Per il vino servono politiche e decisioni strategiche

Da un lato ci sono le discussioni sulla nuova Politica Agricola Comune (Pac), dall’altro le tematiche che riguardano la produzione nazionale, stretta tra eccesso nei volumi e un mercato in contrazione. Mentre la Commissione europea cerca una semplificazione – e taglia – spostando la gestione dei fondi verso i singoli Stati membri, la filiera vitivinicola chiede un approccio più comunitario e, al tempo stesso, più rispettoso verso le specificità di ogni comparto dell’agricoltura. Nel frattempo, il problema dell’instabilità climatica richiede di essere affrontato anche dal punto di vista della gestione del rischio e, a livello nazionale, la sovrapproduzione rende indispensabili misure capaci di preservare il valore del vino di qualità.
È un autunno caldo, quello che precede il prossimo Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti, organizzato da Fivi a Bologna dal 15 al 17 novembre. Durante la rassegna, che porta in città circa mille vignaioli con le loro etichette, è previsto in cartellone, lunedì 17 (ore 11:30), un convegno che mira ad approfondire le tematiche che attraversano il mondo enoico, con il titolo “Il vino di domani: le sfide della nuova Pac, tra gestione delle produzioni e gestione del rischio”.
Linkiesta Gastronomika ne parla con Rita Babini, presidente della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, che anticipa alcuni punti chiave della discussione.

Da due pilastri a uno, così si rischia di banalizzare
Si scrive Pac e si legge politica agricola comune. È lo strumento con cui l’Unione Europea stabilisce una traiettoria per l’agricoltura di tutti i Paesi membri, finanziandola con le risorse del bilancio comunitario. Quella attuale è in vigore dal 2023 e resterà attiva fino al 2027, ma si sta già discutendo su come impostare la prossima, per far fronte all’attuale congiuntura economica e sociale. Negli scorsi mesi, la Commissione europea ha presentato una proposta, che mira a semplificare molte procedure e a rendere più competitivo il comparto agricolo, ma proprio quest’ultimo ha mostrato non poche perplessità.
Da un lato si prospetta una riduzione dei fondi destinati all’agricoltura, che scendono da oltre 380 a circa 300 miliardi di euro, dall’altro la filiera viene spostata dal proprio ruolo di rilievo e accorpata ad altri comparti con i quali dovrà spartirsi la torta. Così al sistema chiamato “dei due pilastri” – con due canali diversi attraverso cui la Pac elargisce fondi – si vorrebbe sostituire un canale unico, per cui ogni Stato dovrebbe definire le misure di sostegno da mettere in atto, in base a specifici obiettivi da raggiungere.
Una soluzione che per Bruxelles semplifica, ma che per i Vignaioli Indipendenti banalizza. «Se semplificare significa omologare, si va nella direzione sbagliata – afferma Rita Babini, presidente di FIVI – Il superamento della struttura a due pilastri, insieme all’unificazione della politica agricola alle altre politiche europee, eliminerebbe infatti la specificità che era dedicata al settore vitivinicolo all’interno della Pac». Una soluzione che secondo Babini non soddisferebbe le esigenze delle aziende vitivinicole, molto diverse rispetto a quelle di altri comparti agricoli. «Se nella nuova Pac gli interventi saranno condivisi con altre filiere, come quelle ortofrutticola e olivicola, sarà difficile che possano rispondere puntualmente alle necessità del nostro settore. Inoltre, gli interventi per il settore vitivinicolo saranno facoltativi: questo significa che dipenderanno esclusivamente dalla volontà dei singoli Stati membri». Non esattamente un approccio comunitario alla politica. «È un passo indietro, per un settore che invece ha bisogno più che mai di pianificare il proprio futuro».
Un rischio da gestire
Tra i nodi cruciali che Fivi solleva da tempo (lo aveva fatto anche con un documentario) è quello dell’instabilità climatica e dei rischi collegati. «L’attuale sistema di gestione del rischio stabilito a livello europeo è ormai datato» dichiara la presidente dell’associazione. «Di fronte alle sfide che ogni anno ci impongono i cambiamenti climatici, con eventi meteorologici sempre più estremi e imprevedibili, bisogna prevedere non solo strumenti compensativi, ma azioni preventive che possano essere attuate già in campo». Il problema si pone in maniera significativa per le aziende di dimensioni medio-piccole, che spesso non hanno la forza economica necessaria per far fronte a queste necessità. «Sarebbe importante prevedere un sostegno per questa tipologia di investimenti».
In campo assicurativo, inoltre, Fivi sostiene che si debba cambiare un paradigma. «Non è sufficiente assicurare la materia prima, ovvero l’uva, ma bisogna riflettere sulla perdita del valore complessivo dell’uva trasformata in vino» spiega Babini. «Questo, per le aziende verticali come le nostre, che seguono tutte le fasi della produzione e vivono della vendita del vino, è un obiettivo importantissimo».

Nuovi impianti, sì ma con criterio
Per quanto in politica una decisione possa sembrare accurata, la prospettiva finisce sempre per cambiare nel momento in cui la lente mette a fuoco i dettagli. È quello che rischia di succedere con il rilascio di autorizzazioni per i nuovi impianti, un tema su cui per Fivi serve maggiore pragmaticità. «Alcuni aspetti sono molto chiari e non si può evitare di evidenziarli. Per prima cosa non ha senso impiantare nuovi vigneti, lì dove c’è già sovrapproduzione e dove si ricorre stabilmente a misure che dovrebbero essere straordinarie, come la distillazione di crisi o la vendemmia verde» afferma la presidente. «Viceversa, ci sono territori virtuosi che hanno necessità di crescere, per i quali il blocco dei nuovi impianti potrebbe rappresentare un freno». Ecco perché servirebbe un approccio diversificato e più mirato. «Bisognerebbe immaginare strumenti più flessibili, che tengano conto delle situazioni specifiche, delle dinamiche territoriali e di mercato».
In Italia si produce troppo vino
Ecco poi un tasto dolente, che riguarda i volumi della nostra produzione italiana di vino. «Occorre partire da un’evidenza: in Italia si produce troppo vino, il mercato non lo assorbe tutto, e questo – puntualizza Babini – porta inevitabilmente a una perdita di valore del prodotto. In diversi territori la situazione sta assumendo tratti davvero critici, con valutazioni delle uve che non permettono nemmeno di rientrare nei costi di produzione. Diversi Consorzi sono intervenuti abbassando le rese delle Dop: è un’azione giusta, ma non è sufficiente», afferma la presidente, che indica come in questo provvedimento possa risolversi in un nulla di fatto: «Se si riducono le rese ma si permette un superamento del venti per cento rispetto ai limiti previsti dai disciplinari, è brutto dirlo, ma siamo da capo. Nel frattempo, sul mercato continuano a circolare vini comuni e da tavola prodotti con rese di trecento quintali a ettaro, addirittura derogati a quattrocento in alcuni territori». Occorre, insomma, più coerenza e un’azione che metta a regime tutti i vini, non soltanto quelli protetti da Dop e Igp. «Con quasi quaranta milioni di ettolitri di giacenze, una vendemmia da quarantacinque milioni di ettolitri non è più sostenibile: questa è la realtà, e brindare ogni anno alla vittoria sulla Francia nella “battaglia degli ettolitri” è diventato davvero un paradosso grottesco».

Un mercato più omogeneo
Tornando all’Unione europea, c’è un’altra forma di sostegno in questo momento si rende particolarmente necessaria ed è il finanziamento della promozione intracomunitaria dei prodotti. «Sembra di dire una cosa scontata, ma purtroppo non lo è: l’Europa è il principale mercato dei vini europei, ma vendere vino ai privati, tra i diversi Paesi europei, è ancora un’impresa ciclopica, a causa della scarsa armonizzazione fiscale».
E così Rita Babini torna a ribadire la necessità di un approccio più comunitario nel regolare il mercato tra i paesi membri. «Una misura di promozione all’interno dell’Ue, come quella prevista dall’Ocm per i Paesi terzi, è quindi sicuramente auspicabile: ma per renderla davvero efficace è fondamentale che i vignaioli italiani possano vendere direttamente online ai consumatori in Germania, Austria, Belgio, Olanda e in tutti i Paesi dell’Unione, attivando – come chiediamo da tempo – lo strumento dell’One-Shop Stop, lo sportello unico per l’assolvimento delle accise, attualmente consentito per l’assolvimento dell’Iva». Secondo la presidente, questo permetterebbe di semplificare la burocrazia, ridurre al minimo le frodi fiscali e garantire maggiore trasparenza nella concorrenza tra i negozi online e quelli fisici. «La libera circolazione delle merci è uno dei fondamenti dell’Europa unita: bisogna permettere ai produttori e ai consumatori europei di trarre pieno vantaggio dalle opportunità del mercato interno».
L'articolo Per il vino servono politiche e decisioni strategiche proviene da Linkiesta.it.
Qual è la tua reazione?
Mi piace
0
Antipatico
0
Lo amo
0
Comico
0
Furioso
0
Triste
0
Wow
0




