Nel mondo si buttano 1,5 tonnellate di cibo l’anno, 1/3 della produzione. In Italia? Mezzo Kg pro capite a settimana

Nel mondo vengono sprecate ogni anno 1,5 miliardi di tonnellate di cibo, che corrispondono a un terzo della produzione alimentare globale. Di questo 33% buttato via, il 19% del cibo viene sprecato a livello di vendita al dettaglio, ristorazione e famiglie, mentre il 13–14% nella fase di produzione e raccolta. E, inutile dirlo, mentre il cibo viene sprecato, la fame persiste: 673 milioni di persone soffrono la fame, pari all’8,2% della popolazione mondiale, di cui il 20,2% in Africa e il 6,7% in Asia. In aggiunta: 2,3 miliardi di persone vivono in condizioni di insicurezza alimentare, senza accesso garantito a un’alimentazione sufficiente e nutriente. Non finiscono qui le note dolenti. Lo spreco e le perdite alimentari non sono infatti solo un problema etico e sociale: hanno un impatto devastante sull’ambiente: lo spreco di cibo è responsabile di quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra, ovvero 5 volte quelle generate dall’aviazione. Il 28% dei terreni agricoli, pari a 1,4 miliardi di ettari, viene utilizzato per produrre cibo che non verrà mai mangiato. È una superficie pari a 4 volte l’intera Unione Europea. E un quarto dell’acqua dolce utilizzata in agricoltura viene sprecato nella produzione di alimenti che finiranno nella spazzatura: si tratta di circa 250 km³ di acqua, l’equivalente del fabbisogno idrico annuo dell’intera popolazione mondiale.
A fornire tutte queste informazioni è il Cross country report dell'Osservatorio Waste watcher international, presentato in vista della sesta Giornata internazionale di consapevolezza delle perdite e sprechi alimentari (29 settembre). Tra l’altro, l’indagine arriva anche mentre si stanno celebrando i 10 anni dell’Agenda 2030, che al punto 12.3 prevede di dimezzare lo spreco alimentare entro i prossimi cinque anni.
Se a livello globale i dati Fao continuano a indicare un’asticella ancora troppo alta, con appunto oltre 1,5 miliardi di tonnellate di cibo sperperati ogni anno sul pianeta, restringendo lo sguardo al nostro Paese emerge che l’Italia segna un miglioramento generale ma non adeguato a cogliere il traguardo dei 369,7 grammi di cibo sprecato settimanalmente, obiettivo che dovremmo raggiungere entro il 2030.
L’indagine con focus sull’Italia è stata promossa dalla campagna pubblica Spreco Zero con l’Università di Bologna. Ecco i risultati del rapporto: vale 555,8 gr lo spreco settimanale medio in Italia registrato quest’estate, un dato che riferito all’agosto 2024 era di 683 grammi, e che scende in modo significativo nell’area centrale del Paese, diventata la più virtuosa con “soli” 490,6 grammi, mentre a nord si sprecano mediamente 515,2 grammi di cibo ogni 7 giorni, e al sud il dato si impenna con 628,6 grammi a settimana. Dal report emerge che sono più virtuose le famiglie con figli, che abbassano la soglia di spreco del 17% rispetto alle famiglie senza figli (+ 14 %) e più virtuosi i grandi comuni (-9%) di quelli medi (+ 16%). Nella hit dei cibi sprecati la frutta fresca (22,9 g), la verdura fresca (21,5 g) e il pane (19,5 g), segue l’insalata (18,4 g) e cipolle/tuberi (16,9 g).
Spiega il direttore scientifico di Waste Watcher, l’agroeconomista Andrea Segrè, fondatore della campagna Spreco Zero: «Le pressioni economiche, in particolare l’inflazione che questa estate ha colpito fortemente i generi alimentari (+ 3,7%) possono aver suggerito alle famiglie acquisti più ponderati e una maggiore attenzione alla prevenzione degli sprechi. L’utilizzo di strumenti semplici e mirati, come la app Sprecometro, strumento di autovalutazione e monitoraggio dello spreco domestico, permette di attivare trasformazioni comportamentali durature, contribuendo a consolidare comportamenti virtuosi: quindi un percorso concreto verso la riduzione del 50% dello spreco alimentare entro il 2030. Trasformazione “strutturale” è anche l’atteggiamento dei cittadini nei confronti dello spreco: ma un rinnovato senso di giustizia, responsabilità e interconnessione globale. La sfida dei prossimi anni sarà rafforzare questa tendenza, affinché il traguardo del 2030 non resti un auspicio, ma diventi un risultato condiviso». Il vicedirettore generale FAO Maurizio Martina, intervenuto all’evento di oggi, ha osservato: «Serve certo maggiore consapevolezza, ma servono anche cambiamenti strutturali nel sistema, oltre che sul piano dell’atteggiamento degli individui. Nel corso del G20 Agricoltura attraverso il SOFI abbiamo messo in rilievo la strategicità di un lavoro intorno allo spreco ma anche alle perdite alimentari, per intervenire sul tema collegato della prevenzione del rincaro dei prezzi e abbiamo sottolineato quanto sia strategico lavorare sulle infrastrutture di stoccaggio anche nei Paesi più fragili, e sulla catena del freddo. Un adeguato stoccaggio delle produzioni significa un approvvigionamento costante e stabile, quindi un aiuto alla stabilità dei prezzi e in definitiva alla sicurezza alimentare delle comunità, soprattutto nei Paesi più fragili. In questa direzione deve andare la trasformazione sostenibile ed equa dei mercati alimentari, perché impatta direttamente sulla sicurezza alimentare. Perdite e sprechi alimentari sono due facce della stessa medaglia».
Per il monitoraggio di quest’anno, tra l’altro, caratterizzato da guerre, effetti della crisi climatica, sfida dei dazi statunitensi, Waste Watcher ha deciso di aprire un focus speciale per capire se e come questi fattori influiscono sulle nostre abitudini di approvvigionamento, fruizione e gestione del cibo. Il risultato è, con tutta evidenza, di impatto tangibile: più di 1 cittadino su 3 (il 37%) ritiene utile puntare sui prodotti made in Italy nell’attuale contesto di guerre e tensioni internazionali, ma anche di crisi dei dazi. Uno su 10 privilegia semplicemente i prodotti più economici, a prescindere dalla loro sostenibilità, mentre il 5% ha direttamente ridotto la spesa alimentare per ragioni economiche, percentuale che raddoppia negli under 25. Un italiano su 5, ovvero il 22%, afferma di preferire prodotti locali e a chilometro zero, confermando una crescente attenzione alla prossimità e al legame con il territorio, soprattutto nel Mezzogiorno. Il dato interessante è che una parte consistente della popolazione (20%) non ha modificato le proprie abitudini d’acquisto, dichiarando che le scelte alimentari restano indipendenti dal contesto internazionale. Questo segmento è più rappresentato nel Nord Est e nelle aree rurali, e potrebbe indicare una maggiore stabilità delle preferenze o una minore esposizione percepita alle dinamiche globali.
Due italiani su 3 (66%) hanno aumentato o conservato molto alta l’attenzione all’ambiente e ai comportamenti sostenibili. E 1 italiano su 2 dichiara di prestare maggiore attenzione all’impatto ambientale dei prodotti alimentari che acquista nel tempo della crisi climatica: il 17% degli italiani, però, dichiara di non aver modificato i suoi comportamenti perché “non ritengo che ci sia alcun legame tra la crisi climatica e temperature anomale”. Le temperature elevate dell’estate 2025 hanno avuto un impatto diretto e concreto sui comportamenti alimentari degli italiani: per fronteggiare la crisi climatica in rapporto allo spreco del cibo, 1 italiano su 2 (45%) cerca di consumare prima gli alimenti più deperibili e 1 su 5 (21%) prova ad aumentare la frequenza di acquisto degli alimenti deperibili oppure di privilegiare l’acquisto di prodotti non deperibili o a lunga conservazione (19%). Solo il 14% dichiara di non aver modificato i propri comportamenti e appena il 6% afferma di non aver percepito alcun impatto delle temperature anomale sulla deperibilità degli alimenti. «I dati Waste Watcher sembrano restituire una trasformazione culturale che viaggia in profondità - sottolinea Luca Falasconi, coordinatore del Rapporto Waste Watcher “Il caso Italia” - Il contesto internazionale alimenta una nuova attenzione al valore delle risorse, e in particolare al cibo. Ogni giorno immagini di carestie e fame - da Gaza o da altri teatri di conflitto – entrano nelle nostre case risvegliando la nostra sensibilità, un rinnovato senso di giustizia, insieme alla consapevolezza di una interconnessione globale che chiama in causa e rende responsabili tutti i cittadini del mondo».
Un ultimo dato interessante del rapporto riguarda la cosiddetta Generazione Z, che emerge dall’indagine come una fascia di popolazione molto attenta alle questioni legate allo spreco alimentare e alla sostenibilità dei consumi. Mostra una forte propensione a riutilizzare gli avanzi in tempi rapidi, affidandosi a ricette trovate online (+10% rispetto al campione nazionale), porta a casa gli avanzi (+6%) o condivide il cibo con parenti e vicini (+5%), porziona e surgela gli alimenti più deperibili (+2%) aumentando la frequenza di acquisto (+1%), presta più attenzione all'impatto ambientale dei prodotti alimentari acquistati (+2%), è molto più sensibile (+8%) rispetto alle tensioni internazionali, è molto più attenta (+11%) all'economia dei prodotti indipendentemente dalla loro provenienza, compra sempre frutta e verdura di stagione (+2%). Insomma, i Zeta sono dei veri campioni antispreco.
«La GenZ, quindi – sottolinea il direttore scientifico Waste Watcher Andrea Segrè - risulta un vero e proprio motore di sostenibilità sia per smussare gli aspetti critici legati alla gestione degli alimenti sia per trasmettere e amplificare quelli positivi centrati sulla digitalizzazione, la relazione e la sostenibilità. Le politiche pubbliche per contrastare lo spreco alimentare e promuovere diete sane e sostenibili devono introdurre l’uso diffuso di strumenti digitali, integrando piattaforme come Sprecometro nei programmi di educazione alimentare. La vera sfida è trasformare il caso della Gen Z in pratica diffusa, capace di coinvolgere le generazioni meno digitali, le fasce più vulnerabili e naturalmente le generazioni future».
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