Pinault valuta la cessione di Puma e cerca acquirenti

Pinault valuta la cessione della propria partecipazione in Puma e il titolo del player sportivo, per tutta riposta, ha guadagnato il 18% alla Borsa di Francoforte per poi chiudere a quota +16% nelle contrattazioni di ieri. Questa mattina però inverte nuovamente il trend e accusa un segno negativo (-1,07 per cento). È stata Bloomberg a rivelare l’indiscrezione secondo cui la holding di Pinault, Artémis, starebbe studiando la vendita della sua quota, pari al 29%, del brand, e cercando potenziali acquirenti.
I portavoce di Artémis, interpellati al riguardo dall’agenzia di stampa, avrebbero però rifiutato di commentare. Intanto, il titolo di Puma ha guadagnato in un solo giorno oltre un terzo di quanto perso nell’ultimo anno, a causa del rallentamento delle vendite e della scure dei dazi trumpiani. Anche per questo Pinault sarebbe verosimilmente propenso alla cessione, considerato come Artémis sarebbe da tempo sotto la lente di ingrandimento degli investitori a causa dell’elevato debito accumulato dal suo portaglio, nel tentativo di diversificare gli investimenti, ricorda Bloomberg.
La partecipazione della holding in Puma vale circa 800 milioni di euro, riporta ancora l’agenzia di stampa, in base alla capitalizzazione di mercato di Puma fornita da Lseg (che non include l’impennata di ieri sul listino azionario).
Artémis aveva emesso un’obbligazione convertibile del valore di 500 milioni di euro, con scadenza all’inizio di quest’anno, nel tentativo di ridurre la propria partecipazione. Tuttavia, a causa della scarsa performance del titolo Puma, aveva dovuto rimborsare gli investitori in contanti anziché in azioni della società.
Il legame tra i Pinault e Puma risale al 2007, quando Puma entrò nel gruppo Kering (di cui la famiglia è principale azionista), per poi uscire nel 2018 – in seguito a una riorganizzazione del parterre del colosso in ottica puramente luxury – restando, però, all’interno della sua orbita attraverso Artémis, affiancata da otto investitori che ne detengono il 3%, tra cui Barclays, BlackRock e Lazard, mentre il 48% è rappresentato da “altri azionisti” con quote ancora inferiori.
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