causa della combinazione letale di calore estremo e alta umidità.

La crisi climatica sta aggravando le sfide che le comunità devono affrontare, con ripercussioni anche rilevanti: in alcune zone del Sahel, le comunità riferiscono che la perdita dei mezzi di sussistenza legata al clima sta spingendo le persone ad arruolarsi nei gruppi armati, dimostrando come lo stress ambientale possa alimentare cicli di conflitti e sfollamenti. Allo stesso tempo, la carenza di fondi e un sistema di finanziamento per il clima profondamente iniquo stanno lasciando milioni di persone senza protezione. I paesi fragili e colpiti da conflitti che ospitano rifugiati ricevono solo un quarto dei finanziamenti per il clima di cui hanno bisogno, mentre la stragrande maggioranza dei finanziamenti globali per il clima non raggiunge mai le comunità sfollate o quelle che le ospitano.

«I tagli ai finanziamenti stanno limitando gravemente la nostra capacità di proteggere i rifugiati e le famiglie sfollate dagli effetti delle condizioni meteorologiche estreme. Se vogliamo la stabilità, dobbiamo investire dove le persone sono più a rischio. Per prevenire ulteriori sfollamenti, i finanziamenti per il clima devono raggiungere le comunità che già vivono in condizioni precarie», continua a spiegare Grandi. «Non possono essere lasciate sole. Questa Cop deve produrre azioni concrete, non promesse vuote».

Nonostante le sfide attuali siano difficili, l’Unchr sottolinea che le soluzioni sono possibili. Le comunità sfollate e ospitanti possono essere potenti agenti di resilienza, spiega l’agenzia Onu per i rifugiati, ma solo se sono incluse nei piani climatici nazionali, sostenute da investimenti mirati e se viene loro data voce in capitolo nelle decisioni che riguardano il loro futuro. Tuttavia, la maggior parte dei piani climatici nazionali continua a trascurare i rifugiati e gli altri sfollati, così come le comunità che li ospitano. Mentre il mondo si riunisce per la Cop30, l’Unhcr esorta i governi, le istituzioni finanziarie e la comunità internazionale ad agire con decisione. Come? Intanto, coinvolgendo gli sfollati e le comunità ospitanti nella pianificazione e nel processo decisionale in materia di clima, investendo nell’adattamento e nella costruzione della resilienza e garantendo che i finanziamenti per il clima raggiungano coloro che sono in prima linea.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia