Per ridurre il “carbonio nascosto” dei nostri edifici dobbiamo intervenire sui materiali da costruzione

Novembre 13, 2025 - 09:00
 0
Per ridurre il “carbonio nascosto” dei nostri edifici dobbiamo intervenire sui materiali da costruzione

Se davvero vogliamo realizzare una transizione ecologica credibile, dobbiamo agire anche – e soprattutto – sugli edifici. In Europa, il settore delle costruzioni e del patrimonio edilizio esistente è responsabile di circa il 36% delle emissioni di gas serra e di oltre il 40% del consumo energetico totale. È quindi impossibile parlare di neutralità climatica senza intervenire in modo deciso su come progettiamo, costruiamo e utilizziamo gli spazi in cui viviamo e lavoriamo.

Non si tratta soltanto dell’energia impiegata per riscaldare o raffrescare gli ambienti: il problema è molto più profondo e riguarda ciò che potremmo definire il “carbonio nascosto” dei nostri edifici, ovvero le emissioni incorporate (embodied carbon) generate nella produzione dei materiali, nella costruzione e nel ciclo di vita stesso degli immobili.

Secondo il Global Status Report for Building and Construction 2024-2025 del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), il 2023 ha segnato un primo, piccolo segnale positivo: le emissioni globali del comparto edilizio hanno registrato un lieve calo, nonostante un aumento del 5% della superficie edificata. Ma la strada è ancora lunga. Le emissioni operative – quelle legate all’uso quotidiano di energia negli edifici – restano stabili a livelli record, mentre le emissioni incorporate ammontano ancora a 2,9 gigatonnellate di CO, con una riduzione del 2,5% rispetto all’anno precedente.

Numeri che mostrano un settore in movimento, ma ancora lontano dagli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi. A rendere il quadro ancora più complesso, entrerà presto in vigore il nuovo Sistema europeo di scambio delle quote di emissione ETS 2 (Emission Trading System 2), che estenderà il prezzo della CO₂ anche ai settori dell’edilizia e dei trasporti. Ciò significa che il costo delle emissioni legate al consumo di gas e carburanti verrà progressivamente trasferito su famiglie e imprese, incidendo direttamente sulle bollette energetiche.

Secondo il report 2025 di Legambiente e Kyoto Club, pubblicato nell’ambito del progetto “Per un salto di classe”, ogni famiglia italiana potrebbe pagare tra 115 e 196 euro in più all’anno, a seconda del prezzo della CO₂ sull’ETS2 e della Regione di residenza. La forbice è legata anche alla composizione del mix energetico locale: dove le fonti rinnovabili hanno maggiore incidenza, gli aumenti saranno più contenuti; nelle aree dove prevale ancora il gas, l’impatto sarà più pesante.

Questo nuovo scenario economico rende ancora più urgente ridurre il fabbisogno energetico degli edifici e intervenire sui materiali e sui processi costruttivi. A differenza delle emissioni operative — che possono essere ridotte con interventi di efficienza energetica, isolamento e uso di fonti rinnovabili — le emissioni incorporate sono più difficili da abbattere perché si generano prima ancora che un edificio venga abitato.  L’unico modo per ridurlo è ripensare l’intero ciclo di vita del costruito, dall’estrazione delle materie prime fino al fine vita dell’edificio, passando per la progettazione, la manutenzione e il riuso dei materiali.

Ed è proprio in questa direzione che si muove la nuova Direttiva europea sulla prestazione energetica degli edifici (EPBD), nota come “Case Green”, approvata nel 2024. Oltre a fissare obiettivi stringenti di efficienza energetica, la direttiva introduce — per la prima volta — l’obbligo di considerare l’intero ciclo di vita emissivo degli edifici, integrando due strumenti chiave:

  • la Life Cycle Assessment (LCA), che valuta tutti gli impatti ambientali di un edificio lungo le varie fasi di vita;
  • il Whole Life Carbon (WLC), che misura in modo specifico le emissioni totali di CO equivalente, sia operative che incorporate.

Questo approccio segna un passaggio culturale decisivo: non basterà più costruire edifici efficienti, ma sarà necessario costruirli con materiali e processi a basso impatto climatico, valutando la loro impronta carbonica totale. La direttiva prevede che gli Stati membri – Italia compresa – definiscano entro il 2027 metodi comuni di calcolo e limiti nazionali di emissioni WLC per i nuovi edifici pubblici e privati.

L’approccio “whole life” è già realtà in diversi Paesi europei. La Francia, con la RE2020, impone limiti massimi di CO per metro quadrato costruito, basandosi su un database nazionale dei materiali (INIES). La Danimarca applica un tetto di 12 kg di CO equivalente per m² allanno ai nuovi edifici sopra i 1.000 m². Nei Paesi Bassi, il metodo MPG (Milieuprestatie Gebouwen) obbliga a calcolare la prestazione ambientale di ogni edificio e a rispettare soglie di impatto.

In Italia, il Green Building Council Italia ha pubblicato nel 2024 il documento “Strumenti per la decarbonizzazione: valutazione della Whole Life Carbon e della Circular Economy”, che fornisce una metodologia nazionale per LCA e WLC.

Un esempio emblematico arriva da EDERA, hub milanese per l’innovazione edilizia che promuove il modello europeo Energiesprong (“salto energetico”). Il progetto, sostenuto dalla Fondazione Housing Sociale e dal Politecnico di Milano, applica un metodo di riqualificazione profonda e standardizzata degli edifici, con componenti prefabbricate e materiali a basso impatto. Ogni intervento include una misurazione LCA e l’adozione di componenti riutilizzabili, riducendo al minimo il carbonio incorporato. I primi progetti pilota in Lombardia e Piemonte, dedicati all’edilizia residenziale pubblica, dimostrano come l’innovazione industriale possa accelerare la decarbonizzazione del costruito senza sacrificare qualità e comfort abitativo.

Una parte sempre più importante della transizione edilizia passa anche attraverso la bioedilizia e l’uso di materiali naturali e rinnovabili. In Italia, realtà come Ricehouse, Federcanapa e Diasen stanno dimostrando come sia possibile costruire e riqualificare riducendo drasticamente il carbonio incorporato.

Ricehouse, nata in Piemonte, utilizza scarti della lavorazione del riso – come la lolla e la paglia – per realizzare intonaci, pannelli e isolanti naturali. Questi materiali, oltre a essere riciclati e riciclabili, immagazzinano CO durante la loro vita utile, trasformando l’edificio in un “pozzo di carbonio”. Federcanapa promuove la filiera nazionale della canapa industriale, un materiale che cresce rapidamente e sequestra grandi quantità di anidride carbonica, impiegato per blocchi e intonaci con alte prestazioni termiche e acustiche. Diasen, azienda marchigiana, sviluppa eco-resine e rivestimenti a base di sughero e calce naturale, combinando isolamento, traspirabilità e ridotto impatto ambientale.

Questi esempi mostrano che la decarbonizzazione edilizia non è solo questione di tecnologia, ma anche di filiera e di materia, valorizzando risorse locali e processi produttivi circolari. La sfida della transizione energetica non si gioca solo nei piani industriali o nelle centrali elettriche, ma nelle case, nelle scuole e negli uffici in cui viviamo ogni giorno. Servono norme chiare, incentivi stabili e una nuova cultura del progetto capace di guardare al ciclo di vita dell’edificio come a un’unica catena di responsabilità ambientale. Perché la vera neutralità climatica non nasce dal nuovo, ma dal modo in cui scegliamo di costruire – o di non costruire affatto.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia