Quale posto per Dio in un mondo che non crede?

Novembre 11, 2025 - 06:30
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Quale posto per Dio in un mondo che non crede?
Relatori e organizzatori dell'incontro (Marta Carenzi - Università Cattolica)

«Nel nome di Dio? Tra crisi delle religioni e manipolazione del potere». È il titolo – che dice molto di uno degli interrogativi più stringenti di oggi riguardo la fede e il suo uso strumentale – che ha animato il primo incontro del ciclo «Artigiani di idee», che apre il filone tematico «Filosofia, Psicologia e Spiritualità» di BookCity 2025. Per il terzo anno consecutivo, alcune case editrici cattoliche milanesi – Àncora, Ares, Itl Libri, Paoline, San Paolo Edizioni e Vita e Pensiero – in collaborazione con la Diocesi di Milano, partecipano con un progetto comune in BookCity Milano. «“Artigiani di idee”, con i suoi cinque eventi alla Fondazione San Fedele (che si terranno tutti domenica 16 novembre), oltre questo, vuole aprire una prospettiva e un dialogo in vista della costruzione del bene comune. Che la sezione “Spiritualità” di BookCity sia di tendenza e la più seguita, dice di un’esigenza profonda», ha spiegato don Gianluca Bernardini coordinatore della sezione stessa.

Svoltosi presso l’Università Cattolica, l’evento ha visto il dialogo tra Elena Beccalli, rettore dell’Ateneo, l’Arcivescovo, il teologo Pierangelo Sequeri e la docente Cristina Pasqualini, con la moderazione del giornalista e scrittore Roberto Righetto.

Il tavolo dei relatori (Marta Carenzi – Università Cattolica)

Beccalli: «Aiutare i giovani nella loro ricerca di senso»

«La diminuzione di coloro che si dichiarano credenti, specie per quanto riguarda le donne, e un uso della religione da parte del potere, sono questioni che si intersecano con il nostro ruolo di educatori – ha sottolineato nella sua introduzione Elena Beccalli -. Le Università devono saper intercettare il bisogno di spiritualità dei giovani, offrendo spazi di ascolto, riflessione, dialogo. Non si tratta di proporre risposte preconfezionate, ma di accompagnarli nella loro ricerca, valorizzandone il protagonismo e il desiderio di senso. La nostra responsabilità educativa è aiutare le nuove generazioni a coltivare una dimensione spirituale che restituisca centralità alla fede, da vivere non come una semplice trasmissione di contenuti liturgici, ma come un’esperienza piena e generativa di visione, di giustizia, di speranza. In questo senso, la spiritualità autentica non si oppone alla razionalità, ma la integra e la orienta; non si chiude in culti vuoti, ma si traduce in scelte concrete di vita, in relazioni significative, in impegno per il bene comune. Forse, così, potremo contribuire a formare persone capaci non solo di sapere, ma anche di credere, di sperare e di amare», ha evidenziato ancora Beccalli.

L’Arcivescovo durante il suo intervento (Marta Carenzi – Università Cattolica)

L’Arcivescovo: «Abbiamo escluso Gesù»

Particolarmente interessante la prospettiva da cui ha preso avvio l’Arcivescovo nel delineare il cuore del suo intervento: «Ho visitato recentemente una scuola secondaria di primo grado. Mi hanno colpito le domande dei ragazzi: “Come possiamo fidarci di Dio, quando le cose vanno male? Come si fa a sentire Dio davvero vicino nella vita di tutti i giorni? Perché Dio non si fa mai vedere?”. Mi hanno colpito perché sembra che Gesù non c’entri con la domanda su Dio, e credo che i ragazzini portino alla luce l’aria che respirano. Nel saggio Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia – Rapporto Giovani 2015 dell’Istituto Toniolo, Dio pare rientrare in quelle dimensioni spirituali che sono come anestetici di fronte a un mondo complesso, chiedendo a Dio di essere consolatorio e rassicurante. Come se a Milano si potesse costruire un’aspettativa in cui Cristo non ha rilievo. Quando, per esempio, accade che una chiesa si riempia di ragazzi? Quando magari c’è un lutto per un coetaneo di cui si celebra il funerale. Allora la partecipazione emotiva sente il bisogno di esprimersi attraverso un rito comunitario. Ciò mi ha indotto a domandarmi come mai manchi Gesù in queste situazioni, mentre dovrebbe essere il punto di partenza, perché Dio nessuno l’ha mai visto, mentre Gesù è il Dio vicino che è venuto non per essere servito, ma per servire. L’argomentazione a proposito di Dio ha bisogno di essere un incontro, prima che una domanda, per avere una rassicurazione alle nostre fragilità. Questo è l’antidoto più forte anche alla manipolazione che il potere può compiere rispetto alla religione. Il volto di Dio che Gesù rivela non è quello della potenza, di qualcuno che sta in trono, ma una croce», ha concluso monsignor Delpini.

I dati di «Cerco, dunque credo?» 

Poi è stata la docente di Sociologia Cristina Pasqualini a presentare i dati dell’indagine «Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità» (a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi. Ed Vita e Pensiero), per cui l’Osservatorio giovani del Toniolo ha preso in esame un campione di 100 18-29enni che si sono allontanati dalla Chiesa. 

«Nel 2023, cattolici e atei si equivalevano, intorno ciascuno al 31% del campione. Interessante è però quel 13% che ha affermato di credere in un’entità superiore, ma senza far riferimento a nessuna religione. Dal 2013 al 2023, in 10 anni, le giovani donne cattoliche che hanno detto di essere cattoliche sono quasi dimezzate, dal il 56% al 32,7%. e le atee sono raddoppiate. Questo ci dice che c’è un esodo delle donne, che è iniziato con la generazione X (quella di coloro che sono nati tra il 1964-’65 e il 1980) e che, quindi, non è sorprendente che la fuga sia iniziata con le madri e sia proseguita con le figlie. Inoltre, le famiglie, spesso complesse, di ultima generazione non hanno permesso una vera trasmissione della fede».

Ancora più netti i dati, ancora inediti, del Rapporto Giovani di questo anno, presentati da Pasqualini sul biennio 2023-2025: «Vi è l’aumento di 1% di coloro che si dichiarano cattolici, ma così è anche per gli atei, mentre si riduce di 4 punti la percentuale di chi si dice credente in un’entità superiore, ma senza riferimento a nessuna precisa religione. Ciò che lascia senza parole è il crollo dal 10,8 al 41% di frequenza ai riti nell’arco di soli 2 anni, con una percentuale che, per le donne a cui non interessa la pratica religiosa, sale al 42, 3%».  

Un momento della mattinata (Marta Carenzi – Università Cattolica)

Sequeri: «Gesù, unico ancoraggio a cui aggrapparsi».

Dal suo saggio Addio a Dio”ì, pubblicato nella collana “Dire Dio” da Centro Ambrosiano, è partito il teologo Pierangelo Sequeri, chiudendo l’incontro: «In un contesto dove il catechismo con il racconto di Gesù era normale, ci siamo fermati ad affrontare temi della razionalità contemporanea. Ed è successo che nei libri dei teologi, nei preamboli, ci si è accaniti nel discorso razionale, dicendo che per convincere il mondo sulla fede, dovevamo metterla a tacere, perché i cavalli vincenti sono quelli della ragione. Ci siamo convinti che la fede senza metafisica non è niente. E così hanno imparato anche i bimbi a scuola, a cui non è stato insegnato a ragionare di Gesù. Dobbiamo recuperare la cosiddetta “compatibilità cristologica”, parlando di Dio attraverso Gesù e il Vangelo».

«Oggi – ha proseguito Sequeri, indicando un secondo ambito di riflessione – le religioni sono in crisi come sistema di pensiero e come visione del mondo, ma vanno forte come motivazioni per l’agire, basti pensare alle guerre. Si percepisce che dare a una guerra una motivazione religiosa rende la coesione fortissima. Abbiamo un ritorno di attaccamento, non ideale, ma pulsionale alla religione che ha una forma disperata, individuando nella religione dura e pura, dogmatica, un’ancora di salvezza di fronte alla cattiveria corrosiva di un mondo in cui non c’è più niente di certo. Una specie di ecclesiocentrismo al quadrato che dobbiamo evitare di incoraggiare, coltivando la magnifica ironia di Gesù che oggi è la nostra salvezza. Ci siamo dimenticati che Gesù è l’unico fondamento a cui aggrapparsi. Il cristianesimo europeo ha creato una macchina con regole e pratiche, ma non ha peso: che fare, allora? Fare, comunicare qualcosa per qualcuno che, anche se la mia fede non dice più niente a me personalmente, ne ha bisogno».

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